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Diritto del Lavoro

Indennità di coordinamento: requisiti e onere della prova
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18978/2024, ha chiarito i presupposti per il riconoscimento dell'indennità di coordinamento nel pubblico impiego sanitario. Il caso riguardava un'infermiera che chiedeva tale indennità per aver svolto di fatto mansioni superiori. La Corte ha stabilito che non è sufficiente la mera esecuzione delle mansioni, ma è necessario che il lavoratore provi di possedere tutti i requisiti formali previsti dalla contrattazione collettiva, inclusa la partecipazione a procedure selettive. La sentenza della Corte d'Appello, che aveva accolto la domanda della lavoratrice, è stata quindi cassata con rinvio.
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Indennità di coordinamento: no senza incarico formale
Un dipendente del settore sanitario si è visto negare l'indennità di coordinamento poiché non è riuscito a provare l'esistenza di un incarico formale. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, ribadendo che, per ottenere tale indennità, è indispensabile una 'traccia documentale' che attesti il conferimento delle specifiche funzioni da parte di un soggetto autorizzato. Lo svolgimento di fatto delle mansioni non è sufficiente.
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Indennità di perequazione: onere della prova
La richiesta di un ricercatore universitario per l'indennità di perequazione è stata respinta dalla Corte di Cassazione. Per ottenere l'indennità, non basta la stessa anzianità, ma è necessario provare lo svolgimento di funzioni e incarichi comparabili a quelli dei colleghi del Servizio Sanitario Nazionale. La Corte ha sottolineato che l'onere di fornire tale prova spetta al richiedente.
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Indennità di perequazione: no a retribuzione di posizione
La Corte di Cassazione ha stabilito che l'indennità di perequazione per i dipendenti universitari in servizio presso aziende ospedaliere non include automaticamente la retribuzione di posizione. Tale emolumento è legato all'effettivo svolgimento di un incarico dirigenziale, che i ricorrenti non ricoprivano. La Corte ha così confermato un orientamento consolidato, distinguendo tra trattamento economico fondamentale e componenti accessorie legate a specifiche funzioni.
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Indennità perequativa: diritto e prova in giudizio
Un ricercatore universitario ha richiesto l'indennità perequativa a un'azienda ospedaliera, sostenendo che le sue mansioni fossero equivalenti a quelle di un dirigente medico di una struttura semplice. I tribunali di primo e secondo grado hanno accolto la sua richiesta. L'azienda ospedaliera ha presentato ricorso in Cassazione, che ha però rigettato il ricorso. La Suprema Corte ha chiarito che il diritto all'indennità perequativa deve essere valutato secondo un principio dinamico, che tiene conto dell'evoluzione normativa e contrattuale del sistema sanitario. Ha inoltre stabilito che la valutazione dei fatti, come la dimostrazione dell'equivalenza delle mansioni, spetta al giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità.
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Interruzione prescrizione: la domanda giudiziale basta?
Una lavoratrice, dopo aver ottenuto il riconoscimento del diritto all'equiparazione economica con sentenza passata in giudicato, ha agito per ottenere le successive differenze retributive. La Corte d'Appello aveva respinto la domanda per intervenuta prescrizione. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la domanda giudiziale iniziale aveva causato l'interruzione prescrizione per tutti i diritti conseguenti, con effetto protratto fino al passaggio in giudicato della prima sentenza. Di conseguenza, il diritto alle ulteriori differenze retributive non era prescritto.
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Equiparazione personale universitario: le regole valide
Una ricercatrice universitaria ha richiesto l'equiparazione economica a un ruolo dirigenziale sanitario. La Corte d'appello aveva respinto la domanda applicando il CCNL del 2005. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che per i rapporti di lavoro iniziati prima del 27 gennaio 2005, si devono applicare i criteri di equiparazione personale universitario previsti dalla normativa precedente (d.i. 9 novembre 1982), in quanto più favorevoli e tutelati da una clausola di salvaguardia.
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Indennità di funzione: no a leggi regionali superate
Un dipendente pubblico ha richiesto un'indennità di funzione basandosi su una legge regionale del 1992 per mansioni svolte dopo il 1998. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, a seguito della riforma del pubblico impiego, la valutazione delle mansioni e della retribuzione deve fondarsi sulla nuova normativa nazionale (d.lgs. 165/2001), che prevale sulle disposizioni regionali precedenti.
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Ricorso inammissibile: chiarezza è obbligatoria
Una società metalmeccanica vede il suo appello contro una condanna per licenziamento illegittimo dichiarato come ricorso inammissibile dalla Corte di Cassazione. La decisione si fonda sulla grave mancanza di chiarezza e sintesi nell'atto, che non esponeva in modo comprensibile i fatti di causa e i motivi di diritto. La Corte ribadisce che la precisione espositiva è un requisito fondamentale, la cui assenza impedisce l'esame nel merito della questione.
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Estinzione del processo: la rinuncia al ricorso
Un lavoratore aveva impugnato la sentenza della Corte d'Appello che negava il suo diritto al risarcimento per demansionamento e perdita di chance nel passaggio al pubblico impiego. Giunto in Cassazione, il lavoratore ha presentato una rinuncia al ricorso, che è stata accettata dalla controparte, il Ministero. Di conseguenza, la Suprema Corte ha dichiarato l'estinzione del processo, senza entrare nel merito della questione e senza disporre sulle spese.
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Risoluzione consensuale agenzia: quando è valida?
La Corte di Cassazione ha stabilito che un contratto di agenzia può considerarsi sciolto per mutuo consenso basato su comportamenti concludenti, come la totale e prolungata inattività dell'agente e l'operato diretto della preponente. Questa risoluzione consensuale agenzia non richiede la forma scritta prevista per il recesso unilaterale e preclude il diritto dell'agente alle provvigioni indirette maturate dopo l'interruzione del rapporto.
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Danno comunitario: risarcimento anche per contratti nulli
La Corte di Cassazione ha stabilito che un lavoratore del settore pubblico ha diritto al risarcimento del danno comunitario per l'abusiva reiterazione di contratti a termine, anche se tali contratti sono nulli per mancanza di forma scritta. La nullità formale, imputabile alla Pubblica Amministrazione, non può vanificare la tutela sostanziale prevista dal diritto europeo contro il lavoro precario.
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Risoluzione consensuale: fine contratto agenzia tacito
La Corte di Cassazione ha stabilito che un contratto di agenzia può considerarsi terminato per risoluzione consensuale anche in assenza di una comunicazione scritta, basandosi sui comportamenti concludenti delle parti. Nel caso specifico, la prolungata inattività dell'agente e l'operato diretto del preponente nella zona di esclusiva, senza reciproche contestazioni per oltre due anni, sono stati ritenuti sufficienti a manifestare la volontà comune di sciogliere il rapporto. Di conseguenza, è stato negato all'agente il diritto di accedere alla documentazione contabile del preponente per il periodo successivo alla cessazione del contratto, non avendo dimostrato un interesse concreto legato a provvigioni post-contrattuali.
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Superminimo: quando può essere eliminato? La Cassazione
La Corte di Cassazione ha stabilito che un superminimo non assorbibile, concesso per compensare differenze retributive dopo un trasferimento d'azienda e derivante da un accordo collettivo, può essere legittimamente eliminato se tale accordo viene disdettato. La tutela dell'art. 2112 c.c. non congela le condizioni retributive per sempre, ma le protegge solo al momento del trasferimento. Le successive dinamiche della contrattazione collettiva possono modificare o rimuovere tali voci retributive.
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Superminimo non assorbibile: si può eliminare?
La Corte di Cassazione ha stabilito che un superminimo non assorbibile, se istituito tramite un accordo collettivo, può essere legittimamente eliminato qualora tale accordo venga disdettato dall'azienda. Il caso analizzato riguarda dei lavoratori che, a seguito di un trasferimento d'azienda, avevano ottenuto un emolumento per compensare la differenza retributiva. La Corte ha chiarito che le tutele previste per il trasferimento d'azienda non impediscono le successive modifiche derivanti dalla dinamica della contrattazione collettiva.
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Danno comunitario: tutela anche senza contratto scritto
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18935/2024, ha stabilito un principio fondamentale a tutela dei lavoratori precari della Pubblica Amministrazione. Anche in assenza di un contratto scritto, e quindi in presenza di un rapporto formalmente nullo, il lavoratore ha diritto al risarcimento del cosiddetto 'danno comunitario' se subisce una reiterazione abusiva di contratti a termine. La Corte ha chiarito che la nullità formale, imputabile alla P.A., non può vanificare la tutela sostanziale imposta dal diritto dell'Unione Europea contro l'abuso dei contratti precari.
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Clausola sociale: onere della prova del lavoratore
Un lavoratore si è visto negare il diritto all'assunzione dalla nuova azienda in un cambio appalto. La Cassazione ha confermato la decisione, ribadendo che la clausola sociale richiede la prova, a carico del lavoratore, di aver maturato l'anzianità di 240 giorni presso il cantiere. Le comunicazioni tra aziende non bastano se non supportate da prove concrete del servizio effettivo.
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Trasferimento d’azienda: lo stipendio è intoccabile?
La Cassazione chiarisce che nel trasferimento d'azienda, l'obbligo di mantenere le condizioni economiche non è eterno. Un 'superminimo' nato da un accordo collettivo per compensare un cambio di contratto può essere legittimamente eliminato se l'accordo viene disdettato, senza violare l'art. 2112 c.c.
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Ricorso inammissibile: quando la Cassazione non riesamina
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un dirigente licenziato per giusta causa. La decisione si fonda sul principio che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti. Il ricorrente, secondo la Corte, ha tentato di ottenere un riesame del merito della vicenda, presentando motivi di ricorso che, pur apparendo come violazioni di legge, miravano in realtà a contestare gli accertamenti fattuali dei giudici precedenti. Di conseguenza, il licenziamento basato sulla rottura del rapporto fiduciario è stato definitivamente confermato, con condanna del dirigente al pagamento delle spese legali.
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Superminimo non assorbibile: quando è modificabile?
Una lavoratrice si oppone alla cancellazione del suo "superminimo non assorbibile", introdotto anni prima da un accordo collettivo per compensare un cambio di CCNL. L'azienda aveva successivamente disdetto l'accordo. La Corte di Cassazione ha stabilito che, poiché il superminimo aveva origine collettiva e non era legato a meriti individuali, non si è mai incorporato nel contratto individuale come diritto quesito. Pertanto, la sua fonte (il contratto collettivo aziendale) poteva essere legittimamente modificata o cessare, anche con effetti peggiorativi per il lavoratore, senza violare il principio di irriducibilità della retribuzione.
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