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Diritto del Lavoro

Rinuncia al ricorso in Cassazione: le conseguenze

Una lavoratrice del settore sanitario ha presentato ricorso in Cassazione per il mancato riconoscimento del ‘tempo tuta’. Tuttavia, prima dell’udienza, ha effettuato una rinuncia al ricorso. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, chiarendo che, a differenza di altri gradi di giudizio, nel procedimento di cassazione la rinuncia non necessita dell’accettazione della controparte per essere efficace. Di conseguenza, le spese legali sono state compensate tra le parti e non è stata applicata la sanzione del raddoppio del contributo unificato.

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Estinzione del giudizio: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio in un caso di diritto del lavoro. La società ricorrente non ha dato seguito alla proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. entro il termine di quaranta giorni. Tale inerzia è stata interpretata come rinuncia al ricorso, comportando la condanna della società al pagamento delle spese processuali in favore della controparte.

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Assegno di sede: parità tra docenti a tempo determinato

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21695/2025, ha stabilito un importante principio di parità di trattamento. Ha sancito che i docenti a tempo determinato in servizio all’estero hanno diritto a percepire l’assegno di sede nella stessa misura prevista per i colleghi a tempo indeterminato. La Corte ha ritenuto che non sussistano ragioni oggettive per giustificare una disparità economica, annullando la precedente decisione della Corte d’Appello e basando la propria pronuncia sul principio di non discriminazione sancito dalla direttiva europea 1999/70/CE.

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Danno mancata pausa: il risarcimento è dovuto

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’azienda sanitaria, confermando la condanna al risarcimento per il danno da mancata pausa. La Corte ha stabilito che la violazione sistematica per dieci anni del diritto alla pausa di 10 minuti per i dipendenti del servizio di emergenza integra un danno da usura psicofisica, la cui esistenza può essere provata anche tramite presunzioni basate sulla gravità e durata dell’inadempimento, senza necessità di una prova specifica del pregiudizio biologico.

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Cessione ramo d'azienda: il diritto alla doppia paga

Una lavoratrice, illegittimamente trasferita attraverso una cessione ramo d’azienda, ha visto ripristinato il suo rapporto di lavoro con il datore originale. La Corte di Cassazione ha confermato che, se il datore di lavoro originale non la reintegra, deve corrisponderle l’intera retribuzione, anche se la lavoratrice ha continuato a lavorare e a percepire uno stipendio dalla nuova società. Il pagamento del cessionario non estingue il debito del cedente.

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Licenziamento ritorsivo: quando la prova non basta

Una lavoratrice, licenziata per presunta divulgazione di dati aziendali, ricorre in Cassazione per far riconoscere la natura ritorsiva del recesso. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito che, pur riconoscendo l’illegittimità del licenziamento per mancanza di prova del fatto contestato, avevano escluso la sussistenza di un intento punitivo unico e determinante da parte del datore di lavoro, elemento necessario per qualificare il licenziamento ritorsivo.

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Estinzione del giudizio: la Cassazione decide

Una società di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha formulato una proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. Poiché la società ricorrente non ha chiesto una decisione sul merito entro il termine di 40 giorni, la Corte ha dichiarato l’estinzione del giudizio per rinuncia presunta, condannando la stessa società al pagamento delle spese legali.

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Indennità sostitutiva: onere della prova sul datore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso di un ente pubblico, stabilendo che in caso di mancata fruizione del riposo compensativo, spetta al datore di lavoro dimostrare di averlo concesso. Il lavoratore deve solo allegare di non aver goduto del riposo, senza necessità di provare una previa richiesta formale. La mancata concessione del riposo per esigenze di servizio obbliga il datore al pagamento dell’indennità sostitutiva riposo compensativo, qualificata come un inadempimento contrattuale.

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Estinzione ricorso Cassazione: silenzio e conseguenze

Una società di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione. A seguito di una proposta di definizione del giudizio, la società non ha richiesto una decisione entro 40 giorni. La Corte ha quindi dichiarato l’estinzione del ricorso per Cassazione, equiparando il silenzio a una rinuncia e condannando la società al pagamento delle spese legali.

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Lavoro effettivo: anche senza prestazione per colpa datoriale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19630/2025, ha stabilito che il requisito del “lavoro effettivo” per l’accesso all’indennità NASpI è soddisfatto anche quando il dipendente è impossibilitato a svolgere la propria mansione a causa di un ingiustificato rifiuto da parte del datore di lavoro. Secondo la Corte, il concetto di “lavoro effettivo” ha una valenza giuridica e non meramente naturalistica, comprendendo tutti i periodi in cui il rapporto di lavoro è attivo e dà diritto a retribuzione e contribuzione. Di conseguenza, è stata annullata la decisione della Corte d’Appello che richiedeva la presenza fisica del lavoratore, penalizzandolo per una condotta illecita del datore.

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Estinzione del giudizio: la Cassazione decide

Una società di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello. A seguito della proposta di definizione del giudizio formulata dalla Corte, la società non ha chiesto la decisione del ricorso nel termine di 40 giorni. La Cassazione ha quindi dichiarato l’estinzione del giudizio per presunta rinuncia, condannando la società al pagamento delle spese legali.

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Decadenza contratti a termine: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19256/2025, ha rigettato il ricorso di una lavoratrice che contestava l’abusiva reiterazione di contratti a termine con la Pubblica Amministrazione per oltre vent’anni. La Corte ha stabilito che la decadenza contratti a termine, prevista dall’art. 32 della L. 183/2010, si applica anche alle azioni volte a far valere il superamento del limite massimo di 36 mesi. Per interrompere la decadenza, è sufficiente impugnare tempestivamente l’ultimo contratto della serie, poiché tale atto permette di considerare l’intera sequenza contrattuale come prova dell’abuso. Nel caso specifico, non essendo stato impugnato nemmeno l’ultimo contratto nei termini di legge, la domanda è stata dichiarata inammissibile.

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Estinzione del giudizio: il silenzio che costa caro

Un decreto della Corte di Cassazione chiarisce che la mancata richiesta di decisione entro 40 giorni dalla proposta del giudice comporta l’estinzione del giudizio. Il ricorrente, rimasto inerte, viene condannato al pagamento delle spese legali. Questo caso evidenzia le gravi conseguenze processuali del silenzio dopo una proposta di definizione accelerata del ricorso.

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Prescrizione crediti lavoro: il caso LSU nella PA

Una lavoratrice impiegata per anni da un Comune come lavoratrice socialmente utile (LSU) ha ottenuto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato di fatto. La Corte di Cassazione ha però stabilito che la prescrizione crediti lavoro decorre anche in costanza di rapporto. A differenza del settore privato, nel pubblico impiego non si può configurare un timore del licenziamento (metus) che sospenda la prescrizione, poiché la legge esclude la possibilità di stabilizzazione. La Corte ha quindi confermato la decisione d’appello che aveva ridotto le somme dovute alla lavoratrice applicando la prescrizione quinquennale.

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Onere probatorio datore di lavoro: no a prove delegate

Una datrice di lavoro, condannata a pagare retribuzioni arretrate a una collaboratrice domestica, ricorre in Cassazione sostenendo che i giudici avrebbero dovuto ordinare alla lavoratrice di esibire documenti fiscali. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che l’onere probatorio del datore di lavoro sul pagamento non può essere trasferito al dipendente, specialmente quando esistono altri mezzi per dimostrare l’avvenuta corresponsione.

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Estinzione del giudizio: la rinuncia al ricorso

Un complesso caso di diritto del lavoro, incentrato su un presunto demansionamento a seguito di distacco, si conclude in Cassazione con una declaratoria di estinzione del giudizio. A seguito della rinuncia al ricorso da parte della società ricorrente e dell’adesione delle altre parti, la Corte Suprema ha terminato il procedimento senza pronunciarsi nel merito, evidenziando il ruolo degli atti procedurali nel definire le controversie.

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Equo premio inventore: si applica la norma più recente

Un ricercatore, inventore di un dispositivo medico durante il rapporto di lavoro, ha richiesto l’adeguamento del suo equo premio. Un regolamento del 2013 aveva aumentato il compenso dal 20% al 50%. L’ente di ricerca sosteneva l’applicazione della vecchia norma, in vigore all’epoca dell’invenzione. La Corte di Cassazione ha dato ragione al ricercatore, stabilendo che il nuovo regolamento si applica a tutte le “procedure in corso”, includendo quindi anche i pagamenti futuri per invenzioni passate, senza che ciò costituisca un’applicazione retroattiva della legge.

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Verbale di conciliazione: quando è valido e inattaccabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19302/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un lavoratore che contestava la validità di un verbale di conciliazione. Il caso era iniziato con una richiesta di differenze retributive e l’impugnazione di un licenziamento. Sebbene il Tribunale avesse dato ragione al lavoratore, la Corte d’Appello aveva drasticamente ridotto le somme dovute proprio in virtù del precedente accordo. La Cassazione ha confermato che l’interpretazione del verbale di conciliazione è un’attività riservata ai giudici di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, ribadendo la stabilità degli accordi raggiunti in sede protetta.

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Sviamento clientela: risarcimento e prova in giudizio

Un’azienda di logistica cita in giudizio un suo ex dirigente e la società concorrente presso cui è stato assunto, accusandoli di concorrenza sleale per storno di dipendenti e sviamento di clientela. Il Tribunale accoglie parzialmente la domanda, escludendo lo storno ma riconoscendo lo sviamento clientela. I convenuti sono stati condannati in solido a un risarcimento di 550.000 euro, calcolato sulla base del margine di contribuzione perso dall’azienda a causa della clientela illecitamente sottratta.

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Estinzione giudizio Cassazione: il silenzio costa

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio promosso da una società di trasporti contro alcuni ex dipendenti. La decisione si basa sull’inerzia della società ricorrente, la quale, dopo aver ricevuto una proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., non ha chiesto una decisione sul ricorso entro il termine di quaranta giorni. Tale silenzio è stato interpretato dalla legge come una rinuncia al ricorso, portando alla inevitabile estinzione del giudizio in Cassazione e alla condanna della società al pagamento delle spese legali.

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