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Diritto del Lavoro

Recesso per giusta causa: quando è inammissibile?
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un agente che aveva invocato il recesso per giusta causa a seguito dell'invio non autorizzato di una mail alla sua clientela da parte della banca preponente. La Corte ha ribadito che la valutazione dei fatti che costituiscono giusta causa è di competenza esclusiva dei giudici di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità se la motivazione è congrua, soprattutto in presenza di una "doppia conforme" delle sentenze di primo e secondo grado.
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Patto di non concorrenza: valido con fisso mensile?
Un lavoratore contesta la validità di un patto di non concorrenza, sostenendo che il corrispettivo mensile fisso in un contratto a tempo indeterminato fosse indeterminato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che un criterio predeterminato, come una cifra mensile fissa, rende il corrispettivo sufficientemente determinabile, escludendone la nullità. Le altre censure, relative a una penale, sono state dichiarate inammissibili.
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Giustificato motivo oggettivo: quando è pretestuoso?
La Cassazione chiarisce i confini del controllo sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Se la ragione organizzativa addotta dall'azienda risulta pretestuosa e non veritiera, il licenziamento è illegittimo e scatta la reintegrazione. Il giudice non valuta la convenienza della scelta, ma la sua effettiva esistenza e il nesso causale con il recesso.
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Doppia conforme: quando l’appello è inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due lavoratori che chiedevano differenze retributive per un presunto errato inquadramento contrattuale. La decisione si basa sul principio della 'doppia conforme', poiché sia il Tribunale che la Corte d'Appello avevano respinto la domanda con motivazioni sostanzialmente identiche, impedendo un ulteriore esame dei fatti in sede di legittimità.
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Revocazione per errore di fatto: quando è inammissibile
Un cittadino ha richiesto la revocazione di un'ordinanza della Corte di Cassazione, lamentando un errore di fatto nel rigetto della sua domanda di regolarizzazione contributiva. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che la doglianza del ricorrente non verteva su un errore di fatto, bensì su un presunto errore di giudizio nell'interpretazione delle prove e delle norme, che non rientra tra i presupposti per la revocazione. Inoltre, l'errore lamentato era irrilevante poiché la decisione originale si fondava su un'altra autonoma motivazione di inammissibilità.
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Notifica atti: Cassazione su termini e validità
Una contribuente si oppone a un preavviso di ipoteca sostenendo la prescrizione del credito e l'irregolarità della notifica atti. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La sentenza sottolinea che l'impugnazione tardiva dell'ordinanza-ingiunzione originaria rende la pretesa definitiva e che la notifica a un familiare convivente è valida se seguita da una raccomandata informativa.
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Revocazione sentenza: errore di fatto o di giudizio?
Una lavoratrice chiede la revocazione di una sentenza della Cassazione, sostenendo un errore di fatto nella valutazione del suo caso per la regolarizzazione dei contributi previdenziali. La Corte respinge l'istanza, specificando che una valutazione errata delle prove o degli atti processuali costituisce un errore di giudizio, non un errore di fatto, che è l'unico presupposto per una revocazione sentenza. Il ricorso viene quindi dichiarato inammissibile.
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Giusta causa di recesso: quando l’agente può usarla
Un promotore finanziario ha invocato la giusta causa di recesso dal contratto di agenzia con una banca, lamentando inadempimenti a seguito di un'operazione societaria. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni di merito. Ha precisato che, sebbene l'istituto si applichi all'agenzia, la valutazione della gravità è più rigorosa e l'agente non ha fornito prove sufficienti di un inadempimento grave da parte della banca preponente.
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Patto di non concorrenza: la forma scritta è derogabile
Una società ha contestato il pagamento di un'indennità per patto di non concorrenza al suo ex agente, sostenendo che un accordo tacito di risoluzione anticipata del contratto fosse invalido perché il contratto stesso richiedeva modifiche scritte. La Corte di Cassazione ha respinto tale tesi, affermando che la forma scritta convenzionale per le modifiche può essere derogata tacitamente dalle parti. Di conseguenza, il patto di non concorrenza rimane efficace. Il caso è stato rinviato per ricalcolare l'importo dell'indennità, poiché era stato erroneamente trascurato il fatto che l'agente avesse fornito prove del suo status di monomandatario.
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Ripetizione differenze retributive: quando si restituisce
La Corte di Cassazione ha stabilito che un datore di lavoro ha diritto alla ripetizione delle differenze retributive versate a un dipendente per un inquadramento superiore, qualora tale inquadramento venga successivamente annullato e non vi sia prova che il lavoratore abbia effettivamente svolto le mansioni superiori. In questo caso, gli eredi di un dipendente si opponevano alla trattenuta effettuata da una fondazione culturale sull'ultima busta paga. La Corte ha rigettato il ricorso, affermando che il pagamento era avvenuto senza una valida causa legale (sine titulo) e che la buona fede del lavoratore non impedisce la restituzione del capitale, ma influisce solo sugli interessi.
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Finestra mobile pensione: si applica agli invalidi?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 22063/2024, ha stabilito che la cosiddetta finestra mobile pensione, ovvero il differimento di 12 mesi per l'accesso al trattamento pensionistico, si applica anche ai lavoratori con un'invalidità pari o superiore all'80% che accedono alla pensione di vecchiaia anticipata. La Suprema Corte ha riformato la decisione della Corte d'Appello, la quale aveva escluso tale differimento, accogliendo il ricorso dell'ente previdenziale e affermando l'ampia portata applicativa della norma.
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Stabilità d’impiego: esonero contributi per Autorità
La Corte di Cassazione ha stabilito che la stabilità d'impiego garantita ai dipendenti delle Autorità Portuali, quali enti pubblici non economici, giustifica l'esonero dal versamento dei contributi per la disoccupazione involontaria. L'ente previdenziale aveva richiesto il pagamento di tali somme, ma le corti hanno confermato che la natura pubblica dell'ente datore di lavoro impedisce licenziamenti per motivi economici, configurando così la stabilità richiesta dalla legge per l'esclusione dall'obbligo contributivo.
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Tetto pensionistico INPDAI: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha stabilito che il tetto pensionistico INPDAI si applica anche ai lavoratori che hanno maturato contributi in altre gestioni prima di transitare in INPDAI e successivamente nell'AGO. La Corte ha annullato la decisione di merito che escludeva tale limite, affermando che la normativa sulla confluenza dell'INPDAI nell'INPS impone di considerare le regole originarie, incluso il massimale, per il calcolo della quota di pensione di competenza. Il caso è stato rinviato alla Corte d'Appello per un nuovo esame.
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Lavoro subordinato: la prova della subordinazione
Una lavoratrice ha richiesto il riconoscimento del suo rapporto di lavoro come subordinato, ma la sua domanda è stata respinta a tutti i livelli di giudizio. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, sottolineando che la prova della sola presenza sul luogo di lavoro non è sufficiente. Per qualificare un rapporto come lavoro subordinato, è indispensabile dimostrare l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro, elemento che nel caso di specie non è stato provato.
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Controllo agenzie investigative: quando è illegittimo?
La Corte di Cassazione ha confermato l'illegittimità di un licenziamento basato sulle prove raccolte da un'agenzia investigativa. Il caso riguarda il controllo agenzie investigative sulla prestazione lavorativa di una guardia giurata. La Corte ha stabilito che tale controllo, se volto a verificare l'adempimento della prestazione, viola lo Statuto dei Lavoratori, rendendo le prove inutilizzabili.
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Rinuncia al ricorso: estinzione del processo in Cassazione
Un'azienda, dopo aver impugnato in Cassazione una sentenza che annullava il licenziamento di un dipendente, ha presentato una rinuncia al ricorso. La Suprema Corte ha dichiarato l'estinzione del processo, chiarendo che tale atto non richiede l'accettazione della controparte e comporta importanti conseguenze sulla condanna alle spese e sull'inapplicabilità del raddoppio del contributo unificato.
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Lavoro socio cooperativa: quando è subordinato?
Una società cooperativa ha contestato la richiesta di ingenti contributi previdenziali da parte dell'Ente Previdenziale, che aveva riqualificato i rapporti con i soci come lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della cooperativa, confermando la decisione dei giudici di merito. La Corte ha stabilito che, ai fini della classificazione del rapporto di lavoro socio cooperativa, prevalgono le concrete modalità di svolgimento della prestazione rispetto alla qualificazione formale data dalle parti. L'aver inizialmente optato per il regime contributivo dei lavoratori dipendenti costituisce un forte indizio a sfavore della tesi della cooperativa, che non è riuscita a provare la natura autonoma dei rapporti.
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Licenziamento per giusta causa: la prova per presunzioni
Un dirigente è stato licenziato per giusta causa, accusato di aver utilizzato un intermediario per sollecitare tangenti da fornitori. La Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento, stabilendo che la società aveva fornito sufficienti prove indiziarie (prova per presunzioni) a sostegno dell'accusa di grave inadempimento. La Corte ha sottolineato che in un licenziamento per giusta causa, il datore di lavoro non necessita di prove dirette, ma può basarsi su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti.
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Termine notifica sanzione: quando inizia a decorrere?
Un datore di lavoro è stato sanzionato per l'impiego di un dipendente senza preventiva comunicazione. In seguito al ricorso, la Corte di Cassazione ha confermato la validità della sanzione, stabilendo che il termine notifica sanzione di 90 giorni non decorre dal giorno della violazione, ma dalla conclusione del procedimento di accertamento da parte dell'autorità. La congruità della durata dell'accertamento è una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità se ben motivata.
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Sanzione disciplinare: modifica postazione e doveri
La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di una sanzione disciplinare conservativa (sospensione di tre giorni) inflitta a una lavoratrice per aver modificato unilateralmente la propria postazione di lavoro. La lavoratrice si era difesa sostenendo di aver agito in buona fede e di non conoscere le specifiche norme di sicurezza. La Corte ha stabilito che l'esperienza della dipendente imponeva un dovere di diligenza che esclude la possibilità di alterare macchinari aziendali senza autorizzazione, rendendo irrilevante la non conoscenza della norma specifica.
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