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Diritto Fallimentare

Credito fiscale e fallimento: la Cassazione chiarisce
L'Agenzia delle Entrate ha richiesto l'ammissione di un credito fiscale al passivo di un fallimento. Il Tribunale lo ha ritenuto prescritto per mancata emissione di una nuova cartella dopo un contenzioso. La Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che le sentenze tributarie definitive costituiscono titolo sufficiente per provare il credito e interrompono la prescrizione, rendendo non necessaria una nuova cartella.
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Prova presuntiva del credito nel fallimento: la Cassazione
La Cassazione conferma che la titolarità di un credito in un fallimento può essere dimostrata tramite prova presuntiva, anche se l'atto di cessione originale (richiedente forma scritta) non viene prodotto. L'esistenza del trasferimento è un fatto storico provabile con altri indizi, come atti di fusione successivi e visure camerali. Il ricorso del fallimento è stato respinto.
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Acquisto da titolare apparente: la prova della buona fede
Una società acquista un immobile da un venditore il cui titolo di proprietà proveniva da un precedente atto di vendita dichiarato simulato. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13883/2024, ha stabilito che la presunzione di buona fede del terzo acquirente può essere vinta. La mancata prova del pagamento del prezzo costituisce un elemento cruciale per dimostrare la mala fede dell'acquirente e rendere inefficace il suo acquisto nei confronti dei creditori del venditore originario. La sentenza d'appello è stata parzialmente cassata solo per un vizio procedurale, ovvero l'omessa pronuncia sulla domanda di manleva dell'acquirente verso il suo venditore.
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Onere della prova: Cassazione su lavoro subordinato
Un lavoratore ha richiesto l'ammissione al passivo fallimentare di una società per crediti di lavoro, ma la sua domanda è stata respinta. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, ribadendo che l'onere della prova sull'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato grava sul lavoratore. In assenza di prove documentali e con testimonianze generiche, il credito non può essere riconosciuto.
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Liquidazione giudiziale: requisiti e apertura
Il Tribunale di Brescia ha aperto una liquidazione giudiziale contro un'impresa commerciale. La decisione si fonda sullo stato di insolvenza della società, provato da debiti scaduti superiori a 30.000 euro, da un'esecuzione forzata infruttuosa e dalla mancata presentazione dei bilanci per oltre un decennio. La sentenza ha verificato la sussistenza di tutti i presupposti di legge, nominando il giudice delegato e il curatore per la gestione della procedura.
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Accordi di prossimità: non modificano la retribuzione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13772/2024, ha stabilito che gli accordi di prossimità non possono peggiorare la retribuzione prevista nei contratti individuali dei lavoratori. Il caso riguardava un 'premio di collaborazione' che un'azienda aveva tentato di condizionare tramite un accordo collettivo. La Corte ha confermato che la retribuzione non rientra tra le materie che tali accordi possono modificare direttamente, proteggendo così il trattamento più favorevole del contratto individuale.
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Liquidazione controllata: ok del Tribunale a Brescia
Il Tribunale di Brescia ha aperto la procedura di liquidazione controllata per un consumatore in stato di sovraindebitamento. La decisione si basa sulla relazione dell'O.C.C., che ha confermato lo stato di crisi del debitore e la completezza della documentazione. La sentenza nomina il giudice delegato e il liquidatore, fissando i termini per le prossime fasi della procedura.
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Rinuncia al ricorso: estinzione del giudizio
In un complesso caso di responsabilità degli amministratori, la Corte di Cassazione ha dichiarato l'estinzione del giudizio a seguito della rinuncia al ricorso da parte di tutti gli appellanti. La decisione, basata su un accordo transattivo tra le parti, chiarisce l'applicazione dell'art. 391 c.p.c. in materia di spese legali, stabilendo che in assenza di accettazione della rinuncia e di richiesta di condanna, le spese possono non essere addebitate al rinunciante.
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Prova del credito: il concordato non basta nel fallimento
La Corte di Cassazione ha stabilito che l'inclusione di un credito nell'elenco di un concordato preventivo non costituisce prova del credito sufficiente in un successivo fallimento. Una lavoratrice si è vista rigettare la richiesta di ammissione al passivo per competenze di fine rapporto, poiché non adeguatamente provata. La Corte ha chiarito che la verifica nel concordato ha natura amministrativa e non sostituisce l'onere della prova nel procedimento fallimentare, dove il giudice può sollevare eccezioni anche d'ufficio.
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Ripartizione cognitoria: Lavoro e Fallimento, il caso
Un lavoratore ha chiesto il riconoscimento del suo rapporto di lavoro con una società italiana, poi fallita. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13530/2024, ha stabilito che quando l'accertamento del rapporto è finalizzato solo a ottenere un pagamento, la competenza spetta esclusivamente al giudice fallimentare. Questa decisione chiarisce i confini della ripartizione cognitoria tra le due giurisdizioni.
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Improcedibilità ricorso cassazione: termini perentori
Un lavoratore ha impugnato l'esclusione dei propri crediti da lavoro dallo stato passivo di una società fallita. La Corte di Cassazione ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso cassazione in quanto depositato oltre il termine perentorio di legge. La decisione chiarisce che la sospensione feriale dei termini non si applica alle controversie di lavoro nell'ambito delle procedure fallimentari.
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Improcedibilità ricorso cassazione: termini e sanzioni
La Corte di Cassazione dichiara l'improcedibilità di un ricorso presentato da un lavoratore contro un fallimento. La decisione si fonda sul deposito tardivo dell'atto, evidenziando che la sospensione feriale dei termini non si applica alle controversie di lavoro per l'ammissione al passivo fallimentare. Questo principio ha portato a severe sanzioni per l'abuso del processo.
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Fallimento e concordato: ricorso improcedibile
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13503/2024, ha stabilito che il ricorso contro l'annullamento di un concordato preventivo diventa improcedibile se, nelle more del giudizio, interviene la dichiarazione di fallimento della società. Questo principio si basa sulla necessità di coordinamento tra le procedure: la controversia sulla crisi d'impresa viene interamente assorbita dal procedimento di reclamo contro la sentenza di fallimento, sede in cui dovranno essere riproposte le censure relative all'annullamento del concordato. La decisione chiarisce il rapporto di interdipendenza tra fallimento e concordato preventivo.
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Prescrizione presuntiva: il curatore non può ignorare
Una lavoratrice si oppone al rigetto della sua richiesta di ammissione al passivo fallimentare per retribuzioni non pagate. La Corte di Cassazione, riformando la decisione del Tribunale, chiarisce un punto cruciale sulla prescrizione presuntiva: se il curatore fallimentare, a cui è stato deferito giuramento decisorio, dichiara di non sapere se il pagamento sia avvenuto, tale dichiarazione equivale a un mancato giuramento e va a vantaggio del creditore, superando la presunzione di avvenuto pagamento.
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Inammissibilità domanda tardiva: la Cassazione decide
Un promissario acquirente ha presentato una domanda tardiva di ammissione al passivo del fallimento di una società edile per la restituzione di una caparra. La domanda è stata respinta perché il ritardo non era giustificato da cause non imputabili. La Cassazione ha confermato la decisione, sottolineando l'assenza di data certa del contratto preliminare e respingendo l'argomento del giudicato esterno. L'inammissibilità della domanda tardiva è stata quindi confermata.
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Ricorso inammissibile: l’onere di specificità
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un avvocato contro il rigetto di una domanda tardiva di ammissione al passivo fallimentare. La decisione si fonda sulla violazione dell'onere di specificità dei motivi: il ricorso è risultato generico, privo dei necessari riferimenti normativi e non autosufficiente. La Corte ha ribadito che un ricorso inammissibile non consente l'esame del merito della questione, sottolineando l'importanza di una redazione tecnica e precisa degli atti di impugnazione.
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Acquisto da fallimento: chi paga per i rifiuti?
Una società che acquista un immobile da un fallimento non può richiedere il rimborso dei costi per lo smaltimento di rifiuti preesistenti se era a conoscenza della loro presenza al momento dell'acquisto. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della società acquirente, sottolineando che l'acquisto era avvenuto 'nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava', senza alcuna garanzia da parte della procedura fallimentare. La piena consapevolezza delle condizioni dell'immobile, evidenziata nel bando di vendita, è stata la ragione decisiva per rigettare la richiesta di ammissione al passivo del fallimento.
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Ammissione tardiva al passivo: onere della prova
Un professionista presenta una domanda di ammissione tardiva al passivo di un fallimento. La Cassazione la dichiara inammissibile perché l'istante non ha provato la non imputabilità del ritardo, né ha censurato specificamente tale motivo nel gravame. La Corte sottolinea l'importanza di una puntuale contestazione della ratio decidendi del provvedimento impugnato.
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Interruzione del processo: quando decorre il termine?
La Corte di Cassazione chiarisce che il termine per riassumere un giudizio a seguito di un'interruzione del processo, come la morte del difensore, decorre solo dalla "conoscenza legale" dell'evento, acquisita tramite atti formali. Una comunicazione privata, come una PEC, è irrilevante. La nomina di un nuovo legale prima della dichiarazione di interruzione, inoltre, impedisce l'arresto del procedimento. La Corte ha quindi annullato la decisione di estinzione del giudizio d'appello.
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Trasferimento sede estero: quando resta il fallimento
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13368/2024, ha stabilito che il trasferimento della sede all'estero, se avvenuto a ridosso della richiesta di fallimento e non reso conoscibile ai terzi, non sottrae la società alla giurisdizione italiana. La Corte ha chiarito che, in assenza di una pubblicità adeguata, il Centro degli Interessi Principali (COMI) dell'impresa rimane in Italia, legittimando la dichiarazione di fallimento da parte del tribunale italiano. La decisione sottolinea l'importanza della riconoscibilità del trasferimento sede estero da parte dei creditori.
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