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Diritto del Lavoro

Superminimo non assorbibile: quando è modificabile?
Una lavoratrice si oppone alla cancellazione del suo "superminimo non assorbibile", introdotto anni prima da un accordo collettivo per compensare un cambio di CCNL. L'azienda aveva successivamente disdetto l'accordo. La Corte di Cassazione ha stabilito che, poiché il superminimo aveva origine collettiva e non era legato a meriti individuali, non si è mai incorporato nel contratto individuale come diritto quesito. Pertanto, la sua fonte (il contratto collettivo aziendale) poteva essere legittimamente modificata o cessare, anche con effetti peggiorativi per il lavoratore, senza violare il principio di irriducibilità della retribuzione.
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Obbligo di repêchage: onere della prova del datore
Un lavoratore viene licenziato per giustificato motivo oggettivo a seguito della chiusura del suo reparto. La Corte di Cassazione, riformando la decisione di merito, chiarisce che l'obbligo di repêchage grava interamente sul datore di lavoro. Quest'ultimo ha l'onere di provare l'impossibilità di ricollocare il dipendente, anche in mansioni inferiori, senza che il lavoratore debba indicare posizioni alternative. La mancata offerta di posizioni inferiori esistenti rende il licenziamento illegittimo.
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Superminimo non assorbibile: quando è modificabile?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18902/2024, ha stabilito che un 'superminimo non assorbibile' introdotto da un accordo collettivo aziendale per compensare il passaggio a un nuovo CCNL non costituisce un diritto acquisito del lavoratore. Pertanto, può essere legittimamente eliminato se l'accordo collettivo che lo prevedeva viene disdettato. La Corte ha distinto tra elementi retributivi di fonte collettiva e quelli pattuiti individualmente, chiarendo che i primi seguono le sorti della contrattazione che li ha generati e non si incorporano automaticamente nel contratto individuale.
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Trasferimento dopo reintegra: quando è legittimo?
Un lavoratore, dopo aver ottenuto un ordine di reintegrazione a seguito di un licenziamento illegittimo, veniva immediatamente trasferito in un'altra sede. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18892/2024, ha dichiarato illegittimo il trasferimento. Il principio chiave è che il datore di lavoro deve prima ottemperare all'ordine di reintegra riammettendo il lavoratore nella sede originaria. Solo successivamente, e solo dimostrando l'impossibilità di mantenerlo in quella sede, può disporre un legittimo trasferimento dopo reintegra. La semplice esistenza di ragioni organizzative nella sede di destinazione non è sufficiente.
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Clausola statutaria S.r.l.: recesso e lavoro
Alcuni soci di minoranza, ex dirigenti di una società del gruppo, hanno impugnato una clausola statutaria S.r.l. che li obbligava a cedere le proprie quote al valore di patrimonio netto al momento della cessazione del rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la piena validità della clausola. Ha chiarito che non si tratta di un'ipotesi di esclusione del socio, ma di una legittima causa convenzionale di recesso obbligatorio, legata al venir meno di un requisito soggettivo previsto dallo statuto stesso (il rapporto di lavoro), e non necessita di una delibera assembleare.
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Valutazione prove appalto: i limiti del ricorso
Un lavoratore, formalmente dipendente di una società appaltatrice di servizi postali, ha agito in giudizio contro la grande azienda committente, sostenendo l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato diretto con quest'ultima. Sia il Tribunale che la Corte d'Appello hanno respinto la domanda, ritenendo l'appalto genuino. Il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un'errata valutazione delle prove. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o le testimonianze, bensì di controllare la corretta applicazione della legge. La decisione impugnata, basata su un'analisi di tutte le fonti di prova, è stata quindi confermata.
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Blocco stipendiale: no aumenti per progressioni carriera
Una dirigente medico si è vista negare l'aumento di stipendio conseguente a una progressione di carriera, a causa del blocco stipendiale imposto alla pubblica amministrazione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, stabilendo che il blocco si applica a tutte le forme di progressione, anche quelle non automatiche basate su valutazione. Di conseguenza, durante il periodo di blocco, la progressione ha avuto solo effetti giuridici e non economici, escludendo il diritto alle differenze retributive e al risarcimento del danno per il ritardo nella valutazione.
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Onere probatorio lavoro subordinato: il caso del socio
Un socio-lavoratore ha perso in Cassazione la causa per il riconoscimento dei contributi. La Corte ha confermato l'onere probatorio lavoro subordinato a suo carico, stabilendo che le sole buste paga sono insufficienti a dimostrare la soggezione al potere direttivo del datore, specialmente in presenza di ruoli societari.
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Trasferimento lavoratore: quando è nullo? La Cassazione
Una società di servizi impugna la sentenza che ha dichiarato nullo il trasferimento di una lavoratrice. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, confermando la decisione di merito. Il provvedimento chiarisce che il trasferimento del lavoratore non può essere usato come sanzione disciplinare mascherata e deve basarsi su ragioni oggettive. Viene inoltre ribadita la nozione di "unità produttiva" come qualsiasi articolazione aziendale dotata di autonomia funzionale, anche se piccola.
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Mansioni superiori: quando il ricorso è inammissibile
Un dipendente di un'Azienda Sanitaria ha perso in appello la causa per il riconoscimento economico di mansioni superiori. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, stabilendo che non è possibile chiedere un riesame delle prove in sede di legittimità e che le eccezioni procedurali, come quelle sulla procura, devono essere specifiche e dettagliate.
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Indennità turno notturno: onere della prova del datore
La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un'Azienda Sanitaria al pagamento dell'indennità turno notturno a una sua dirigente medico. L'Azienda sosteneva di aver già pagato tali somme, ma non è riuscita a fornire la prova del pagamento. La Corte ha ribadito che l'onere della prova in questi casi spetta al datore di lavoro e ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'Azienda, in quanto mirava a una non consentita rivalutazione dei fatti.
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Contratti a termine agricoltura: i limiti alla deroga
Un lavoratore ha contestato l'abuso di contratti a tempo determinato da parte di un ente pubblico agricolo. La Corte di Cassazione ha stabilito che l'ente, non essendo un imprenditore agricolo, non può beneficiare delle ampie deroghe previste dal settore. La Corte ha precisato che l'eccezione alla durata massima per i contratti a termine agricoltura è valida solo per attività comprovatamente stagionali, un principio che il giudice di merito non aveva applicato. La sentenza è stata annullata con rinvio.
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Indennità personale distaccato: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di due dipendenti pubblici che chiedevano un'indennità per l'uso prolungato del computer mentre erano in servizio presso un altro ente. L'Ente datore di lavoro si opponeva, ma la Corte ha dichiarato il suo ricorso inammissibile. La decisione conferma il diritto all'indennità personale distaccato, sottolineando che non si possono introdurre nuove questioni in Cassazione e che la valutazione delle prove spetta ai giudici di merito.
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Prescrizione crediti medico: la raccomandata basta
Un medico ha citato in giudizio un'Azienda Sanitaria per ottenere il pagamento di crediti risalenti agli anni '80 e '90. Le sue richieste sono state respinte in primo e secondo grado per intervenuta prescrizione. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha ribaltato parzialmente la decisione, stabilendo un principio fondamentale sulla prescrizione crediti medico: per interrompere la prescrizione, è sufficiente la prova della spedizione di una lettera raccomandata, in base alla presunzione di conoscenza, senza che sia necessario produrre l'avviso di ricevimento. La Corte ha però confermato che il termine di prescrizione per tali crediti è quinquennale e non decennale. Il caso è stato rinviato alla Corte d'Appello per una nuova valutazione alla luce di questo principio.
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Mansioni superiori autorità portuali: si applica il CC
Un dipendente di un'Autorità Portuale ha ottenuto il riconoscimento di mansioni superiori con adeguamento retributivo. La Cassazione ha confermato che per le mansioni superiori autorità portuali si applica la disciplina privatistica dell'art. 2103 c.c. e non le regole del pubblico impiego, respingendo il ricorso dell'ente. La sentenza chiarisce la natura speciale del rapporto di lavoro portuale, giustificata dalle esigenze operative e imprenditoriali del settore.
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Inquadramento pubblico impiego: no al trascinamento
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18747/2024, ha negato l'inquadramento pubblico impiego a una qualifica superiore per alcuni dipendenti statali. Essi basavano la loro richiesta sul meccanismo del 'trascinamento', innescato dalla riammissione in servizio di un collega con una qualifica più alta. La Corte ha stabilito che la norma invocata (art. 7, D.L. 344/1990) era di natura speciale e temporanea, con effetti limitati alle situazioni maturate entro il 31.12.1990. Pertanto, un evento successivo come la riammissione non può riattivare tale meccanismo.
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Mobilità verticale: non è automatica per il CCNL
Un lavoratore ha richiesto differenze retributive sostenendo di avere diritto a una promozione automatica in base al CCNL Metalmeccanici. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18744/2024, ha ribaltato le decisioni dei giudici di merito. Ha stabilito che la mobilità verticale prevista dal contratto non è automatica ma subordinata a un preciso iter di valutazione delle capacità del lavoratore, che deve avvenire solo dopo il decorso di 18 mesi di esperienza nella categoria di appartenenza.
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Stabilizzazione del personale: il contratto è decisivo
Un ufficiale della Capitaneria di Porto ha richiesto l'inclusione in una procedura di stabilizzazione del personale indetta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La sua domanda è stata respinta in tutti i gradi di giudizio. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, chiarendo che per la stabilizzazione del personale è indispensabile un rapporto di lavoro subordinato e formale con l'amministrazione che bandisce la procedura. Un mero collegamento funzionale o un rapporto di fatto non sono sufficienti, data la natura eccezionale di tali procedure rispetto al principio del concorso pubblico.
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Uso aziendale: accordi scaduti ma pagati valgono
Una società metalmeccanica, dopo la scadenza di alcuni accordi aziendali, ha continuato a erogare i relativi benefici economici ai dipendenti, per poi decidere di interromperli. La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito, stabilendo che tale comportamento reiterato costituisce un "uso aziendale". Questo uso si integra nei contratti di lavoro individuali, trasformando la prassi in un obbligo vincolante per l'azienda. L'ordinanza chiarisce che il datore di lavoro non può unilateralmente revocare benefici consolidati attraverso una pratica costante e generalizzata.
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Disdetta contratti collettivi: i limiti del datore
Una società metalmeccanica cessa di erogare alcuni emolumenti economici ai dipendenti a seguito della disdetta di contratti collettivi aziendali. I lavoratori ottengono ragione in primo e secondo grado. La società ricorre in Cassazione, ma il suo ricorso viene dichiarato inammissibile per vizi procedurali, tra cui la critica al merito della valutazione delle prove e la mancata trascrizione dei contratti oggetto di contestazione. La Suprema Corte conferma quindi le decisioni favorevoli ai lavoratori.
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