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Diritto del Lavoro

Abuso contratti a termine: No alla conversione nel P.A.
Una lavoratrice sanitaria, impiegata per anni con contratti a termine e di somministrazione presso un'azienda sanitaria pubblica, ha denunciato l'abuso contratti a termine. La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito: pur riconoscendo l'illegittimità della reiterazione dei contratti e il diritto della lavoratrice a un risarcimento del danno, ha escluso la possibilità di convertire il rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato. La decisione si fonda sul divieto imposto dalla legge per il settore pubblico (art. 36, D.Lgs. 165/2001), che prevede l'accesso tramite concorso. Entrambi i ricorsi, della lavoratrice e dell'azienda, sono stati dichiarati inammissibili per vizi procedurali.
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Lavoro subordinato: quando gli indizi contano di più
Un lavoratore ha chiesto il riconoscimento del suo rapporto ultra-trentennale con una tipografia come lavoro subordinato. Dopo il rigetto nei primi due gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha accolto il suo ricorso. La Corte ha stabilito che i giudici d'appello hanno errato nel non considerare adeguatamente gli elementi sussidiari (come la lunga durata, l'uso di strumenti aziendali e l'assenza di fatture), che sono decisivi per qualificare un rapporto come lavoro subordinato, specialmente in mansioni tecnico-professionali.
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Liquidazione giudiziale: quando si dichiara?
Un creditore, titolare di un credito da lavoro, ha richiesto con successo la liquidazione giudiziale di una società. Il Tribunale ha dichiarato lo stato di insolvenza sulla base di molteplici indicatori, tra cui ingenti debiti previdenziali, la mancata presentazione dei bilanci e l'esito negativo di precedenti azioni esecutive. La mancata costituzione in giudizio della società debitrice è stata un fattore decisivo, poiché non ha fornito la prova contraria sull'assoggettabilità alla procedura.
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Inquadramento superiore: quando le mansioni contano
La Corte di Cassazione ha confermato il diritto di una lavoratrice a un inquadramento superiore, basandosi sulle mansioni effettivamente svolte di 'eco-informatrice' e non sulla qualifica formale. La sentenza stabilisce che gli accordi sindacali successivi al periodo lavorativo in questione non possono pregiudicare i diritti già acquisiti dal dipendente. La decisione ribadisce il principio della prevalenza della sostanza sulla forma nel rapporto di lavoro, sottolineando che l'analisi delle attività concretamente eseguite è decisiva per determinare il corretto livello contrattuale.
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Ricalcolo TFR: quali voci includere nella base?
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un gruppo di lavoratori contro un'azienda di gestione autostradale, stabilendo un principio chiave per il ricalcolo TFR. La Corte ha chiarito che, per legge, tutte le somme corrisposte in modo non occasionale devono essere incluse nella base di calcolo del TFR. Un contratto collettivo può derogare a questa regola solo con una previsione esplicita e inequivocabile, non per implicita esclusione. L'onere di provare tale esclusione spetta al datore di lavoro. La sentenza d'appello, che aveva erroneamente invertito l'onere della prova, è stata annullata con rinvio per un nuovo esame.
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Lite temeraria: ricorso inammissibile dopo accordo
Una società propone ricorso in Cassazione contro una sentenza di risarcimento danni a favore di un ex dipendente, nonostante avesse già firmato una conciliazione giudiziale rinunciando all'azione. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile per carenza di interesse ad agire e condanna la società per lite temeraria, sanzionando l'abuso dello strumento processuale e la violazione dei doveri di lealtà e probità.
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Rivalutazione redditi pensione: il calcolo corretto
Un professionista ha richiesto il ricalcolo della propria pensione, sostenendo l'applicazione di un coefficiente di rivalutazione dei redditi più favorevole. La Cassa di previdenza si è opposta. La Corte di Cassazione, pur confermando il coefficiente di rivalutazione corretto come indicato dal professionista, ha stabilito un principio fondamentale sulla rivalutazione redditi pensione: la prestazione pensionistica deve essere sempre proporzionata ai contributi effettivamente versati. Se i contributi sono stati pagati su un reddito rivalutato con un coefficiente inferiore, la pensione deve essere calcolata su quella base, non su un importo teorico più elevato per cui non è stata versata la contribuzione corrispondente.
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Rivalutazione contributi: l’anno di riferimento corretto
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha stabilito che per il calcolo delle pensioni dei professionisti forensi, la rivalutazione contributi sui redditi deve iniziare dal 1980. Tuttavia, la Corte ha precisato che il diritto alla prestazione pensionistica è strettamente legato ai contributi 'effettivamente versati'. Pertanto, se un professionista ha versato meno del dovuto a causa di un calcolo errato basato su un indice di rivalutazione inferiore, la sua pensione dovrà essere calcolata sulla base di quanto versato. Il caso è stato rinviato alla Corte d'Appello per valutare se l'errore del professionista nel versamento fosse 'scusabile'.
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Rimborso spese legali: no a consulenti esterni
La Corte di Cassazione ha negato il rimborso delle spese legali a un consulente esterno di un ente locale, anche se assolto in un procedimento penale. La sentenza stabilisce che non esiste un principio generale che garantisca tale rimborso. Esso è ammissibile solo se previsto contrattualmente e a condizione che l'ente pubblico possa verificare 'ex ante' l'assenza di un conflitto di interessi. La richiesta di indennizzo per arricchimento ingiustificato è stata considerata una domanda nuova e quindi inammissibile in appello.
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Maggiorazione retribuzione: serve l’atto aziendale
Un dirigente sanitario ha richiesto una maggiorazione della retribuzione per aver diretto una struttura complessa. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, stabilendo un principio chiaro: senza un formale "atto aziendale" che definisca e gradui le funzioni, la maggiorazione retributiva non è dovuta. La Corte ha sottolineato che l'onere di dimostrare l'esistenza di tale atto ricade sul dirigente e che le sole responsabilità di fatto non sono sufficienti per giustificare l'aumento.
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Contratti a termine e prescrizione: la Cassazione decide
Un lavoratore impiegato per anni con contratti a termine presso un ente pubblico chiedeva la conversione del rapporto e differenze retributive. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che i contratti a termine illegittimi nel pubblico impiego non si convertono in tempo indeterminato e che la prescrizione dei crediti retributivi decorre durante il rapporto, non dalla sua cessazione, data l'assenza di 'metus' (timore) del dipendente verso la pubblica amministrazione.
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Prescrizione crediti lavoro: la Cassazione e il pubblico
La Corte di Cassazione ha stabilito che la prescrizione dei crediti di lavoro nel pubblico impiego decorre dal momento in cui il diritto sorge, e non dalla cessazione del rapporto. La sentenza chiarisce che la stabilità del rapporto di lavoro pubblico esclude il "metus" (timore reverenziale) del dipendente, giustificando la decorrenza immediata della prescrizione crediti lavoro. Un lavoratore ha così perso il diritto a differenze retributive perché richieste oltre il termine quinquennale, nonostante fosse stato accertato il suo diritto all'assunzione.
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Notifica telematica PA: l’indirizzo PEC corretto
La Corte di Cassazione ha stabilito che la notifica telematica a una Pubblica Amministrazione (PA) è nulla se eseguita presso l'indirizzo PEC generico presente nell'Indice delle PA (IPA) anziché a quello specifico, destinato agli atti giudiziari, inserito nel registro PP.AA. (art. 16, d.l. 179/2012). Nel caso di specie, un appello del Ministero era stato erroneamente dichiarato tardivo a causa di una notifica errata. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha annullato la decisione e ha chiarito che l'uso dell'indirizzo PEC corretto è un requisito di validità essenziale per la notifica telematica PA.
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Compensazione spese legali: Cassazione e scuola
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una dipendente scolastica, confermando la legittimità della compensazione spese legali decisa dai giudici di merito. La decisione si fonda sull'incertezza giurisprudenziale esistente al momento dell'avvio della causa (2017) riguardo al pieno riconoscimento dell'anzianità di servizio pre-ruolo per il personale ATA, incertezza risolta solo da sentenze successive nel 2019. Tale situazione integra le 'gravi ed eccezionali ragioni' che giustificano la deroga al principio della soccombenza.
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Prescrizione risarcimento medici: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione, con ordinanza, ha rigettato il ricorso di un medico specializzando che chiedeva il risarcimento dei danni per la tardiva attuazione di direttive europee. Il punto centrale è la prescrizione del risarcimento medici. La Corte ha confermato il suo orientamento consolidato, stabilendo che il termine di prescrizione decennale decorre dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 370/1999. Tale legge, pur non risolvendo del tutto la questione, ha creato la certezza giuridica necessaria per poter agire in giudizio, rendendo infondata la tesi di una perdurante incertezza.
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Legittimazione agente riscossione: appello inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un agente della riscossione contro una sentenza che aveva dichiarato prescritti alcuni crediti previdenziali. La decisione si fonda sul principio della carenza di legittimazione dell'agente riscossione a contestare il merito della pretesa, come la prescrizione del debito. Tale facoltà, secondo la Corte, spetta esclusivamente all'ente impositore (es. INPS, INAIL), in quanto unico titolare del diritto di credito.
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Giudicato esterno e indennizzo: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha stabilito che il giudicato esterno formatosi in una causa di risarcimento danni per sangue infetto è vincolante anche nel successivo giudizio per l'indennizzo previsto dalla legge 210/1992. La pronuncia chiarisce che l'accertamento definitivo sul momento in cui la vittima ha avuto conoscenza della patologia e del nesso causale, compiuto in un processo, non può essere rimesso in discussione in un altro procedimento tra le stesse parti, anche se con finalità diverse. Di conseguenza, la Corte d'Appello dovrà riesaminare la questione della decadenza basandosi su tale accertamento ormai definitivo.
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Foro lavoro: competente la sede del committente
La Corte di Cassazione stabilisce un importante principio sul foro del lavoro nelle cause di appalto. Un gruppo di lavoratori ha citato in giudizio la propria società datrice di lavoro e le società committenti per differenze retributive. Il tribunale di primo grado si era dichiarato incompetente, indicando come competente il foro della sede legale della società datrice. La Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che è competente anche il tribunale del luogo in cui i lavoratori hanno effettivamente prestato la loro attività, ovvero presso la sede della società committente, interpretando in senso ampio il concetto di 'dipendenza aziendale'.
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Inquadramento superiore: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha confermato il diritto all'inquadramento superiore per due operatori di call center. La Corte ha ritenuto che le loro mansioni, implicando problem-solving e gestione del cliente oltre la semplice fornitura di informazioni, corrispondessero al profilo professionale più elevato. L'ordinanza chiarisce i criteri per l'accertamento delle mansioni superiori e conferma l'ammissibilità di una domanda giudiziale limitata all'accertamento del diritto, rinviando la quantificazione economica a un momento successivo.
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Inquadramento superiore: quando spetta al lavoratore?
La Corte di Cassazione ha confermato il diritto a un inquadramento superiore per un macellaio che svolgeva mansioni complesse e autonome. La sentenza ribadisce il principio secondo cui la valutazione dei fatti spetta ai giudici di merito e, in caso di due decisioni conformi nei gradi precedenti ('doppia conforme'), il ricorso in Cassazione per riesaminare le prove è inammissibile. L'azienda è stata condannata al pagamento delle differenze retributive.
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