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Diritto Fallimentare

Opponibilità al fallimento: la trascrizione è decisiva
Un creditore ha agito per invalidare la vendita di un immobile a una società poi fallita. La Cassazione ha confermato l'inammissibilità della domanda contro la procedura concorsuale. La ragione decisiva è la mancata trascrizione della domanda giudiziale prima della dichiarazione di fallimento, requisito essenziale per l'opponibilità al fallimento. Un precedente sequestro conservativo è stato ritenuto ininfluente a tal fine.
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Relazione attestatore: requisiti e nullità concordato
Una società in liquidazione ha visto respingere la sua domanda di concordato preventivo a causa di una relazione dell'attestatore ritenuta troppo generica. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 15533/2024, ha confermato la decisione, stabilendo che una relazione attestatore concordato carente nella verifica dei dati contabili è motivo sufficiente per dichiarare l'inammissibilità della proposta, assorbendo ogni altra censura. Il caso sottolinea l'importanza cruciale della diligenza del professionista incaricato.
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Equo indennizzo e spese legali: la Cassazione decide
Un creditore ha richiesto un equo indennizzo per l'eccessiva durata di una procedura fallimentare. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 15520/2024, ha confermato il diritto all'indennizzo anche in caso di scarsa probabilità di recupero del credito. Tuttavia, ha cassato la decisione della Corte d'Appello per l'errato calcolo delle spese legali, specificando che devono rispettare i minimi tariffari e che la loro ripartizione deve basarsi sull'esito complessivo del giudizio, non su singoli motivi di contestazione respinti.
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Fondo di garanzia: no ultime mensilità se troppo lontane
Un lavoratore ha richiesto l'intervento del fondo di garanzia per TFR e ultime tre mensilità a seguito della liquidazione giudiziale del datore di lavoro. Il Tribunale ha accolto la domanda per il TFR (pagato in corso di causa) ma ha respinto quella per le retribuzioni, poiché maturate in un periodo che non rientrava nei dodici mesi precedenti l'apertura della procedura concorsuale, come richiesto dalla legge.
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Ratio decidendi: appello inammissibile se non si impugna
Una curatela fallimentare ha contestato la validità di due compravendite immobiliari. A seguito di una scissione societaria di una delle parti, i nuovi ricorrenti hanno eccepito un vizio di procedura. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i ricorrenti non hanno contestato una delle due autonome 'ratio decidendi' su cui si basava la decisione della corte d'appello, ovvero il principio del giudicato implicito formatosi su una precedente pronuncia della stessa Cassazione riguardo la regolarità del contraddittorio.
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Legittimazione passiva banca: chi citare in giudizio?
Una società cooperativa in liquidazione coatta amministrativa ha citato in giudizio un istituto di credito per ottenere la restituzione di somme pagate a terzi dopo l'apertura della procedura. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito, stabilendo il difetto di legittimazione passiva della banca. L'azione per l'inefficacia dei pagamenti deve essere diretta contro i beneficiari effettivi (accipiens) delle somme e non contro la banca, che ha agito come semplice delegata all'esecuzione dei pagamenti.
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Domicilio digitale: notifica PEC sempre valida?
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso perché notificato oltre il termine di 60 giorni. La questione centrale riguarda il domicilio digitale: la notifica della sentenza all'indirizzo PEC del difensore è stata ritenuta valida, nonostante il legale avesse tentato di limitarne l'uso alle sole comunicazioni. La Corte ha stabilito che l'indicazione di un indirizzo PEC lo qualifica come domicilio digitale per tutte le notificazioni, senza possibilità di limitazioni unilaterali.
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Pagamento post insolvenza: inefficacia e onere prova
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società intermediaria che aveva ricevuto un pagamento da un'altra società lo stesso giorno in cui quest'ultima era stata dichiarata insolvente. La Corte ha stabilito che, in assenza di prove concrete del trasferimento della somma a una terza parte (in questo caso, una compagnia assicuratrice), il pagamento post insolvenza è da considerarsi inefficace nei confronti dei creditori. L'onere di provare la propria carenza di legittimazione passiva ricade interamente su chi riceve il pagamento, e il danno per la massa dei creditori è presunto in via assoluta.
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Pagamento debitor debitoris: chi citare in giudizio?
La Corte di Cassazione, con ordinanza, ha stabilito che, in caso di fallimento del debitore, l'azione per dichiarare l'inefficacia di un pagamento debitor debitoris eseguito dopo l'apertura della procedura concorsuale deve essere intentata contro il creditore che ha ricevuto la somma (accipiens) e non contro il terzo debitore che ha materialmente effettuato il pagamento. Il ricorso della procedura è stato dichiarato inammissibile per aver citato in giudizio il soggetto sbagliato.
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Legittimazione passiva banca: chi citare in giudizio?
La Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale sulle azioni di recupero crediti in procedure concorsuali. In caso di pagamenti eseguiti dalla banca su ordine di una società dopo l'apertura della liquidazione, l'azione per dichiarare l'inefficacia di tali pagamenti deve essere rivolta contro i terzi creditori che hanno ricevuto le somme, non contro l'istituto di credito. La Corte ha stabilito che la banca, agendo come mera delegata, non ha la legittimazione passiva per questo tipo di azione, che spetta unicamente al beneficiario effettivo del pagamento (accipiens).
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Inammissibilità appello: i requisiti del ricorso
La Corte di Cassazione conferma l'inammissibilità dell'appello presentato da un professionista avverso una sentenza relativa a una procedura di liquidazione patrimoniale. L'impugnazione è stata giudicata generica e tautologica, in quanto non conteneva specifiche critiche alla motivazione della decisione di primo grado, limitandosi a riproporre le tesi già esposte. La sentenza ribadisce il principio fondamentale secondo cui l'atto di appello deve confutare in modo puntuale il percorso logico-argomentativo del giudice precedente, pena la sua inammissibilità.
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Impugnazione atti liquidazione: la stabilità vince
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 29918/2025, ha stabilito che i provvedimenti del giudice delegato nella procedura di liquidazione del patrimonio del sovraindebitato devono essere contestati tempestivamente tramite reclamo. In caso contrario, diventano definitivi e non possono invalidare la successiva vendita del bene all'aggiudicatario. La sentenza rafforza il principio di stabilità delle vendite giudiziarie, sottolineando che l'impugnazione atti liquidazione tardiva è inammissibile e la tutela dell'acquirente in buona fede prevale su eventuali vizi procedurali non eccepiti nei termini corretti.
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Esdebitazione incapiente: ricorso inammissibile
Un debitore ha richiesto l'accesso al beneficio dell'esdebitazione incapiente. Tuttavia, la domanda è stata dichiarata inammissibile in primo grado per un vizio procedurale legato alla relazione dell'Organismo di Composizione della Crisi (OCC). Dopo che anche l'appello è stato respinto per motivi procedurali, il caso è giunto in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che un provvedimento che si limita a dichiarare l'inammissibilità di una domanda per vizi formali non è né "decisorio" né "definitivo", poiché non preclude la possibilità di ripresentare l'istanza correttamente. Di conseguenza, non è impugnabile in Cassazione.
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Azione revocatoria: effetti e limiti secondo la Cassazione
La Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, chiarendo i limiti dell'azione revocatoria. La sentenza sottolinea che la dichiarazione di inefficacia di un atto giova esclusivamente al creditore che ha intrapreso l'azione, senza invalidare l'atto stesso né estendere i suoi benefici ad altri creditori, come l'ente di riscossione nel caso di specie. Il ricorso è stato respinto anche per vizi procedurali.
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Mutuo solutorio: valido anche per debiti pregressi
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 29790/2025, ha stabilito la piena validità del cosiddetto 'mutuo solutorio', ovvero un finanziamento concesso da una banca e utilizzato dal cliente per estinguere una precedente esposizione debitoria non garantita verso la stessa banca. I ricorrenti sostenevano la nullità del contratto per mancanza di causa e per violazione del principio della parità di trattamento dei creditori. La Corte, allineandosi a una precedente pronuncia delle Sezioni Unite, ha respinto il ricorso, chiarendo che il contratto di mutuo si perfeziona con la messa a disposizione giuridica della somma, indipendentemente dal suo successivo impiego. La tutela degli altri creditori, eventualmente lesi, non va cercata nella nullità del contratto, ma in altri strumenti giuridici come l'azione revocatoria.
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Giudicato interno: i limiti dell’appello parziale
La Corte di Cassazione chiarisce i limiti dell'appello, affermando che la mancata impugnazione di uno specifico punto della sentenza di primo grado determina la formazione di un giudicato interno. Nel caso di specie, un istituto di credito aveva appellato una decisione di revocatoria fallimentare contestando solo l'elemento soggettivo (la conoscenza dello stato di insolvenza), ma non quello oggettivo (la natura dei pagamenti). La Suprema Corte ha stabilito che il punto non contestato era divenuto definitivo, precludendo al giudice d'appello la possibilità di riesaminarlo.
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Revocatoria fallimentare: la prova del fido bancario
Un istituto di credito ha contestato la revocabilità di pagamenti ricevuti da una società, poi fallita, sostenendo che fossero coperti da un fido. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso della banca inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La Corte ha stabilito che la banca non ha fornito una prova certa dell'esistenza del fido, elemento cruciale in un'azione di revocatoria fallimentare. Le prove presentate sono state ritenute troppo generiche e insufficienti a superare la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza della società da parte della banca.
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Fondo garanzia INPS: TFR e concordato preventivo
Una lavoratrice ha richiesto al Fondo di Garanzia INPS il pagamento del suo TFR dopo che la sua azienda è entrata in concordato preventivo. La lavoratrice aveva accettato una riduzione dell'importo e la degradazione del credito a chirografario. La Corte di Cassazione ha stabilito che, sebbene l'accettazione non elimini il diritto alla prestazione, il Fondo garanzia INPS è tenuto a pagare solo l'importo del TFR come definito e quantificato nel decreto di omologa del concordato, anche se decurtato, e non l'intero ammontare originario.
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Qualifica di consumatore: no al socio garante
La Corte di Cassazione nega la qualifica di consumatore al socio che presta garanzie personali per la propria azienda. La sentenza chiarisce che la presenza di un 'collegamento funzionale', come una quota societaria rilevante o un ruolo amministrativo, esclude l'accesso alle procedure di sovraindebitamento riservate ai consumatori, poiché il debito è legato all'attività imprenditoriale.
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Notifica telematica appello: quando è valida la copia?
Un istituto di credito impugnava una sentenza di primo grado che lo condannava alla restituzione di somme ricevute da una società poi fallita. La Corte d'Appello dichiarava l'impugnazione improcedibile perché, pur avendo effettuato la notifica telematica dell'appello, la banca aveva depositato in tribunale solo copie cartacee (analogiche) degli atti e delle ricevute PEC, e non i file digitali originali. La Corte di Cassazione ha annullato questa decisione, stabilendo che tale modalità di deposito non causa l'improcedibilità dell'atto, ma costituisce una mera nullità. Questa nullità è 'sanabile' (cioè superabile) se la controparte si costituisce in giudizio senza contestare la notifica, dimostrando così che lo scopo della comunicazione è stato raggiunto. Il principio di strumentalità delle forme prevale sul formalismo.
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