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Diritto di critica del lavoratore: i limiti e tutele

Un dipendente viene licenziato per aver criticato via email le decisioni del suo superiore riguardo le norme anti-Covid. La Cassazione annulla il licenziamento, affermando la legittimità del diritto di critica del lavoratore quando connesso all’attività lavorativa e non gratuito, riconoscendo anche la tutela del whistleblower.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Diritto di critica del lavoratore: la Cassazione annulla il licenziamento

Il confine tra legittima espressione di un’opinione e insubordinazione è spesso sottile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo tema, rafforzando la tutela del diritto di critica del lavoratore, specialmente quando riguarda la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro. Il caso analizzato riguarda un licenziamento per giusta causa, scaturito da uno scambio di email dai toni accesi tra un dipendente e l’Amministratore Delegato in merito all’organizzazione di una riunione in presenza durante la pandemia. La Corte ha ribaltato le decisioni precedenti, ordinando la reintegrazione del lavoratore.

I Fatti del Caso

Un dipendente si opponeva alla decisione dell’Amministratore Delegato di indire una riunione in presenza, ritenendola in contrasto con i protocolli anti-Covid aziendali. Ne nasceva uno scambio di comunicazioni via email in cui il lavoratore esprimeva il suo dissenso con toni critici e aspri. Oltre a ciò, il dipendente inoltrava la conversazione al comitato aziendale anti-Covid, chiedendo una verifica sulla corretta applicazione delle procedure di sicurezza. La società datrice di lavoro, ritenendo il comportamento del dipendente gravemente lesivo del rapporto di fiducia e del ruolo professionale dell’amministratore, procedeva al licenziamento per giusta causa. La Corte d’Appello, pur riconoscendo una tutela economica al lavoratore, aveva confermato la legittimità della risoluzione del rapporto, definendo la condotta del dipendente un ‘indebito abuso critico’.

La Decisione della Corte di Cassazione e il diritto di critica del lavoratore

La Suprema Corte ha cassato la sentenza di secondo grado, accogliendo le tesi del lavoratore. Il punto centrale della decisione risiede nella corretta applicazione dei principi che regolano il diritto di critica del lavoratore. La Corte ha stabilito che i giudici di merito non avevano adeguatamente verificato se la critica, per quanto aspra, rientrasse nei limiti della legittimità.

Per essere legittima, la critica deve rispettare tre limiti:
1. Pertinenza: deve riguardare fatti di interesse per l’azienda e il rapporto di lavoro.
2. Continenza Sostanziale: i fatti riportati devono essere veri, almeno putativamente (cioè basati su una convinzione incolpevole).
3. Continenza Formale: l’esposizione non deve trascendere in aggressioni gratuite, personali, offensive o umilianti.

Nel caso di specie, la critica era pertinente, poiché verteva sulla gestione della sicurezza sul lavoro, e i fatti erano veritieri. La Corte ha ritenuto che i giudici d’appello avessero errato nel non analizzare se i toni accesi fossero una reazione a una situazione lavorativa specifica, anziché una mera aggressione gratuita.

Whistleblowing e Tutela Rafforzata

Un elemento decisivo è stata la segnalazione fatta dal lavoratore al comitato anti-Covid. La Cassazione ha interpretato questo gesto come un atto di whistleblowing, ovvero una segnalazione protetta volta a far emergere un potenziale illecito o un rischio per la salute e la sicurezza. Questa azione ha dimostrato che l’intento del lavoratore non era un attacco personale, ma la tutela di un interesse collettivo e aziendale. La normativa sul whistleblowing, infatti, protegge il dipendente che segnala irregolarità da ritorsioni, incluso il licenziamento. Di conseguenza, il comportamento del lavoratore è stato ricondotto nell’ambito di un legittimo esercizio di un diritto tutelato.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando come la Corte d’Appello avesse omesso una verifica cruciale. Non è sufficiente etichettare una critica come ‘abuso’ solo perché espressa con toni forti. È necessario analizzare il contesto, le motivazioni sottostanti e verificare se la critica sia fine a se stessa o se sia funzionale a sollevare una questione legittima legata all’attività lavorativa. Nel caso esaminato, la critica era intrinsecamente connessa alla gestione delle modalità di lavoro e ai protocolli di sicurezza. L’assenza di epiteti volgari o di offese gratuite e personali, unita alla segnalazione formale all’organo di controllo interno, ha portato la Corte a concludere che il fatto disciplinarmente rilevante non sussisteva. La condotta del lavoratore, pertanto, non integrava una giusta causa di licenziamento.

Le conclusioni

La sentenza viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà attenersi ai principi enunciati e disporre la reintegrazione del lavoratore nel suo posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno. Questa ordinanza rappresenta un importante precedente: riafferma che il diritto di critica del lavoratore, se esercitato nei limiti della pertinenza e della continenza, è pienamente legittimo e non può essere sanzionato con il licenziamento. Inoltre, valorizza lo strumento del whistleblowing come mezzo per garantire la legalità e la sicurezza all’interno delle aziende, offrendo una tutela concreta a chi, responsabilmente, decide di segnalare potenziali rischi o irregolarità.

Quando la critica di un lavoratore verso il datore di lavoro è considerata legittima?
La critica è legittima quando rispetta i limiti della pertinenza (riguarda l’attività lavorativa), della verità dei fatti (continenza sostanziale) e della correttezza delle espressioni usate, senza trascendere in attacchi personali e gratuiti (continenza formale).

Un tono aspro in una email di critica può giustificare un licenziamento per giusta causa?
Non necessariamente. Secondo la Corte, un tono aspro o acceso non è di per sé sufficiente a giustificare un licenziamento se la critica è ancorata a motivazioni sostanziali e pertinenti al rapporto di lavoro e non si traduce in un’aggressione gratuita e puramente offensiva alla persona.

Quale tutela ha un lavoratore che segnala un’irregolarità a un organo di controllo interno dell’azienda?
Il lavoratore che segnala un’irregolarità (ad esempio, al comitato per la sicurezza) esercita un’attività di ‘whistleblowing’. La legge protegge il segnalante da qualsiasi forma di ritorsione, incluso il licenziamento. Tale segnalazione, come nel caso di specie, rafforza la legittimità della sua condotta critica, dimostrando l’intento di tutelare un interesse aziendale o collettivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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