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Diritto del Lavoro

Costituzione tardiva: conseguenze sulla prescrizione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18450/2024, ha stabilito che la costituzione tardiva del convenuto in giudizio comporta la decadenza dalla facoltà di sollevare l'eccezione di prescrizione. Nel caso esaminato, riguardante la richiesta di remunerazione di alcuni medici specializzandi contro la Presidenza del Consiglio, la Corte ha chiarito le modalità di calcolo dei termini processuali 'a ritroso', precisando che se la scadenza cade di sabato, il termine è anticipato al giorno lavorativo precedente. La tardività ha reso l'eccezione di prescrizione inammissibile, portando alla cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello.
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Decadenza processuale: errore del legale non scusabile
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'Appello, rigettando il ricorso di un lavoratore che chiedeva il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato. La controversia è stata decisa su una questione preliminare: la tardiva costituzione in giudizio del lavoratore nel grado precedente, causata da un errore del suo avvocato nel deposito telematico. La Suprema Corte ha ribadito che l'errore del difensore non costituisce una "causa non imputabile" che possa giustificare una rimessione in termini. Questa decadenza processuale ha impedito l'utilizzo delle prove testimoniali, risultando decisiva per il rigetto della domanda nel merito.
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Retribuzione festività: no alla compensazione in banca ore
La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di una cooperativa sociale al pagamento della retribuzione festività a favore dei suoi dipendenti. È stato stabilito che la specifica disciplina dell'art. 59 del CCNL Cooperative Sociali per le festività è incompatibile con il sistema generale della 'banca ore' previsto dall'art. 52, non potendo quest'ultimo sostituire il diritto al pagamento o al riposo compensativo.
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Qualificazione rapporto di lavoro: gli indici decisivi
Una collaboratrice, dopo il periodo di praticantato, prosegue l'attività presso uno studio professionale. La Corte d'Appello riconosce la natura subordinata del rapporto basandosi su indici quali orario fisso e potere direttivo del datore, condannando quest'ultimo al pagamento delle differenze retributive. La Corte di Cassazione conferma la decisione, respingendo il ricorso del datore di lavoro e ribadendo che la valutazione degli elementi di fatto per la qualificazione rapporto di lavoro spetta al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è logica e coerente.
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Indennità di condotta: quando spetta al macchinista?
Un macchinista ha richiesto che l'indennità di condotta fosse estesa anche alle attività accessorie e complementari svolte prima e dopo la guida effettiva del treno. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, in base ai contratti collettivi, l'indennità spetta esclusivamente per il tempo trascorso nella guida del treno. Le attività accessorie sono considerate una diversa tipologia di lavoro, con una diversa quantificazione dell'indennità, a meno che non vengano assorbite in un periodo di 'condotta continuativa' senza interruzioni significative.
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Giustificato motivo oggettivo: l’onere della prova
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società di trasporti contro la sentenza che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento di un dipendente per giustificato motivo oggettivo. La decisione si fonda sul fatto che la soppressione del posto di lavoro addotta come motivazione non era effettiva, in quanto le mansioni del lavoratore erano già state modificate da anni. La Corte ha ribadito che il datore di lavoro ha l'onere di provare la veridicità e l'attualità del motivo del recesso e che la Cassazione non può riesaminare nel merito le prove.
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Appalto illecito: Cassazione su onere della prova
Un gruppo di lavoratori ha contestato un contratto di servizi di pulizia ferroviaria, sostenendo si trattasse di un appalto illecito. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi inferiori. La Corte ha ribadito di non poter riesaminare le prove e ha chiarito che un appalto è legittimo quando l'appaltatore mantiene un'effettiva autonomia organizzativa e gestionale sul proprio personale, anche in presenza di un coordinamento con l'azienda committente.
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Contributi amministratori locali: obbligo del Comune
La Corte di Cassazione ha confermato l'obbligo per un Comune di versare i contributi previdenziali alla cassa forense per un avvocato che ricopriva la carica di Presidente del Consiglio Comunale. La sentenza chiarisce che l'art. 86 del TUEL si applica anche ai lavoratori autonomi, non solo ai dipendenti, garantendo così il sostegno necessario per lo svolgimento di funzioni pubbliche elettive. La Corte ha rigettato il ricorso del Comune, stabilendo che la norma tutela il diritto di dedicarsi alla carica pubblica senza subire pregiudizi previdenziali, estendendo i benefici dei contributi amministratori locali anche ai professionisti.
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Appalto di manodopera: quando è lecito e quando no
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un lavoratore che contestava un presunto appalto di manodopera illecito. Il caso riguardava un addetto alla pulizia dei vagoni ferroviari, formalmente dipendente di una società di servizi ma operante presso una grande azienda di trasporti. La Corte ha stabilito che, per configurare un'interposizione fittizia, non è sufficiente un mero coordinamento, ma è necessaria la prova che il committente eserciti un potere direttivo, organizzativo e disciplinare diretto sui dipendenti dell'appaltatore, prova che in questo caso non è emersa.
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Compensazione e ritenute fiscali: quando sono dovute?
Un professionista si oppone al versamento delle ritenute fiscali da parte della sua cassa previdenziale su ratei pensionistici non pagati, ma usati in compensazione. La Cassazione chiarisce che la compensazione e ritenute fiscali sono collegate: la ritenuta è dovuta anche su somme non materialmente versate.
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Indennità di riposo: la Cassazione conferma il danno
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un'azienda di trasporti, confermando la condanna al risarcimento del danno a favore di un autista per la sistematica violazione del diritto ai riposi giornalieri e settimanali. La Suprema Corte ha ribadito che, una volta provata la violazione, il danno da usura psicofisica si presume e spetta al datore di lavoro dimostrare di aver concesso un adeguato ristoro, che non può essere frazionato o tardivo. La mancata concessione del riposo, configurandosi come indennità di riposo non goduta, costituisce una lesione di un diritto costituzionalmente garantito.
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Sanzioni Cassa Professionale: quando sono dovute?
La Corte di Cassazione ha stabilito che un professionista, pur essendo dipendente pubblico e non iscritto alla cassa di categoria, è tenuto al versamento del contributo integrativo e delle relative sanzioni cassa professionale se svolge attività libero-professionale. L'appello del professionista, basato su presunta buona fede e vizi procedurali, è stato respinto per inammissibilità, in quanto le contestazioni non sono state formulate secondo i principi di specificità e autosufficienza del ricorso.
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Progressione verticale: quando si applica il blocco?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18385/2024, ha stabilito che in caso di progressione verticale nel pubblico impiego, le norme applicabili al trattamento economico sono quelle in vigore al momento della stipula del contratto, non quelle del bando di concorso. Di conseguenza, il blocco degli aumenti stipendiali introdotto da una legge successiva al bando (ius superveniens) è legittimo e prevale sulle condizioni originarie, in quanto la progressione si considera 'disposta' solo con la formalizzazione del nuovo inquadramento.
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Comunicazione sentenza PEC: la ricevuta fa fede
La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di comunicazione di una sentenza tramite PEC, l'unica prova idonea a dimostrare l'avvenuta notifica è la ricevuta di accettazione e consegna generata dal sistema. Un'attestazione della cancelleria che affermi il contrario non ha valore legale se contraddetta da una ricevuta di mancata consegna. Di conseguenza, se la comunicazione sentenza PEC fallisce e non viene effettuato il successivo deposito in cancelleria, il termine per impugnare non inizia a decorrere.
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Equo indennizzo: calcolo e motivazione della Corte
Un lavoratore ha richiesto un equo indennizzo per l'eccessiva durata di una procedura fallimentare in cui era creditore. La Corte di Cassazione ha respinto sia il ricorso del lavoratore, che chiedeva un importo maggiore, sia quello del Ministero, che contestava la data di inizio del calcolo del ritardo. La Corte ha confermato che il ritardo decorre dalla data di presentazione della domanda di ammissione al passivo e che una motivazione concisa sull'importo dell'indennizzo è sufficiente, purché tenga conto degli elementi chiave del caso.
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Responsabilità datore di lavoro per infortunio
Un lavoratore subisce l'amputazione di un arto a seguito di un incidente con un muletto in magazzino. Il Tribunale afferma la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2049 c.c. per le omissioni del delegato alla sicurezza. La sentenza analizza come il giudicato penale influenzi la causa civile e dettaglia il calcolo del risarcimento, sottraendo gli importi già versati da INAIL e a titolo di provvisionale.
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Equo indennizzo: durata irragionevole e processo
Lavoratori chiedono un equo indennizzo per una procedura fallimentare durata 26 anni. Anche se pagati integralmente, la Cassazione stabilisce che la durata irragionevole del processo causa un pregiudizio che va risarcito, annullando la decisione di merito che aveva negato il diritto.
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Licenziamento giusta causa: inammissibile il ricorso
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un dipendente bancario contro il licenziamento per giusta causa. Il licenziamento era stato motivato da accessi informatici non autorizzati e dal ritrovamento di una cospicua somma di denaro nella sua cassetta di sicurezza. La Corte ha ritenuto il ricorso proceduralmente viziato perché mescolava in modo confuso diverse tipologie di censure e mirava a un riesame dei fatti, precluso in sede di legittimità, soprattutto in presenza di una "doppia conforme" (decisioni identiche dei primi due gradi di giudizio).
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Licenziamento per giusta causa: quando è legittimo?
La Corte di Cassazione conferma il licenziamento per giusta causa di un autista di una ditta di servizi ambientali che si era rifiutato di scaricare i rifiuti, tornando in azienda con il camion carico. La Corte ha qualificato la condotta non come semplice insubordinazione, ma come un comportamento ostruzionistico talmente grave da ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia, legittimando il recesso. La sentenza ha inoltre accolto il ricorso dell'azienda sulla compensazione delle spese legali, stabilendo che la parte totalmente vittoriosa non deve sostenerle.
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Premio di risultato: spetta anche se licenziati?
Una società negava il premio di risultato a lavoratori licenziati prima della data di riferimento prevista da un accordo aziendale. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, stabilendo che la clausola di esclusione si applicava solo alle risoluzioni volontarie del rapporto (dimissioni) e non ai licenziamenti. Di conseguenza, i lavoratori hanno diritto a ricevere il premio di risultato maturato, poiché la cessazione del rapporto non è dipesa dalla loro volontà.
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