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Diritto di critica sindacale: i limiti per il lavoratore

La Cassazione conferma l’annullamento di una sanzione disciplinare, ribadendo l’ampia portata del diritto di critica sindacale per il rappresentante dei lavoratori. Le sue dichiarazioni, anche se aspre, sono legittime se funzionali alla tutela di interessi collettivi e non travalicano i limiti della correttezza formale, distinguendosi dal diritto di critica del singolo lavoratore.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Il Diritto di Critica Sindacale: Quando il Lavoratore è Intoccabile

L’esercizio dell’attività sindacale all’interno di un’azienda genera spesso tensioni. Ma dove si trova il confine tra una critica legittima e un’accusa disciplinarmente rilevante? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, rafforzando la tutela del rappresentante dei lavoratori e delineando i contorni del diritto di critica sindacale. La vicenda riguarda un dipendente di una grande società di trasporti, sanzionato con una sospensione di dieci giorni per alcune dichiarazioni pubbliche. I giudici, tuttavia, hanno annullato la sanzione, stabilendo che le sue parole rientravano pienamente nelle prerogative del suo ruolo.

I Fatti del Caso: Due Dichiarazioni Sotto Accusa

Il lavoratore, con mansioni di macchinista e ruolo di Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), era stato sanzionato per due episodi distinti.

Il primo riguardava una dichiarazione di solidarietà, pubblicata su un portale di informazione online, verso gli operai di un noto stabilimento automobilistico. In tale contesto, il lavoratore aveva paragonato la situazione di quei dipendenti (reintegrati dopo un licenziamento ma senza essere riammessi effettivamente al lavoro) alla propria esperienza passata, definendo tali pratiche una “scorciatoia antidemocratica ed antisindacale”.

Il secondo episodio concerneva un’intervista a un quotidiano, in cui denunciava incidenti ai viaggiatori per guasti alle porte e infortuni mortali sul lavoro. L’articolo iniziale riportava dati con un orizzonte temporale errato (mesi anziché anni), ma il giornale aveva poi pubblicato una rettifica, attribuendo l’imprecisione a un fraintendimento del giornalista.

L’azienda aveva ritenuto entrambe le esternazioni lesive della propria immagine, procedendo con la sanzione. La Corte d’Appello, però, aveva ribaltato la decisione di primo grado, ritenendo legittimo l’operato del lavoratore.

La Decisione e il Diritto di Critica Sindacale

La Corte di Cassazione, investita del ricorso dell’azienda, ha confermato la sentenza d’appello, rigettando tutte le censure mosse dalla società. Il fulcro della decisione risiede nella netta distinzione tra il diritto di critica spettante al singolo lavoratore e quello, ben più ampio, riconosciuto al rappresentante sindacale.

La Posizione del Rappresentante Sindacale

I giudici hanno ribadito un principio consolidato: quando agisce nell’esercizio delle sue funzioni, il rappresentante sindacale si pone su un piano paritetico con il datore di lavoro. La sua attività, tutelata dall’articolo 39 della Costituzione, non è subordinata alla volontà aziendale, in quanto finalizzata alla protezione di interessi collettivi. Questa posizione gli conferisce una maggiore libertà di espressione.

I Limiti della Critica: Continenza e Veridicità

Questa libertà, tuttavia, non è illimitata. Anche la critica sindacale deve rispettare il limite della continenza formale: non deve cioè tradursi in insulti personali, attacchi gratuiti o affermazioni denigratorie non provate. La dialettica, per quanto aspra, deve rimanere nell’alveo di un confronto civile. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che le espressioni usate, sebbene forti, non avessero superato tale limite. Riguardo all’intervista, la successiva rettifica e la riconducibilità dei dati a fonti serie e verificate sono state considerate prove della buona fede del lavoratore e della serietà della sua denuncia, finalizzata a tutelare beni primari come la sicurezza di lavoratori e passeggeri.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato e respinto punto per punto i motivi di ricorso dell’azienda. In sintesi, ha stabilito che:

1. Sulla critica mossa: La dichiarazione di solidarietà, pur aspra, rientrava nella dialettica sindacale, che può assumere toni più accesi rispetto alla critica comune. Inoltre, era diretta più verso un’altra realtà industriale che verso il proprio datore di lavoro.
2. Sul ruolo dell’RLS: La Corte ha incluso la figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza nell’area dei soggetti tutelati come i sindacalisti, in quanto portatori di interessi collettivi di rilevanza costituzionale. Pertanto, una manifestazione di solidarietà a carattere politico-sindacale rientra a pieno titolo nel suo diritto di critica e di manifestazione del pensiero.
3. Sull’errore giornalistico: La motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata logica e coerente nel ritenere l’imprecisione temporale nell’articolo un errore del giornalista, data la rettifica operata dal quotidiano e la corrispondenza dei dati corretti con le fonti usate dal lavoratore.
4. Sull’onere della prova e le testimonianze: La Corte ha chiarito che il giudice di merito ha il compito di valutare le prove e che la Cassazione non può riesaminare tale valutazione. La scelta di non ammettere ulteriori testimonianze è una facoltà del giudice quando ritiene di avere già elementi sufficienti per decidere.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante baluardo a difesa della libertà sindacale. Stabilisce che il diritto di critica sindacale protegge le esternazioni del rappresentante dei lavoratori, anche quelle più incisive, purché siano funzionali alla tutela degli interessi collettivi e non trascendano in offese personali gratuite. Per i datori di lavoro, ciò significa dover tollerare un livello di critica più elevato da parte dei rappresentanti sindacali. Per i lavoratori e i loro rappresentanti, è una conferma che l’impegno per la tutela dei diritti collettivi e della sicurezza gode di una robusta protezione costituzionale, che non può essere compressa da reazioni disciplinari ingiustificate.

Un rappresentante sindacale può criticare il datore di lavoro più liberamente di un altro dipendente?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che il diritto di critica sindacale ha una portata più ampia rispetto a quello del singolo lavoratore. Il rappresentante, agendo per la tutela di interessi collettivi, si pone su un piano paritetico con l’azienda e può utilizzare espressioni più aspre e rivendicative, garantite dalla Costituzione.

Quali sono i limiti che neanche un sindacalista può superare nell’esprimere critiche?
Il limite invalicabile è quello della “correttezza formale”. La critica, anche se severa, non può degenerare in offese personali, attribuzione di qualità apertamente disonorevoli non provate o insulti gratuiti. L’espressione deve rimanere all’interno di un confronto civile, pur nel contesto di una dialettica accesa.

Se un giornale riporta in modo errato le dichiarazioni di un lavoratore, quest’ultimo è responsabile?
Non necessariamente. Nel caso esaminato, la Corte ha escluso la responsabilità del lavoratore perché il quotidiano aveva pubblicato una rettifica, attribuendo l’errore a un proprio fraintendimento. Inoltre, i dati corretti erano fondati su fonti serie e qualificate, dimostrando che il lavoratore aveva agito in buona fede per tutelare interessi pubblici come la sicurezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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