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Diritto Fallimentare

Procura alle liti: come sanare un vizio in giudizio
Una società dichiarata fallita ha impugnato la decisione, eccependo un difetto nella procura alle liti della società creditrice. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando un principio fondamentale: un vizio nella procura alle liti può essere sanato in qualsiasi stato e grado del giudizio, anche in appello, mediante la produzione di una nuova procura valida. Tale sanatoria ha efficacia retroattiva, convalidando tutti gli atti processuali compiuti in precedenza.
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Credito prededucibile: sì al bonus MBO nel lavoro
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che riconosceva il carattere di credito prededucibile a un bonus MBO vantato da un lavoratore verso una società in amministrazione straordinaria. Secondo la Corte, se i commissari subentrano nel rapporto di lavoro, un contratto ad esecuzione continuata, sono tenuti a saldare integralmente anche le prestazioni pregresse, come previsto dall'art. 74 della legge fallimentare.
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Ricorso assemblato: quando è inammissibile in Cassazione
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso per violazione del principio di sinteticità. L'atto, definito come "ricorso assemblato", consisteva nella riproduzione integrale di documenti precedenti senza una chiara esposizione dei fatti essenziali, rendendo impossibile per la Corte comprendere le censure mosse. La decisione riafferma la necessità di redigere ricorsi chiari e autosufficienti, pena la loro inammissibilità.
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Socio accomandante: quando si perde la responsabilità
La Corte di Cassazione ha confermato l'estensione del fallimento a un socio accomandante che, pur non avendo cariche formali, aveva di fatto gestito la società. La sentenza chiarisce che operare sul conto corrente e trattare con i creditori costituisce ingerenza nella gestione, comportando la perdita della responsabilità limitata. Inoltre, le dichiarazioni rese al curatore fallimentare e i fatti non contestati in primo grado sono state considerate prove decisive.
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Rapporto di lavoro subordinato: prova in fallimento
Una lavoratrice ha rivendicato crediti da lavoro nei confronti di un'azienda fallita, sostenendo l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato durato decenni ma privo di un contratto formale. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito. È stato stabilito che, in assenza di prove concrete sull'assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro, il rapporto non può essere qualificato come subordinato. La Corte ha inoltre chiarito che la competenza a decidere su tali crediti, quando finalizzati all'insinuazione al passivo, spetta esclusivamente al giudice fallimentare.
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Imprenditore agricolo: quando scatta il fallimento?
La Cassazione ha confermato il fallimento di un'impresa vivaistica, stabilendo che non può essere considerata un imprenditore agricolo esente da fallimento. La Corte ha chiarito che se il valore economico dei prodotti acquistati da terzi e rivenduti supera quello dei prodotti coltivati in proprio, l'attività è commerciale. L'appello basato sulla cessazione dell'attività è stato respinto perché, per le imprese commerciali, conta la cancellazione dal registro imprese, non la fine operativa.
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Rinuncia al ricorso: conseguenze sulle spese legali
Una società in concordato preventivo presenta una rinuncia al ricorso in Cassazione per sopravvenuta carenza di interesse, a seguito della positiva conclusione della procedura concorsuale. La Corte Suprema dichiara estinto il giudizio ma condanna la società ricorrente al pagamento delle spese legali. La condanna è motivata dal grave e ingiustificato ritardo (quasi cinque anni) con cui è stata comunicata la rinuncia, ritenendo che tale comportamento abbia causato un'inutile prosecuzione dell'attività processuale. Viene inoltre chiarito che in caso di rinuncia non è dovuto il versamento dell'ulteriore contributo unificato.
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Privilegio contributi TFR: no alla prelazione per l’ente
La Corte di Cassazione ha stabilito che i crediti di un ente di previdenza per omessi versamenti di contributi al fondo TFR da parte di un'azienda fallita non godono del privilegio previsto per le retribuzioni dei lavoratori. La Corte ha chiarito che il privilegio spetta solo ai crediti retributivi e alle somme pagate direttamente al lavoratore, non ai contributi dovuti all'ente gestore, che restano crediti chirografari. La decisione si basa su un'interpretazione restrittiva delle norme sui privilegi, che non possono essere applicate per analogia.
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Valutazione stato di insolvenza: i poteri del giudice
La Cassazione ha respinto il ricorso di una società dichiarata fallita, confermando che la valutazione stato di insolvenza si basa sulla capacità di adempiere regolarmente alle obbligazioni, non sul patrimonio netto. Il giudice può discostarsi dalla CTU con motivazione adeguata, e i bilanci non pubblicati possono essere contestati nella loro validità probatoria.
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Onere della prova fallimento: come evitarlo
Una società in liquidazione ha impugnato la dichiarazione di fallimento, sostenendo di non aver superato le soglie di legge. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 32442/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che l'onere della prova fallimento spetta al debitore. La Corte ha chiarito che bilanci non approvati e non depositati, insieme ad altra documentazione generica, non costituiscono prova sufficiente. La valutazione dell'idoneità delle prove alternative è una prerogativa insindacabile del giudice di merito.
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Onere della prova fallimento: chi deve dimostrarlo?
Un imprenditore si oppone alla dichiarazione di fallimento, sostenendo di non raggiungere le soglie dimensionali previste dalla legge. La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di merito, rigetta il ricorso e ribadisce un principio fondamentale: l'onere della prova nel fallimento spetta al debitore. Documentazione contabile informale e non supportata da scritture ufficiali è ritenuta inidonea, e la richiesta di una Consulenza Tecnica d'Ufficio (CTU) per sopperire a tale mancanza è inammissibile.
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Requisiti di non fallibilità: prova senza bilanci
Una società ottiene la revoca della dichiarazione di fallimento pur non avendo depositato i bilanci. La Cassazione conferma che i requisiti di non fallibilità possono essere provati con documenti alternativi, come dati fiscali o atti di altri procedimenti. Il ricorso del fallimento è stato dichiarato inammissibile, consolidando il principio che l'assenza di scritture contabili non determina automaticamente la fallibilità.
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Fallimento: la dichiarazione integrativa non basta
Una società di servizi, dichiarata fallita, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che una dichiarazione integrativa dimostrava il mancato superamento delle soglie di fallibilità. La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Questi ultimi avevano ritenuto la dichiarazione integrativa tardiva e inattendibile, dando maggior peso al bilancio originario e alla scoperta di un ingente debito non dichiarato verso un Ente Pubblico. L'insistenza nel ricorso è stata sanzionata come abuso del processo.
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Fallimento società cancellata: si può impugnare?
Una società, cancellata dal registro delle imprese, veniva dichiarata fallita. La Corte d'Appello riteneva inammissibile il reclamo della società, considerandola estinta. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che la legge crea una finzione giuridica per cui il fallimento di una società cancellata è possibile entro un anno, e di conseguenza la società conserva la capacità di agire in giudizio per impugnare la dichiarazione stessa.
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Stato di insolvenza: cause irrilevanti per fallimento
Una società, dichiarata fallita per la seconda volta, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che il proprio stato di insolvenza fosse dovuto alla cattiva gestione di un precedente fallimento, poi revocato. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale: per la dichiarazione di fallimento, ciò che conta è l'oggettiva incapacità dell'impresa di far fronte ai propri debiti, indipendentemente dalle cause che l'hanno determinata. La Corte ha inoltre condannato la società per abuso del processo.
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Usucapione fallimento: la competenza è del tribunale
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 32104/2024, ha stabilito che la domanda per l'accertamento dell'usucapione su un immobile di una società fallita deve essere presentata nell'ambito della procedura fallimentare e non tramite un giudizio ordinario. Questo principio di attrazione alla sede concorsuale è fondamentale. Il ricorso è stato rigettato, confermando che la domanda di usucapione fallimento è inammissibile se avanzata in sede di cognizione ordinaria.
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Usucapione immobile fallimento: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di una moglie che rivendicava l'usucapione dell'immobile di proprietà del marito a seguito della sua dichiarazione di fallimento. La Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la dichiarazione di fallimento non trasforma automaticamente la detenzione del coniuge convivente in possesso utile per l'usucapione. Per tale trasformazione è necessario un atto di interversione, ovvero una manifestazione esteriore inequivocabile di opposizione al diritto del proprietario, che nel caso di specie non è stata provata.
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Revocatoria fallimentare: danno presunto e onere prova
Una società contesta una revocatoria fallimentare su un pagamento, sostenendo l'assenza di danno poiché vantava un credito privilegiato. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, affermando che nell'azione di revocatoria fallimentare il danno per i creditori è presunto ('in re ipsa') dal semplice fatto che un bene è stato sottratto al patrimonio del fallito. Questo principio mira a tutelare la parità di trattamento tra tutti i creditori ('par condicio creditorum'), indipendentemente dallo status del creditore che ha ricevuto il pagamento.
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Revocatoria pagamento del terzo: la decisione Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un istituto di credito, confermando la revocatoria di un pagamento ricevuto per un debito di una società poi fallita. Il pagamento, sebbene effettuato da una terza società, è stato ritenuto anomalo perché eseguito decurtando un debito che la terza società aveva verso l'impresa fallita, incidendo così sul patrimonio di quest'ultima. La Corte ha inoltre escluso la violazione del principio del giudicato, data la diversità di oggetto e causa tra questa azione e una precedente.
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Azione revocatoria: inammissibile ricorso in Cassazione
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una società acquirente contro la sentenza che aveva dichiarato l'inefficacia di una compravendita immobiliare tramite azione revocatoria. La Corte ha confermato la sussistenza sia del pregiudizio per i creditori (eventus damni), data l'ingente massa debitoria della società venditrice poi fallita, sia della consapevolezza di tale pregiudizio da parte dell'acquirente (scientia damni), provata dalla menzione nel contratto di un debito milionario. Il ricorso è stato respinto in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.
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