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Diritto del Lavoro

Prescrizione contributi Gestione Separata: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di prescrizione dei contributi dovuti alla Gestione Separata, il termine quinquennale decorre non dalla scadenza originaria, ma dalla data prorogata da un DPCM. Un professionista aveva ottenuto in appello l’annullamento di una richiesta di pagamento, ritenuta prescritta. La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’ente previdenziale, chiarendo che il differimento del termine di versamento sposta anche il ‘dies a quo’ della prescrizione. La richiesta dell’ente, avvenuta prima della nuova scadenza quinquennale, era quindi valida.

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Progressione di carriera: vale come assunzione?

Una lavoratrice, trasferita e promossa, si è vista contestare la promozione dalla società. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione d’appello, stabilendo due principi chiave: la progressione di carriera non è una nuova assunzione e non è soggetta alle regole del reclutamento pubblico. Inoltre, una precedente sentenza che validava il contratto era vincolante (giudicato) e non poteva essere ignorata.

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Contributo di solidarietà: la Cassazione lo boccia

La Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità del contributo di solidarietà imposto da una cassa di previdenza privata sulla pensione di un suo iscritto. Secondo la Corte, un simile prelievo, essendo una prestazione patrimoniale, richiede una base legale specifica (riserva di legge) che non può essere sostituita da un regolamento interno dell’ente. La decisione ha inoltre ribadito che il termine per richiedere il rimborso delle somme indebitamente trattenute è di dieci anni.

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Grave insubordinazione: l'insulto giustifica il licenziamento

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un licenziamento per giusta causa inflitto a una lavoratrice per grave insubordinazione. Il caso riguardava un singolo episodio in cui la dipendente aveva rivolto un epiteto offensivo al proprio superiore. La Corte ha stabilito che un atto di tale gravità, avvenuto in un contesto di dissenso lavorativo e davanti a terzi, è sufficiente a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, rendendo superflua la valutazione di altri elementi come la reiterazione della condotta.

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Indennità supplementare: vince il contratto individuale

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, stabilendo che una generica “indennità supplementare” prevista nel contratto individuale di un lavoratore, senza ulteriori specificazioni, deve essere interpretata come un trattamento di maggior favore e non come un superminimo assorbibile. L’azienda che sosteneva una diversa natura dell’emolumento non ha fornito prove sufficienti a superare l’interpretazione letterale del contratto. La Corte ha ribadito che l’onere di dimostrare un intento diverso o un errore ricade sul datore di lavoro.

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Inquadramento superiore: le mansioni prevalgono

La Corte di Cassazione conferma il diritto di un lavoratore all’inquadramento superiore, stabilendo che la valutazione deve basarsi sulle mansioni concretamente svolte e non sulla denominazione o complessità della struttura aziendale. La sentenza rigetta l’appello di una società che distingueva tra diverse tipologie di sale operative senza un supporto normativo o contrattuale. Viene inoltre ribadito che la prescrizione dei crediti retributivi decorre dalla fine del rapporto di lavoro, a causa della ridotta stabilità introdotta dalle recenti riforme.

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Licenziamento disciplinare: quando va annullato?

Un lavoratore, licenziato per aver reso una testimonianza in tribunale ritenuta contrastante con precedenti dichiarazioni, ha visto la sua causa arrivare in Cassazione. La Suprema Corte ha annullato la decisione della Corte d’Appello, stabilendo che il giudice di merito ha l’obbligo di verificare se il contratto collettivo applicabile preveda sanzioni conservative per la condotta contestata. La mancata valutazione della proporzionalità della sanzione rende illegittimo il licenziamento disciplinare.

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Estinzione del giudizio per inerzia del ricorrente

La Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del giudizio d’appello poiché il ricorrente non ha risposto alla proposta di definizione del giudizio entro il termine di 40 giorni, come previsto dall’art. 380-bis c.p.c. Tale silenzio viene equiparato a una rinuncia al ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese legali a favore della controparte.

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Contributi previdenziali: redditi da S.a.s. inclusi

La Corte di Cassazione ha stabilito che un lavoratore autonomo, iscritto alla gestione commercianti, deve versare i contributi previdenziali sulla totalità dei redditi d’impresa, includendo anche quelli derivanti dalla partecipazione come socio accomandante in una S.a.s., anche se non svolge attività lavorativa in tale società. La decisione si fonda sul principio di trasparenza fiscale applicabile alle società di persone, che qualifica tali proventi come reddito d’impresa per il socio.

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Onere della prova: Cassazione su lavoro subordinato

Un lavoratore agricolo ha richiesto la trasformazione del suo contratto a termine in uno a tempo indeterminato, ma sia la Corte d’Appello che la Cassazione hanno respinto la domanda. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’onere della prova sulla natura e durata del rapporto di lavoro grava interamente sul lavoratore. Poiché le prove non erano sufficienti, il ricorso è stato rigettato, confermando che la valutazione del merito non può essere riesaminata in sede di legittimità.

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Estinzione del giudizio: la rinuncia al ricorso

Una società di trasporti aveva impugnato una sentenza della Corte d’Appello. La Corte di Cassazione, dopo aver formulato una proposta di definizione del giudizio, ha dichiarato l’estinzione del giudizio stesso. La decisione è stata presa perché la società ricorrente non ha chiesto una decisione sul ricorso entro il termine di 40 giorni, un’inerzia che la legge interpreta come una rinuncia. Di conseguenza, la società è stata condannata a pagare le spese legali.

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Prescrizione Fondo Garanzia INPS: la notifica decide

La Corte di Cassazione chiarisce la differenza tra decadenza e prescrizione Fondo Garanzia INPS. Mentre per la decadenza vale il termine di 300 giorni per l’esaurimento del procedimento amministrativo, la prescrizione annuale, che riprende a decorrere dopo tale periodo, si interrompe solo con la notifica del ricorso giudiziale all’ente, non con il mero deposito. Un ricorso notificato oltre l’anno dalla fine della sospensione è prescritto.

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Estinzione del giudizio: chi paga le spese legali?

Un’ordinanza chiarisce le conseguenze dell’estinzione del giudizio per rinuncia. Anche senza accettazione, la parte che rinuncia può essere condannata alle spese legali in base al principio di soccombenza virtuale, se il suo ricorso era verosimilmente infondato.

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Blocco stipendi PA: non si applica al privato

Una lavoratrice di un Comune, assunta con contratto di diritto privato del settore edile, si è vista negare gli aumenti contrattuali a causa delle norme sul blocco stipendi pubblico impiego. La Corte di Cassazione ha accolto il suo ricorso, stabilendo che il blocco della contrattazione collettiva previsto per il settore pubblico (art. 9, c. 17, D.L. 78/2010) non si applica ai rapporti di lavoro regolati da CCNL privati, anche se il datore di lavoro è un ente pubblico. La Corte ha distinto tale blocco da quello, più generale e temporalmente limitato, relativo al trattamento economico individuale.

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Diritto all'assunzione: quando la P.A. può negarlo?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto all’assunzione di un candidato vincitore di un concorso pubblico non è assoluto. Se una nuova legge (ius superveniens) modifica l’organizzazione dell’amministrazione, eliminando la necessità del posto messo a concorso, la P.A. ha il potere-dovere di non procedere all’assunzione. Nel caso specifico, il trasferimento delle funzioni sanitarie dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale ha legittimamente impedito l’assunzione di un’infermiera vincitrice di concorso, senza che ciò comporti un risarcimento del danno.

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Contrattazione integrativa: i limiti del ricorso

Una docente impugna il diniego di trasferimento basato sulla presunta errata applicazione della contrattazione integrativa. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, chiarendo che non può interpretare direttamente la contrattazione integrativa, a meno che non si lamenti un contrasto con norme di legge imperative o con la contrattazione nazionale.

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Incarico dirigenziale sanità: no all'automatismo

Un dirigente medico ha citato in giudizio un’azienda sanitaria per non aver ricevuto un incarico professionale dopo cinque anni di servizio. Sebbene i tribunali di merito gli avessero dato ragione, la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione. La Suprema Corte ha chiarito che l’ottenimento di un incarico dirigenziale sanità non è un diritto automatico, ma è subordinato a tre condizioni essenziali: la reale disponibilità di posti, la copertura finanziaria e il superamento di una procedura di selezione. Poiché il medico non ha dimostrato la sussistenza di tali presupposti, la sua richiesta di risarcimento è stata respinta.

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Estinzione del giudizio: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio in un caso di diritto del lavoro. La decisione è scaturita dall’inerzia del ricorrente che, dopo aver ricevuto una proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., non ha richiesto una decisione sul merito del ricorso entro il termine di quaranta giorni. Tale silenzio è stato interpretato come una rinuncia implicita all’impugnazione, portando alla chiusura del procedimento e alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese legali.

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Diritto all'assunzione: cosa succede se cambia la legge

Un vincitore di un concorso pubblico per un ruolo sanitario presso il Ministero della Giustizia si è visto negare l’impiego. La Corte di Cassazione ha confermato che il suo diritto all’assunzione è stato annullato da una legge successiva che ha trasferito le funzioni sanitarie dal Ministero al Servizio Sanitario Nazionale. Questo cambiamento organizzativo ha reso l’assunzione giuridicamente impossibile, anche dopo la fine di un precedente blocco delle assunzioni.

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Cessione ramo d'azienda: doppio stipendio legittimo?

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di cessione ramo d’azienda dichiarata illegittima, il lavoratore ha diritto alla retribuzione completa dal datore di lavoro originario (cedente) dal momento in cui offre la propria prestazione. La somma percepita dal datore di lavoro di fatto (cessionario) non può essere detratta, poiché si originano due rapporti di lavoro distinti: uno ‘de iure’ con il cedente e uno ‘de facto’ con il cessionario. La Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando il principio della non detraibilità delle somme percepite altrove.

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