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Diritto del Lavoro

Errore di fatto: i limiti della revocazione in Cassazione
Una lavoratrice ha chiesto la revocazione di un'ordinanza della Cassazione, sostenendo un errore di fatto per omesso esame di un motivo di ricorso. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che la doglianza della ricorrente non configurava un errore di fatto (una svista percettiva), bensì un errore di giudizio, ossia un dissenso sulla valutazione giuridica compiuta dalla Corte. La decisione ribadisce i rigidi confini dell'istituto della revocazione per errore di fatto.
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Indennità di coordinamento: serve l’atto formale
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una professionista sanitaria che richiedeva il pagamento dell'indennità di coordinamento. La decisione si fonda sulla mancata prova da parte della lavoratrice di aver ricevuto un incarico formale per le funzioni di coordinamento e sulla mancata specificazione della sua categoria di inquadramento (C o D) alla data rilevante, elemento cruciale per determinare i presupposti del diritto.
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Termini a comparire: notifica nulla e rinvio al giudice
Un dipendente pubblico si era visto riconoscere dalla Corte d'Appello un'indennità di coordinamento. L'azienda sanitaria ha impugnato la decisione in Cassazione, la quale ha annullato la sentenza non nel merito, ma per un vizio procedurale: la notifica dell'atto di appello non aveva rispettato i termini a comparire, ovvero l'intervallo minimo di giorni tra la notifica e l'udienza. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d'Appello per un nuovo giudizio.
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Tempo di lavoro: il tragitto casa-cliente è pagato?
Un tecnico di rete ha contestato la clausola aziendale ('franchigia') che escludeva dalla retribuzione il tempo di viaggio casa-primo cliente. La Corte di Cassazione ha confermato che tale spostamento, se effettuato con auto aziendale e sotto il controllo del datore tramite dispositivi, costituisce a tutti gli effetti tempo di lavoro e deve essere retribuito, in quanto il dipendente è a disposizione dell'azienda.
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Tempo di viaggio: quando è orario di lavoro retribuito
Due tecnici hanno citato in giudizio la loro azienda, una società di telecomunicazioni, a causa di un accordo aziendale che escludeva dal calcolo della retribuzione i primi 30 minuti di tempo di viaggio giornaliero (sede-primo cliente e ultimo cliente-sede). La Corte di Cassazione ha confermato che tale tempo di viaggio costituisce a tutti gli effetti orario di lavoro e deve essere retribuito. Di conseguenza, ha dichiarato nulla la clausola della 'franchigia' non pagata. La Corte ha inoltre precisato che, una volta stabilito il diritto alla retribuzione, il giudice di merito ha il dovere di quantificare le somme dovute, anche in assenza di una prova dettagliata da parte del lavoratore per ogni singola giornata, rinviando il caso alla Corte d'Appello per la determinazione degli importi.
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Preclusioni processuali: ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso basato sulla violazione delle preclusioni processuali in appello. La ricorrente contestava l'acquisizione di un nuovo documento, ma il suo ricorso è stato giudicato non specifico perché non affrontava altri elementi decisivi, come i pagamenti parziali, che avevano comunque interrotto la prescrizione del debito. La decisione sottolinea il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.
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Orario di lavoro: il tempo per arrivare alla postazione
La Cassazione ha stabilito che l'orario di lavoro include il tempo che il dipendente impiega dall'ingresso in azienda al login sul computer. Questo periodo è considerato a disposizione del datore di lavoro e deve essere retribuito. La Corte ha rigettato il ricorso di un'azienda di telecomunicazioni, confermando la decisione della Corte d'Appello e sottolineando che le attività preparatorie e necessarie per iniziare la prestazione lavorativa rientrano a pieno titolo nell'orario di lavoro.
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Tempo di viaggio: quando è orario di lavoro retribuito
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16675/2024, ha stabilito che il tempo di viaggio impiegato da tecnici itineranti per recarsi dalla sede aziendale al primo cliente e per tornare dall'ultimo cliente costituisce orario di lavoro e deve essere retribuito. La Corte ha dichiarato nulla la clausola di un accordo aziendale che prevedeva una franchigia non retribuita di 30 minuti, affermando che la norma imperativa prevale. Inoltre, ha chiarito che, una volta accertato il diritto alla retribuzione, spetta al giudice quantificare le somme dovute, anche avvalendosi dei dati di geolocalizzazione dei mezzi aziendali, senza che l'onere della prova gravi interamente sul lavoratore.
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Ricorso inammissibile: quando l’appello è viziato
La Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da un imprenditore contro una sanzione per lavoro nero. I motivi, relativi a un presunto difetto di legittimazione passiva dell'Ispettorato e a una motivazione apparente della corte d'appello, sono stati ritenuti non specifici e non autosufficienti, confermando la sanzione.
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Rinuncia al ricorso: quando si estingue il processo
La Corte di Cassazione ha dichiarato l'estinzione di un processo a seguito della rinuncia al ricorso da parte del ricorrente, accettata dalla controparte. La decisione chiarisce che, in caso di accettazione della rinuncia, non vi è condanna alle spese processuali e non si applica la sanzione del raddoppio del contributo unificato, delineando un importante strumento di definizione del contenzioso.
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Decadenza pubblico impiego: sì alla retribuzione
Un docente, dichiarato decaduto dal servizio per incompatibilità, si è visto negare le retribuzioni arretrate dalla Corte d'Appello, nonostante l'illegittimità del provvedimento. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che la decadenza dal pubblico impiego, se illegittima, è equiparabile al licenziamento ingiustificato. Pertanto, si applica la tutela reintegratoria che prevede il risarcimento del danno, comprensivo delle retribuzioni perse, senza necessità per il lavoratore di una formale offerta della prestazione lavorativa.
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Revoca licenziamento: basta inviarla entro 15 giorni?
Una lavoratrice ha impugnato il licenziamento. Il datore di lavoro ha inviato la revoca entro il termine di 15 giorni, ma la dipendente l'ha ricevuta dopo la scadenza. La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della tempestività della revoca licenziamento, è sufficiente che l'atto sia spedito entro i 15 giorni, non essendo necessaria la ricezione nello stesso termine. La revoca è stata quindi ritenuta valida e il rapporto di lavoro ripristinato.
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Restituzione somme indebite: vale il principio del netto
Un ente previdenziale ha richiesto a un erede la restituzione di prestazioni pensionistiche indebitamente erogate al defunto, pretendendo l'importo lordo comprensivo delle ritenute fiscali. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell'ente, confermando un principio consolidato: la restituzione delle somme indebite deve essere calcolata sull'importo netto effettivamente percepito, poiché il percipiente non può essere tenuto a restituire somme, come le imposte, che non sono mai entrate nel suo patrimonio.
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Giudicato esterno: diritto all’assunzione confermato
La Corte di Cassazione ha affermato un principio cruciale in materia di pubblico impiego: una sentenza definitiva che riconosce il risarcimento del danno per ritardata assunzione crea un giudicato esterno sul diritto stesso all'assunzione. Nel caso di specie, una lavoratrice del settore sanitario si è vista riconoscere il diritto alla stabilizzazione poiché una precedente decisione, passata in giudicato, aveva già accertato l'illegittimità del ritardo con cui l'ente pubblico avrebbe dovuto assumerla, presupponendo quindi l'esistenza del diritto al posto di lavoro.
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Indebito pensionistico: quando va restituito?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16615/2024, ha chiarito le condizioni per la restituzione di un indebito pensionistico. Nel caso esaminato, un pensionato doveva restituire le somme percepite in eccesso sulla pensione di reversibilità a causa del mancato cumulo con una pensione estera. La Corte ha stabilito che, ai fini della ripetizione dell'indebito, non è dirimente il dolo del pensionato, ma la tempestività con cui l'ente previdenziale effettua la verifica reddituale e avvia l'azione di recupero, secondo i termini previsti dall'art. 13 della legge n. 412/1991.
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Falsa attestazione presenza: licenziamento legittimo
La Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di due dipendenti pubblici per falsa attestazione della presenza. La Corte ha ritenuto provato che un collega timbrasse il badge per loro, configurando una grave violazione del rapporto di fiducia che giustifica la massima sanzione espulsiva, respingendo le censure sulla ripartizione dell'onere della prova e sulla proporzionalità della sanzione.
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Pausa retribuita: quando spetta dopo un accordo?
Una società di corriere espresso aveva sospeso la retribuzione per la pausa giornaliera in base ad accordi sindacali temporanei, giustificati da una crisi economica. Alla scadenza di tali accordi, l'azienda non ha ripristinato il pagamento. La Corte di Cassazione ha confermato il diritto dei lavoratori alla pausa retribuita, stabilendo che gli accordi erano solo una deroga temporanea. La Corte ha chiarito che il pagamento della pausa prima degli accordi era prova sufficiente a dimostrare che il diritto era fondato sul contratto collettivo nazionale, e che tale diritto è tornato in vigore automaticamente alla scadenza degli accordi stessi.
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Contratti a termine agricoli: limiti e stagionalità
Un lavoratore ha citato in giudizio un ente pubblico agricolo per l'abuso nella reiterazione di contratti a tempo determinato. La Corte di Cassazione ha stabilito che la deroga che consente la successione di contratti a termine agricoli si applica unicamente alle attività genuinamente stagionali. Ha precisato che gli enti pubblici non sono classificabili come imprenditori agricoli e che mansioni continuative, come la manutenzione, richiedono un contratto a tempo indeterminato. La causa è stata rinviata alla Corte d'Appello per una nuova valutazione.
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Contratti a termine in agricoltura: i limiti alla deroga
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 16612/2024, ha stabilito che un ente pubblico non può essere equiparato a un imprenditore agricolo e non può abusare della reiterazione di contratti a termine in agricoltura. La deroga che permette di superare i limiti di durata è valida solo per attività genuinamente stagionali e non per mansioni continuative come la manutenzione. L'onere di provare la natura stagionale del rapporto spetta sempre al datore di lavoro.
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Ripetibilità dell’indebito: la Cassazione decide
Un pensionato, dopo aver ricevuto somme dall'ente previdenziale in esecuzione di una sentenza di primo grado, si è visto riformare tale decisione in appello. L'ente ha quindi avviato il recupero delle somme, ritenuto legittimo dalla Corte di Cassazione. L'ordinanza chiarisce che la sentenza di riforma costituisce titolo per la restituzione, legittimando la ripetibilità dell'indebito anche tramite trattenute sulla pensione.
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