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Diritto Fallimentare

Indennizzo Legge Pinto: calcolo e limiti massimi
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 10508/2025, ha chiarito i criteri per il calcolo dell'indennizzo Legge Pinto in caso di eccessiva durata di una procedura fallimentare. La Corte ha stabilito che il limite massimo dell'indennizzo deve essere calcolato sull'importo del credito ammesso al passivo all'inizio della procedura, e non sul credito residuo dopo eventuali pagamenti parziali. I pagamenti ricevuti, pur non riducendo il tetto massimo, sono rilevanti per la quantificazione del danno annuale, giustificando una riduzione del parametro di liquidazione. La Corte ha quindi rigettato il ricorso del Ministero, confermando la decisione della Corte d'Appello che aveva ridotto l'indennizzo ma senza ancorarlo al solo credito residuo.
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Effetto devolutivo e opposizione: i limiti del giudice
Un creditore si opponeva a un decreto di indennizzo per irragionevole durata del processo, contestando solo la liquidazione delle spese legali. La Corte d'Appello, nonostante l'opposizione limitata e l'assenza del Ministero, riesaminava l'intero merito e revocava l'indennizzo. La Cassazione ha annullato questa decisione, stabilendo che l'effetto devolutivo dell'opposizione non consente al giudice di decidere su punti del provvedimento non impugnati, che diventano quindi definitivi.
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Indennizzo durata irragionevole: calcolo corretto
La Corte di Cassazione stabilisce un principio fondamentale sul calcolo dell'indennizzo per durata irragionevole del processo fallimentare. La Corte ha chiarito che il tetto massimo dell'indennizzo deve essere calcolato sul valore del credito ammesso al passivo, comprensivo di interessi, e non sulla somma residua dopo i pagamenti del Fondo di Garanzia INPS o dei riparti fallimentari. Questi pagamenti possono influenzare la misura del danno, ma non il limite massimo indennizzabile.
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Azione revocatoria scissione societaria: la Cassazione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 10478/2025, ha confermato che l'azione revocatoria per una scissione societaria è sempre ammissibile per tutelare i creditori. Un creditore, rappresentato dalla curatela fallimentare, aveva contestato una scissione che trasferiva un immobile di valore a una nuova società, riducendo la garanzia patrimoniale. La Corte ha stabilito che la revocatoria, che rende l'atto inefficace solo verso il creditore, può coesistere con l'opposizione preventiva. Ha inoltre ribadito che il giudice può fondare la sua decisione su una perizia di parte e su fatti notori, purché la motivazione sia adeguata.
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Liquidazione giudiziale: quando il reclamo è infondato
La Corte di Appello di Firenze ha confermato la liquidazione giudiziale di una società, respingendo il reclamo del debitore. La decisione si fonda sulla grave esposizione debitoria, superiore a 500.000 euro, sull'assenza di una reale struttura operativa e su indizi di operazioni illecite legate a bonus edilizi. La Corte ha ritenuto infondati i motivi del reclamo, inclusa la tardiva richiesta di concordato preventivo.
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Credito anteriore concordato: revoca non crea debito
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 10348/2025, ha stabilito un principio fondamentale in materia di contributi pubblici e procedure concorsuali. La Corte ha chiarito che l'obbligazione di restituire un finanziamento pubblico, revocato per inadempimento dell'impresa beneficiaria, sorge nel momento in cui si verifica l'inadempimento stesso e non con il successivo atto di revoca. Di conseguenza, se l'inadempimento è precedente all'apertura di un concordato preventivo, il debito è considerato un credito anteriore concordato e rientra nell'effetto esdebitativo della procedura, anche se l'atto formale di revoca è successivo.
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Fallimento capogruppo ATI: onere della prova del credito
La curatela fallimentare di una società capogruppo di un'Associazione Temporanea di Imprese (ATI) ha agito contro un Comune per ottenere il pagamento di un appalto. La Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che, a seguito dello scioglimento del mandato per fallimento, l'onere della prova del credito spettante alla singola impresa ricade sulla curatela. Non essendo stata fornita la prova della quota specifica di lavori eseguiti, la domanda di pagamento dell'intero importo è stata rigettata.
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Ricorso in Cassazione: la specificità dei motivi
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla curatela fallimentare di un'impresa edile in una causa per un appalto pubblico. La decisione si fonda sulla violazione del principio di autosufficienza, poiché i motivi di ricorso in cassazione erano generici e non adeguatamente dettagliati, limitandosi a criticare la valutazione delle prove fatta dal giudice d'appello senza individuare specifici errori di diritto. L'ordinanza ribadisce che la Cassazione non può riesaminare i fatti della causa.
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Crediti prededucibili: stop dopo l’omologa del concordato
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10307 del 2025, ha stabilito un importante principio in materia di crisi d'impresa. I crediti sorti durante la fase di esecuzione di un concordato preventivo in continuità aziendale, ovvero dopo il decreto di omologazione, non sono considerati crediti prededucibili in caso di successivo fallimento. L'Agenzia delle Entrate aveva richiesto il riconoscimento della prededuzione per crediti fiscali maturati in questa fase, ma la Corte ha rigettato il ricorso. La decisione si fonda su una reinterpretazione del criterio di "funzionalità", allineandosi a un precedente orientamento delle Sezioni Unite, e mira a proteggere i creditori originari che avevano accettato il piano concordatario.
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Accordo fiduciario: inefficacia e onere della prova
Un soggetto riceve una somma dalla vendita di un immobile di una società poi fallita, sostenendo un precedente accordo fiduciario. La Cassazione conferma la decisione di merito che ha dichiarato l'inefficacia del pagamento verso i creditori, non essendo stata provata la correlazione tra il versamento e l'accordo fiduciario. La causa del pagamento risultava, infatti, essere un semplice rimborso per anticipazioni.
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Morte difensore: nullità della sentenza e processo
La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza d'appello a causa della morte del difensore di una delle parti, avvenuta prima della decisione. L'ordinanza stabilisce che la morte del difensore unico comporta l'interruzione automatica del processo, rendendo nulli tutti gli atti successivi, inclusa la sentenza, senza che la parte debba dimostrare un concreto pregiudizio al suo diritto di difesa. Il caso è stato rinviato alla Corte d'Appello per un nuovo esame.
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Estinzione del ricorso: Cassazione e rinuncia
Un fallimento aveva impugnato in Cassazione una sentenza della Corte d'Appello. Successivamente, ha rinunciato al gravame e la controparte ha accettato la rinuncia. La Suprema Corte, preso atto dell'accordo, ha dichiarato l'estinzione del ricorso, compensando integralmente le spese legali tra le parti.
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Appello incidentale: quando è inammissibile
Una banca ha avviato un'azione revocatoria contro due società che avevano trasferito immobili a una nuova entità tramite scissione. Il tribunale ha dato ragione alla banca. In appello, le società originarie, poi fallite, hanno impugnato la sentenza. La società beneficiaria si è limitata ad aderire alle loro conclusioni senza presentare un proprio appello incidentale. La Corte d'Appello ha dichiarato inammissibile l'impugnazione principale. La Cassazione ha confermato che, in assenza di un appello incidentale autonomo, le ragioni della società beneficiaria sono assorbite dall'inammissibilità dell'appello principale, rendendo il suo ricorso inammissibile.
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Valutazione delle prove: Cassazione e riesame del merito
Un gruppo di società alberghiere si è surrogato nel pagamento degli stipendi dei dipendenti di un'impresa subappaltatrice, chiedendo poi l'ammissione al passivo del fallimento della società appaltatrice. Il Tribunale ha respinto la domanda per carenza di prova. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che il suo ruolo non è quello di effettuare una nuova valutazione delle prove, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge, senza entrare nel merito dei fatti.
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Eccezione di inadempimento: il potere del giudice
Una società di servizi ha impugnato la decisione del Tribunale che aveva ridotto il suo credito verso una società fallita, sostenendo che il giudice avesse rilevato d'ufficio un'eccezione di inadempimento mai sollevata. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che il giudice ha il potere e il dovere di interpretare la sostanza delle difese, indipendentemente dalla terminologia usata dalle parti. Se dalle allegazioni della curatela emerge chiaramente la contestazione del corretto adempimento, il giudice può qualificarla come eccezione di inadempimento e porla a fondamento della sua decisione.
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Socio occulto: prova insufficiente, ricorso inammissibile
Un creditore bancario è stato accusato di essere un socio occulto di una società fallita. L'impugnante sosteneva che il profondo coinvolgimento della banca nella gestione aziendale ne provasse lo status. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione precedente. La Corte ha ritenuto il ricorso proceduralmente viziato e un tentativo improprio di riesaminare i fatti, sottolineando che l'onere di provare la qualità di socio occulto spetta a chi muove l'accusa, e le prove fornite non erano sufficienti.
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Riassunzione del giudizio: il deposito è decisivo
La Corte di Cassazione chiarisce che nella riassunzione del giudizio, quando la legge prevede la forma del ricorso, la tempestività si valuta sulla data di deposito dell'atto in cancelleria, non sulla data di notifica. Un gruppo di eredi ha riassunto una causa di opposizione fallimentare notificando una citazione entro i termini, ma depositandola tardivamente. La Corte ha confermato la decisione del tribunale, dichiarando inammissibile la riassunzione e estinto il giudizio, sottolineando che il principio di conversione degli atti non sana il mancato rispetto del termine perentorio di deposito.
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Compensazione fallimentare: no se manca reciprocità
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una società mandataria che chiedeva la compensazione fallimentare di un proprio credito verso la mandante fallita. La Corte chiarisce che la compensazione non è possibile se manca il requisito della reciprocità, come nel caso di un credito sorto prima del fallimento opposto a un credito della massa sorto dopo. Viene inoltre ribadito che il privilegio del mandatario non si applica per pagamenti eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento.
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Prova del credito nel fallimento: la Cassazione decide
Una società mandataria in un'associazione temporanea di imprese ha richiesto l'ammissione al passivo del fallimento di una società partner per crediti derivanti da anticipazioni. La richiesta, basata su rendiconti interni, è stata respinta in tutti i gradi di giudizio. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, stabilendo che la prova del credito nel fallimento deve essere rigorosa e non può basarsi su documenti di parte. Il principio di non contestazione è attenuato in ambito fallimentare dai poteri di verifica d'ufficio del giudice delegato. La Corte ha ritenuto inammissibili le censure relative alla compensazione, in quanto l'argomento era secondario rispetto alla mancata dimostrazione del credito stesso.
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Prova presuntiva: limiti del sindacato in Cassazione
La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso complesso tra un istituto di credito e una grande società in amministrazione straordinaria. La sentenza analizza i confini del giudizio di legittimità sulla prova presuntiva, dichiarando inammissibile il motivo che mirava a una rivalutazione dei fatti per dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca. Accoglie, invece, il motivo relativo alla corretta modalità di riproposizione in appello di un'eccezione assorbita in primo grado, cassando la sentenza impugnata su questo punto e rinviando alla Corte d'Appello per un nuovo esame.
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