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Diritto del Lavoro

Interpretazione contratto dirigente: la Cassazione decide
Un ex amministratore delegato ha richiesto un'indennità milionaria basata su un accordo privato, sostenendo che la società avesse causato la fine del suo incarico. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La sentenza chiarisce che l'interpretazione del contratto del dirigente è di competenza dei giudici di merito e che le dimissioni volontarie per motivi di salute non attivano la clausola di indennizzo prevista per una cessazione del rapporto voluta dall'azienda.
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Qualificazione rapporto di lavoro: no decadenza art.32
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito sulla qualificazione del rapporto di lavoro di una programmista regista da autonomo a subordinato. Con l'ordinanza, la Corte ha stabilito che i termini di decadenza e il regime indennitario previsti dall'art. 32 della L. 183/2010 non si applicano in questi casi, poiché non si tratta di conversione di un contratto a termine nullo, ma di una 'rilettura' complessiva della natura effettiva del rapporto lavorativo, facendo emergere la realtà dei fatti rispetto alla forma contrattuale.
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Lavoro subordinato: quando il ricorso è inammissibile
Un lavoratore ha chiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato come addetto alla sorveglianza per una ditta di parcheggi, ma la sua domanda è stata respinta sia in primo grado che in appello. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, ribadendo che non può riesaminare nel merito le prove e i fatti, come le testimonianze, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
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Licenziamento collettivo dirigente: la Cassazione decide
Un dirigente impugna il proprio licenziamento, avvenuto nell'ambito di una procedura di riduzione del personale. La Corte di Cassazione ha esaminato e respinto il ricorso, dichiarando inammissibili tutti i cinque motivi presentati. La sentenza chiarisce importanti aspetti procedurali sul licenziamento collettivo dirigente, tra cui la gestione delle comunicazioni sindacali, l'onere della prova e i limiti del sindacato di legittimità sulla valutazione delle prove e sull'esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro.
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Pensione e rapporto di lavoro: cosa succede al posto?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 18209/2024, ha stabilito che la percezione della pensione di anzianità non comporta l'automatica estinzione del rapporto di lavoro. In un caso di cessione di ramo d'azienda dichiarata illegittima, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione anche se nel frattempo è andato in pensione. Tuttavia, il diritto alle retribuzioni matura solo dal momento della formale messa in mora del datore di lavoro. La sentenza chiarisce la distinzione tra la relazione previdenziale e quella lavorativa, confermando che la compatibilità tra pensione e rapporto di lavoro è la regola, salvo esplicita volontà contraria del dipendente.
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Retribuzione di posizione: giurisdizione e rinvio
La Corte di Cassazione interviene su una controversia tra alcuni dirigenti medici e un'Azienda Sanitaria Locale riguardo la corretta corresponsione della retribuzione di posizione. La Corte conferma la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un diritto soggettivo alla retribuzione. Tuttavia, accoglie il ricorso dell'Azienda su un punto procedurale cruciale: la Corte d'Appello, dopo aver riformato la sentenza di primo grado che negava la propria giurisdizione, avrebbe dovuto rinviare la causa al Tribunale per la decisione nel merito, anziché pronunciarsi direttamente. Di conseguenza, la sentenza d'appello viene cassata con rinvio al giudice di primo grado.
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Condanna alle spese: la parte vittoriosa non paga
Una lavoratrice ottiene un accoglimento parziale della sua richiesta in primo e secondo grado, ma viene condannata a pagare le spese legali della controparte. La Corte di Cassazione interviene, annullando la decisione e stabilendo un principio fondamentale: la parte che vince, anche solo in parte, non può subire una condanna alle spese. Il giudice può al massimo compensare le spese, ma non addebitarle a chi ha visto riconosciuto, almeno in parte, il proprio diritto.
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Clausola sociale: onere della prova nel cambio appalto
In un caso di cambio appalto con riduzione del personale, la Corte di Cassazione ha stabilito che l'onere della prova sui criteri di selezione dei lavoratori da riassumere grava sull'azienda subentrante. Invocando la clausola sociale, alcuni ex-dipendenti non riassunti avevano fatto causa. La Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito, affermando che l'azienda deve dimostrare di aver utilizzato criteri oggettivi e trasparenti, come una graduatoria, per la scelta del personale, non potendo i lavoratori essere gravati di una prova esplorativa.
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Inammissibilità ricorso cassazione: doppia conforme
Una società operante nel settore dell'estetica ricorre in Cassazione dopo che la Corte d'Appello ha confermato la natura subordinata del rapporto di lavoro con un'acconciatrice, condannandola al pagamento di differenze retributive. La Suprema Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso cassazione, applicando il principio della "doppia conforme" e ribadendo che la valutazione delle prove è di esclusiva competenza dei giudici di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
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Patto di prova illegittimo: l’assunzione è un diritto
La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che ha dichiarato l'illegittimità del patto di prova imposto da una società di servizi postali a una lavoratrice. La lavoratrice, già inserita in una graduatoria per l'assunzione a tempo indeterminato, si era vista negare il posto per il mancato superamento di una prova di guida del motomezzo. I giudici hanno ritenuto la clausola nulla e contraria a buona fede, poiché inserita unilateralmente e dopo che la lavoratrice aveva già dimostrato le sue capacità in precedenti rapporti a termine. Di conseguenza, è stato dichiarato costituito il rapporto di lavoro con diritto al risarcimento del danno.
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Contratto a termine pubblico impiego: no conversione
Una collaboratrice linguistica, assunta da un'università pubblica con una serie di contratti a tempo determinato, ha chiesto la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, riaffermando il principio secondo cui il contratto a termine nel pubblico impiego, anche se illegittimo, non si converte in un rapporto stabile. Tale divieto deriva dai principi costituzionali che regolano l'accesso al pubblico impiego, che deve avvenire tramite concorso.
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Lavoro subordinato: la prova spetta al lavoratore
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18102/2024, ha rigettato il ricorso di una lavoratrice che chiedeva il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato con un ristorante. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: l'onere della prova grava interamente sul lavoratore. Non è possibile invertire tale onere o desumere una confessione da stralci della memoria difensiva del datore di lavoro se quest'ultimo nega la subordinazione. La valutazione delle prove testimoniali resta di competenza esclusiva dei giudici di merito.
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Recesso agente: quando il ricorso è inammissibile
Un agente di commercio ha impugnato il licenziamento per giusta causa dovuto al mancato raggiungimento degli obiettivi contrattuali. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la legittimità del recesso agente. La Corte ha chiarito che non può riesaminare i fatti del caso e che non è possibile introdurre nuove questioni legali, come la presunta vessatorietà di una clausola, per la prima volta in sede di legittimità.
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Criteri di scelta licenziamento: conta l’esperienza
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza 18093/2024, ha confermato l'illegittimità di un licenziamento collettivo in cui non sono stati applicati correttamente i criteri di scelta. La Corte ha stabilito che la valutazione della fungibilità professionale di un lavoratore deve basarsi sull'intero bagaglio di esperienze e conoscenze acquisite durante il rapporto di lavoro, e non limitarsi all'ultima mansione svolta. Di conseguenza, il licenziamento di una dipendente è stato annullato perché non era stata comparata con colleghi in posizioni fungibili che avevano un punteggio inferiore ma sono stati mantenuti in servizio.
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Licenziamento ritorsivo: limiti del ricorso in Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una lavoratrice che sosteneva la natura di licenziamento ritorsivo del proprio recesso. La Corte ha ribadito che la valutazione del motivo ritorsivo è una questione di fatto, di competenza dei giudici di merito, e non può essere riesaminata in sede di legittimità. Anche la quantificazione dell'indennità risarcitoria rientra nella discrezionalità del giudice di merito.
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Ricorso inammissibile: quando l’atto è nullo
La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da due lavoratori che chiedevano il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato. La decisione si fonda sulla nullità dell'atto introduttivo originario, giudicato confuso e lacunoso già nei gradi di merito, e sulla scorretta formulazione dei motivi di ricorso, che mescolavano impropriamente censure procedurali e di merito, rendendo impossibile l'esame della Corte.
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Giurisdizione contributi previdenziali: decide il Lavoro
Una società agricola ha contestato una cartella di pagamento per contributi previdenziali. A seguito di un conflitto tra Giudice del Lavoro e Giudice Tributario, la Corte di Cassazione ha stabilito che la giurisdizione sui contributi previdenziali spetta sempre al Giudice del Lavoro, indipendentemente dal fatto che la riscossione avvenga tramite cartella esattoriale. La natura previdenziale del credito prevale sulla forma dell'atto di riscossione.
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Tutela reintegratoria: licenziamento e onere della prova
Un lavoratore, dopo aver ottenuto il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato, veniva licenziato per giustificato motivo oggettivo. La Corte d'Appello, pur ritenendo illegittimo il licenziamento, concedeva solo una tutela indennitaria. La Cassazione, accogliendo il ricorso del dipendente, ha cassato la sentenza. Richiamando le sentenze della Corte Costituzionale, ha stabilito che per ottenere la tutela reintegratoria attenuata è sufficiente la semplice insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, senza che debba essere 'manifesta'.
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Licenziamento motivo oggettivo: prova generica e onere
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18072/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società di vigilanza, confermando l'illegittimità di un licenziamento per motivo oggettivo. La Corte ha stabilito che le allegazioni generiche del datore di lavoro sulla 'scarsità di commesse' non sono sufficienti a soddisfare l'onere della prova. L'azienda non ha specificato quali contratti fossero stati persi né ha dimostrato il nesso causale tra la presunta crisi e la soppressione del posto di lavoro, rendendo il recesso ingiustificato.
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Sospensione del processo: carenza di interesse
Un lavoratore impugna la sospensione del processo relativo al suo licenziamento, disposta in attesa della definizione di un'altra causa sulle sue mansioni. La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, poiché nel frattempo la causa pregiudicante è stata decisa con sentenza definitiva, rendendo inutile la pronuncia sulla sospensione del processo.
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