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Diritto del Lavoro

Abuso contratti a termine: no sanatoria da assunzione

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento per un gruppo di lavoratori pubblici a seguito di un prolungato abuso di contratti a termine. La Corte ha stabilito che la successiva assunzione a tempo indeterminato, avvenuta tramite una procedura concorsuale autonoma, non costituisce una sanatoria per l’illegittimità pregressa. Il ricorso della Pubblica Amministrazione, che mirava a un riesame dei fatti, è stato dichiarato inammissibile, consolidando il principio secondo cui la stabilizzazione non cancella il danno derivante dall’abuso contratti a termine.

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Opposizione all'esecuzione: inammissibile se non specifica

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un ente previdenziale in un caso di opposizione all’esecuzione. L’ente non ha provato con la dovuta specificità di aver sollevato una determinata eccezione (la deducibilità di una somma) nel giudizio di merito che ha generato il titolo esecutivo. La Suprema Corte ribadisce che l’opposizione all’esecuzione non può essere usata per ridiscutere questioni che dovevano essere decise nella fase precedente.

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Retribuzione proporzionata: quale CCNL applicare?

Una lavoratrice di un ente religioso chiedeva differenze retributive, sostenendo l’applicazione del CCNL Turismo anziché Lavoro Domestico. La Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che non si può imporre un CCNL diverso se il datore di lavoro non vi è obbligato. La richiesta di una retribuzione proporzionata deve essere formulata correttamente, non limitandosi a indicare un CCNL più favorevole.

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Danno da demansionamento: come provarlo in giudizio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20427/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un lavoratore che chiedeva un risarcimento per danno da demansionamento. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: la sola privazione delle mansioni non è sufficiente a generare un diritto automatico al risarcimento. Il lavoratore ha l’onere di allegare in modo specifico, fin dal primo atto del giudizio, i pregiudizi concreti subiti (professionali, esistenziali, ecc.). Nel caso di specie, il ricorso iniziale conteneva solo affermazioni generiche, impedendo al giudice di valutare l’esistenza di un danno effettivo tramite prova presuntiva.

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Compenso arbitro: come chiederlo in giudizio?

Un avvocato, nominato arbitro in una controversia di lavoro, ha agito in giudizio per ottenere il pagamento del suo compenso. Le corti di merito avevano respinto la domanda ritenendo che l’arbitro avrebbe dovuto utilizzare una procedura speciale. La Corte di Cassazione ha ribaltato questa decisione, affermando che per richiedere il compenso arbitro è possibile avvalersi di un ordinario giudizio civile, non essendo la procedura speciale un obbligo. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Estinzione del giudizio di cassazione: cosa accade

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio di cassazione promosso da una lavoratrice contro una compagnia aerea. La decisione deriva dalla mancata richiesta di una decisione sul ricorso entro 40 giorni dalla proposta semplificata del relatore, interpretata come rinuncia all’impugnazione.

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Mansioni superiori: ricorso inammissibile in Cassazione

Un lavoratore ha ottenuto il riconoscimento di mansioni superiori e le relative differenze retributive in Corte d’Appello. Il datore di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte lo ha dichiarato inammissibile. I motivi, basati su travisamento della prova, vizio di motivazione e violazione di legge, sono stati ritenuti un tentativo di riesaminare il merito della causa, compito precluso al giudice di legittimità. La Corte ha inoltre evidenziato l’importanza di impugnare tutte le ‘rationes decidendi’ della sentenza.

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Estinzione giudizio Cassazione: il silenzio costa caro

Una società di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello. La Suprema Corte, dopo aver comunicato una proposta di definizione del giudizio, non ha ricevuto alcuna richiesta di decisione da parte della società ricorrente entro il termine di 40 giorni. Di conseguenza, il ricorso è stato considerato rinunciato, portando all’estinzione del giudizio di Cassazione e alla condanna della società al pagamento delle spese legali a favore della controparte.

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Rinuncia al ricorso: estinzione e spese legali

Un’azienda di trasporti ha proposto ricorso in Cassazione contro una sentenza favorevole a un suo dipendente in materia di retribuzione feriale. Successivamente, l’azienda ha presentato una rinuncia al ricorso. La Corte ha dichiarato l’estinzione del processo e ha condannato l’azienda al pagamento delle spese legali, applicando il principio della soccombenza virtuale, poiché l’appello appariva manifestamente infondato.

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Risarcimento danno demansionamento: il giudicato

La Corte di Cassazione chiarisce che, in un giudizio per il risarcimento danno demansionamento, una precedente sentenza definitiva che ha già accertato l’illegittimità della condotta del datore di lavoro è vincolante. Il nuovo giudice non può richiedere nuovamente la prova del demansionamento, ma deve limitarsi a quantificare il danno, che può essere liquidato in via equitativa.

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Recupero indebito TFS: i termini per la P.A.

La Corte di Cassazione chiarisce i termini per il recupero indebito TFS da parte dell’ente previdenziale. Se l’errore di calcolo deriva da dati errati forniti dall’amministrazione datrice di lavoro, il termine per la richiesta di restituzione non è di un anno, ma di 60 giorni decorrenti dalla ricezione della comunicazione di rettifica. La sentenza sottolinea la distinzione tra errori interni all’ente ed errori esterni, proteggendo l’azione di recupero quando l’ente non ha colpa.

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Estinzione ricorso Cassazione: il caso art. 380-bis

Una cassa previdenziale ha impugnato una sentenza della Corte d’Appello. La Corte di Cassazione, dopo aver avanzato una proposta di definizione, ha dichiarato l’estinzione del ricorso perché la parte ricorrente non ha chiesto una decisione entro il termine di 40 giorni previsto dalla legge, configurando una rinuncia tacita all’impugnazione.

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Riqualificazione pubblico impiego: no a diritti automatici

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20623/2025, ha stabilito che le norme sulla riqualificazione del pubblico impiego, come l’art. 21-quater del D.L. 83/2015, non creano un diritto automatico al superiore inquadramento per i dipendenti. La Corte ha chiarito la natura programmatica della norma, che si limita ad autorizzare l’Amministrazione ad avviare procedure selettive, senza conferire diritti soggettivi azionabili in giudizio. La sentenza ha quindi ribaltato la decisione della Corte d’Appello, respingendo la richiesta di un dipendente del Ministero della Giustizia che chiedeva la riqualificazione da Area II ad Area III.

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Inquadramento superiore: quando la patente non basta

Un lavoratore del settore logistica ferroviaria ha richiesto un inquadramento superiore, dal livello F al livello E, basando la sua pretesa sul possesso di una patente per la guida di carrelli e sullo svolgimento di mansioni tecniche. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che per ottenere un inquadramento superiore non è sufficiente possedere un’abilitazione specifica. È necessario dimostrare lo svolgimento effettivo di mansioni con carattere tecnico-amministrativo, autonomia esecutiva e applicazione di procedure qualificate, caratteristiche proprie del livello E e non riscontrate nel caso di specie.

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Danno da usura psicofisica: risarcimento per pausa negata

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento per danno da usura psicofisica a favore di alcuni lavoratori del settore sanitario a cui, per oltre dieci anni, non era stata concessa la pausa lavorativa obbligatoria. Secondo la Corte, una violazione così sistematica e prolungata permette al giudice di presumere l’esistenza di un danno effettivo, anche senza prove mediche dirette, condannando il datore di lavoro. L’appello dell’azienda è stato dichiarato inammissibile.

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Risarcimento buoni pasto: la Cassazione chiarisce

Un dirigente medico ha citato in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata erogazione del servizio mensa o dei buoni pasto sostitutivi. Dopo il rigetto nei primi due gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. La Suprema Corte ha chiarito che, sebbene i buoni pasto non siano monetizzabili, il lavoratore ha diritto a un risarcimento per equivalente se il datore di lavoro non adempie all’obbligo di fornirli. La domanda non va intesa come richiesta di monetizzazione, ma come legittima pretesa di risarcimento buoni pasto per inadempimento contrattuale.

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Diffida accertativa: valore e limiti del potere ispettivo

La Corte di Cassazione conferma la validità di una diffida accertativa emessa dall’Ispettorato del Lavoro per crediti da lavoro straordinario. Viene stabilito che gli ispettori possono effettuare accertamenti di fatto e non solo tecnici. La diffida, pur diventando titolo esecutivo, non equivale a una sentenza passata in giudicato, ma l’onere di contestarne il contenuto nel merito spetta al datore di lavoro, che deve fornire prove contrarie concrete. Il ricorso dell’azienda è stato respinto.

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Estinzione giudizio Cassazione: il caso della rinuncia

Una società di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello. A seguito della proposta di definizione del giudizio formulata dalla Suprema Corte ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la società ricorrente non ha richiesto una decisione entro il termine di quaranta giorni. Tale silenzio è stato interpretato come una rinuncia al ricorso, portando alla dichiarazione di estinzione del giudizio di Cassazione e alla condanna della società al pagamento delle spese legali.

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Estinzione del giudizio: la mancata richiesta di decisione

Un ente previdenziale ha proposto ricorso in Cassazione contro una cittadina. La Corte ha formulato una proposta di definizione del giudizio, ma l’ente non ha richiesto una decisione entro il termine di 40 giorni. Di conseguenza, la Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio, equiparando il silenzio a una rinuncia al ricorso e compensando le spese legali per la novità della questione originaria.

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Onere della prova: quando il ricorso è inammissibile

Un’azienda agricola ha visto il suo ricorso respinto dalla Corte di Cassazione. La decisione si fonda sul mancato assolvimento dell’onere della prova: l’azienda non ha dimostrato di aver sollevato le medesime eccezioni nei precedenti gradi di giudizio. Il caso riguarda la restituzione di sgravi contributivi per i lavoratori agricoli, contestati dall’Istituto Previdenziale perché l’azienda avrebbe corrisposto retribuzioni inferiori a quelle previste dal contratto collettivo provinciale. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che non possono essere introdotte ‘questioni nuove’ in sede di legittimità se queste richiedono accertamenti di fatto non effettuati in precedenza.

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