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Diritto del Lavoro

Indennità aggiuntiva: spetta per servizio in ETI
La Corte di Cassazione ha confermato il diritto di un ex dipendente pubblico a ricevere l'indennità aggiuntiva di fine servizio anche per il periodo in cui ha lavorato presso un altro ente, l'Ente Tabacchi Italiani (ETI). La Corte ha stabilito che, non essendoci stato un trasferimento definitivo ma solo un'assegnazione temporanea, il rapporto di lavoro con l'amministrazione originaria e l'iscrizione al relativo fondo di previdenza non si sono mai interrotti. Di conseguenza, quel periodo di servizio deve essere computato ai fini del calcolo dell'indennità.
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Indennità aggiuntiva: sì a ex AAMS assegnati a ETI
La Corte di Cassazione ha confermato il diritto all'indennità aggiuntiva di fine servizio per un ex dipendente dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) che era stato temporaneamente assegnato all'Ente Tabacchi Italiani (ETI) senza mai essere trasferito in via definitiva. La Corte ha chiarito che, a differenza dei colleghi transitati stabilmente in ETI, il lavoratore rimasto nel ruolo provvisorio del Ministero ha diritto al computo di tale periodo per il calcolo del beneficio, poiché il rapporto di lavoro con l'amministrazione di origine non si è mai interrotto.
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Indennità aggiuntiva: spetta al dipendente distaccato
Un ex dipendente statale, assegnato temporaneamente a un ente poi privatizzato senza un trasferimento definitivo, ha diritto a vedersi riconosciuta l'indennità aggiuntiva di fine servizio per quel periodo. La Cassazione ha rigettato il ricorso del Fondo di Previdenza, confermando che il rapporto di lavoro resta in capo all'amministrazione di origine, rendendo computabile ai fini del beneficio anche il servizio prestato presso l'altro ente.
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Indennità aggiuntiva: spetta al dipendente ex AAMS
La Corte di Cassazione ha stabilito che un'ex dipendente di un'amministrazione autonoma statale, assegnata temporaneamente a un nuovo ente senza mai essere trasferita in via definitiva, ha diritto a percepire l'indennità aggiuntiva di fine servizio anche per il periodo lavorato presso il nuovo ente. La Corte ha chiarito che, non essendoci stato un trasferimento definitivo, il rapporto di lavoro originario con l'amministrazione di appartenenza e il relativo fondo di previdenza non si è mai interrotto, rendendo valido quel periodo ai fini del calcolo dell'indennità.
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Indennità aggiuntiva: spetta al dipendente distaccato?
La Corte di Cassazione ha stabilito che un ex dipendente di un'amministrazione statale, temporaneamente assegnato a un altro ente senza un trasferimento definitivo, ha diritto a percepire l'indennità aggiuntiva di fine servizio. Il servizio prestato presso l'ente di destinazione deve essere computato, poiché il rapporto di lavoro originario non si è mai interrotto. La Corte ha rigettato il ricorso del Fondo di Previdenza, che sosteneva il contrario, chiarendo la distinzione cruciale tra assegnazione provvisoria e trasferimento definitivo.
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Trasferimento illegittimo: l’accordo aziendale vince
Una dipendente pubblica impugna il suo trasferimento, ritenendolo illegittimo. La Corte di Cassazione conferma le decisioni dei giudici di merito, stabilendo che la violazione dell'accordo aziendale sulla mobilità rende il trasferimento illegittimo, anche se su breve distanza. L'interpretazione dell'accordo spetta al giudice di merito e non può essere ridiscussa in Cassazione.
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Mansioni superiori pubblico impiego: quando spetta?
Una professionista legale impiegata presso un'azienda sanitaria pubblica ha svolto di fatto mansioni dirigenziali senza un incarico formale. La Corte di Cassazione ha confermato il suo diritto a ricevere le differenze retributive, stabilendo un principio chiave per le mansioni superiori pubblico impiego: è decisivo che la posizione esista nella pianta organica dell'ente e che le mansioni siano state effettivamente svolte, a prescindere dalla formalità dell'assegnazione.
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Indebito previdenziale: quando restituire le somme?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 14292/2024, ha stabilito un principio chiave in materia di indebito previdenziale. Anche in assenza di dolo da parte del pensionato, le somme percepite in eccesso devono essere restituite se l'ente previdenziale agisce per il recupero entro i termini di legge, a seguito della comunicazione dei dati reddituali da parte dell'interessato. La tempestività della verifica da parte dell'ente prevale sulla buona fede del percipiente.
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Trasferimento d’azienda: quando non basta la continuità
Una lavoratrice del settore ristorazione ha agito in giudizio sostenendo l'esistenza di un trasferimento d'azienda tra il suo datore di lavoro originario e una nuova società. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che per configurare un trasferimento d'azienda non è sufficiente la mera continuità del personale e dei locali. È indispensabile dimostrare che l'entità economica organizzata abbia conservato la propria identità nel passaggio, prova che nel caso di specie non è stata fornita.
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Obbligo assunzione appalto: il ricorso inammissibile
Un'azienda subentrante in un appalto di servizi di trasporto pubblico è stata condannata ad assumere un lavoratore della precedente gestione. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'azienda perché non ha contestato una delle motivazioni alternative della Corte d'Appello, fondata sull'obbligo assunzione appalto previsto dalla clausola sociale del CCNL e del capitolato.
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Pensione di reversibilità: non si eredita due volte
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14287/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di pensione di reversibilità: questo diritto non può essere trasmesso ulteriormente agli eredi del beneficiario. Il caso riguardava la richiesta di una figlia di ottenere la pensione di reversibilità della madre, la quale era a sua volta titolare di una pensione di reversibilità per la morte del marito. La Corte ha accolto il ricorso dell'ente previdenziale, chiarendo che il diritto sorge solo in favore dei superstiti del titolare di una pensione diretta, e non può essere oggetto di un'ulteriore successione.
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Uso aziendale: quando la prassi diventa obbligo
Un'azienda ha interrotto dopo quattro anni il pagamento di un'indennità a un gruppo di dipendenti. La Corte di Cassazione ha confermato che tale comportamento prolungato e generalizzato ha creato un 'uso aziendale', trasformando la prassi in un diritto acquisito per i lavoratori. L'indennità, quindi, non poteva essere unilateralmente revocata e deve essere considerata parte integrante della retribuzione.
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Impugnazione estratto di ruolo: quando si può agire?
Un professionista ha impugnato un estratto di ruolo per contributi previdenziali non versati. La Corte di Cassazione, applicando una nuova normativa (ius superveniens), ha dichiarato l'azione inammissibile. La Corte ha stabilito che l'impugnazione estratto di ruolo è consentita solo se il contribuente dimostra un pregiudizio concreto e specifico, come l'impossibilità di partecipare a gare d'appalto o la perdita di benefici. In assenza di tale prova, manca l'interesse ad agire, condizione essenziale per l'azione legale. La sentenza d'appello è stata quindi annullata senza rinvio.
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Interpretazione transazione: la Cassazione decide
Un ex dipendente ha richiesto il pagamento del TFR, sostenendo che non fosse incluso in un precedente accordo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che l'interpretazione transazione spetta al giudice di merito, soprattutto in presenza di una 'doppia conforme', ovvero quando due sentenze di grado inferiore giungono alla stessa conclusione sui fatti. La Corte ha stabilito che la somma 'onnicomprensiva' pattuita nell'accordo includeva anche il TFR, confermando la decisione dei giudici di merito.
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Obbligazione retributiva e cessione di ramo d’azienda
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14265/2024, ha stabilito che le somme dovute al lavoratore a seguito di una cessione di ramo d'azienda dichiarata illegittima hanno natura di obbligazione retributiva e non risarcitoria. La Corte ha chiarito che una precedente sentenza tra le stesse parti, che qualificava diversamente le somme per periodi anteriori, non costituisce un giudicato esterno sulla qualificazione giuridica della pretesa per periodi successivi. Di conseguenza, il datore di lavoro cedente è tenuto a corrispondere le retribuzioni anche se non ha ricevuto la prestazione lavorativa, purché questa sia stata offerta dal dipendente.
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Contratti a termine agricoltura: stop agli abusi
Un lavoratore agricolo, impiegato per decenni da un ente pubblico con continui contratti a termine, ha visto riconosciuto il proprio diritto. La Cassazione, ribaltando la decisione d'appello, ha stabilito che un ente pubblico non economico non è un imprenditore agricolo e non può abusare delle deroghe sui contratti a termine agricoltura. L'eccezione della stagionalità va interpretata in modo restrittivo e la prova spetta al datore di lavoro.
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Contratti a termine agricoli: limiti e stagionalità
La Corte di Cassazione interviene sulla questione della reiterazione dei contratti a termine agricoli stipulati da un ente pubblico. Con l'ordinanza n. 14251/2024, ha stabilito che un ente pubblico non economico non può essere qualificato come "imprenditore agricolo" e, pertanto, non può beneficiare delle deroghe previste per il settore. La Corte ha inoltre fornito un'interpretazione restrittiva del concetto di "stagionalità", escludendo le attività continuative. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio per un nuovo esame.
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Rinuncia al ricorso: gli effetti sulla causa
Un dipendente pubblico, dopo aver impugnato in Cassazione il proprio licenziamento disciplinare, presenta una rinuncia al ricorso. La Corte Suprema, pur in assenza di notifica e accettazione della controparte, dichiara il ricorso inammissibile. La sentenza chiarisce che la rinuncia, sebbene non estingua formalmente il processo in questo caso, è un chiaro indicatore della sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente, motivando così la decisione e la compensazione delle spese legali.
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Compenso lavoro festivo: la tripla retribuzione
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un'azienda sul calcolo del compenso lavoro festivo. La Corte ha confermato la corretta interpretazione del CCNL, che prevede una tripla retribuzione (paga normale, paga per il lavoro svolto e maggiorazione) per le festività lavorate, sottolineando la formazione di un giudicato interno sulla questione.
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Rapporto di lavoro subordinato: ricorso inammissibile
Un lavoratore ha impugnato la decisione della Corte d'Appello che negava l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con una grande società di spedizioni. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, applicando la regola della "doppia conforme" e ribadendo che non è possibile un riesame dei fatti in sede di legittimità.
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