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Diritto del Lavoro

Estinzione del giudizio: mancata opposizione e costi

Un lavoratore ricorre in Cassazione contro una grande azienda di servizi. La Corte, a seguito della mancata richiesta di decisione da parte del ricorrente dopo la proposta di definizione del giudizio, dichiara l’estinzione del giudizio. Il decreto stabilisce che la parte ricorrente, pur ammessa al gratuito patrocinio, debba pagare le spese legali alla controparte, poiché il beneficio non copre i costi della parte vittoriosa.

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Conversione contratto pubblica amministrazione: no

Una lavoratrice ha richiesto la conversione dei suoi contratti di collaborazione pluriennali con un ente pubblico in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ribadendo il principio secondo cui la conversione contratto pubblica amministrazione è vietata. Anche in caso di abuso, il lavoratore non ottiene la stabilizzazione, ma ha diritto solo a tutele di tipo economico e contributivo per il lavoro effettivamente svolto.

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Ripristino del rapporto: dove deve avvenire?

Un lavoratore, dopo aver ottenuto la conversione di contratti di somministrazione in un rapporto a tempo indeterminato, è stato reintegrato in una sede diversa e più lontana. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna dell’azienda al risarcimento del danno, chiarendo che il ripristino del rapporto di lavoro deve avvenire nel luogo in cui il dipendente prestava la sua ultima attività. Qualsiasi successivo trasferimento deve essere giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, la cui prova spetta al datore di lavoro.

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Estinzione del giudizio: la Cassazione decide

Una società di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha formulato una proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. Poiché la società ricorrente non ha chiesto una decisione sul ricorso entro il termine di 40 giorni, il suo silenzio è stato interpretato come una rinuncia. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato l’estinzione del giudizio, condannando la società al pagamento delle spese legali.

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Inquadramento lavorativo: accordo sindacale vincola

Un lavoratore, riassunto da una nuova società dopo il fallimento della precedente, si è visto declassare il proprio inquadramento lavorativo. La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito, stabilendo che l’accordo sindacale, stipulato durante l’acquisizione, obbligava la nuova azienda a mantenere il livello contrattuale originario del dipendente. La sentenza sottolinea come un impegno contrattuale specifico prevalga sulla disciplina generale che esclude la continuità dei rapporti di lavoro in contesti di crisi aziendale.

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Estinzione del giudizio: la rinuncia al ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio a seguito della mancata richiesta di decisione da parte della società ricorrente entro il termine di 40 giorni dalla comunicazione della proposta del relatore. Tale inerzia, secondo l’art. 380-bis c.p.c., equivale a una rinuncia al ricorso. Di conseguenza, la società è stata condannata al pagamento delle spese legali in favore della controparte.

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Cambio appalto: no assunzione se licenziati

Un lavoratore, licenziato dalla società uscente il giorno stesso del cambio appalto, perde il diritto all’assunzione presso la nuova azienda. La Cassazione chiarisce che il presupposto per il passaggio è un rapporto di lavoro in essere. La tardiva contestazione del licenziamento non ha rilevanza nel giudizio per l’assunzione.

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Motivazione apparente: quando il ricorso è infondato

Una società ha impugnato un avviso di addebito per contributi non versati. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo i rigidi criteri per contestare una sentenza per motivazione apparente e vizi procedurali. La Corte ha ritenuto le argomentazioni del ricorrente generiche e non sufficientemente provate, confermando così la decisione della Corte d’Appello.

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Frazionamento del credito e giudicato: i limiti

La Corte di Cassazione affronta il tema del frazionamento del credito e del giudicato in un caso di risarcimento per perdita di chance richiesto da dipendenti universitari. L’ordinanza chiarisce che una nuova azione è ammissibile se la precedente domanda di danno, formulata come subordinata, non è stata esaminata nel merito. Al contrario, se la domanda era stata rigettata, il giudicato preclude ogni ulteriore richiesta, anche se relativa a voci di danno differenti ma riconducibili alla stessa causa.

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Qualifica superiore: quando spetta al lavoratore

Un lavoratore, formalmente classificato a un livello inferiore, ha ottenuto il riconoscimento di una qualifica superiore. L’azienda ha contestato la decisione, sostenendo che le mansioni svolte non rientravano nei criteri previsti, in particolare perché l’attività si svolgeva interamente all’interno di una stazione e non sulla ‘linea piena’. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, stabilendo che, ai fini del CCNL di settore, la distinzione rilevante non è il luogo fisico esatto (dentro o fuori i ‘picchetti di manovra’), ma il contesto operativo: operare in una ‘stazione’ o ‘scalo’ giustifica la qualifica superiore rispetto a un semplice ‘impianto di servizio’, confermando così il diritto del lavoratore.

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Anzianità di servizio e precari: la Cassazione decide

Una ricercatrice, stabilizzata dopo anni di contratti a termine, si è vista negare la progressione di carriera basata sull’anzianità di servizio maturata. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20076/2025, ha accolto il suo ricorso. Ha stabilito che, in base al principio europeo di non discriminazione, l’anzianità di servizio pregressa deve essere pienamente riconosciuta. La mancata valutazione da parte del datore di lavoro non può essere un ostacolo; anzi, l’azienda è tenuta ad attivarla una volta maturati i requisiti.

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Licenziamento disciplinare: quando è illegittimo?

Un apprendista viene licenziato per scarso rendimento senza aver ricevuto una formale contestazione degli addebiti. Il Tribunale di Venezia ha dichiarato il licenziamento disciplinare illegittimo per violazione delle garanzie procedurali. Tuttavia, data la dimensione ridotta dell’azienda (meno di 15 dipendenti), ha condannato il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria di 12 mensilità, escludendo la reintegrazione nel posto di lavoro.

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Contestazione generica: Cassazione e onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un contribuente contro un avviso di addebito per contributi previdenziali. La decisione si fonda sul principio che una contestazione generica, priva di specifiche argomentazioni sui fatti contestati dall’ente, è processualmente irrilevante. L’ordinanza sottolinea come spetti al contribuente l’onere di provare in modo dettagliato le proprie ragioni, soprattutto in materia di sgravi contributivi.

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Estinzione processo per rinuncia: guida alle spese

Una società di trasporti aveva impugnato una sentenza della Corte d’Appello, ma ha successivamente rinunciato al ricorso. La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, ha dichiarato l’estinzione del processo per rinuncia. Di conseguenza, ha condannato la società ricorrente a pagare tutte le spese legali sostenute dalla controparte, liquidate in € 2.500,00 per compensi e € 200,00 per esborsi, oltre accessori, con distrazione a favore del legale avversario.

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Obbligo di repêchage: reintegra se violato

Una società di logistica licenzia una dirigente per riorganizzazione aziendale. Tuttavia, la Corte di Cassazione conferma l’illegittimità del licenziamento perché l’azienda non ha rispettato l’obbligo di repêchage, ovvero non ha offerto alla lavoratrice una posizione lavorativa inferiore resasi disponibile prima del recesso. Tale violazione, secondo la Corte, equivale all’insussistenza del fatto e comporta il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.

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Lavoro straordinario pubblico impiego: come si prova?

Un lavoratore del settore forestale, dipendente di un’agenzia pubblica con contratto privatistico, ha richiesto il pagamento di ore extra. La Corte di Cassazione ha confermato il suo diritto, stabilendo che per il compenso del lavoro straordinario pubblico impiego è sufficiente dimostrare il consenso, anche implicito, del datore di lavoro. La prova può essere fornita anche tramite testimoni, superando la mancanza di sistemi di timbratura automatica.

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Risarcimento del danno: la stabilizzazione non sana l'abuso

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento del danno per una lavoratrice a causa dell’abusivo ricorso a contratti a termine da parte di un’Agenzia Regionale. La Corte ha stabilito che la successiva assunzione a tempo indeterminato (stabilizzazione) non elimina il diritto al risarcimento se non è direttamente finalizzata a sanare l’abuso pregresso. È stato inoltre ribadito il principio di non discriminazione, che impone il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata durante il periodo di precariato.

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Danno da demansionamento: onere della prova del lavoratore

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso di una lavoratrice per danno da demansionamento, chiarendo che il pregiudizio non è mai automatico (in re ipsa). La sentenza sottolinea che il lavoratore ha l’onere di allegare e provare in modo specifico e non generico il danno professionale, biologico o morale subito, altrimenti la domanda di risarcimento non può essere accolta.

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Estinzione del giudizio: silenzio dopo proposta 380-bis

Una società di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione. A seguito della proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la società non ha chiesto la decisione del ricorso entro il termine di 40 giorni. La Corte di Cassazione ha quindi dichiarato l’estinzione del giudizio per tacita rinuncia, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore delle controparti.

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Abuso contratti a termine: docenti e risarcimento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20274/2025, ha stabilito che la reiterazione di contratti a termine per i docenti di religione per oltre tre anni scolastici, senza un concorso, costituisce un abuso contratti a termine. Sebbene non dia diritto alla conversione del rapporto in tempo indeterminato, l’abuso fonda il diritto del docente a ottenere un risarcimento del danno, annullando la precedente decisione della Corte d’Appello che aveva ritenuto legittima tale pratica.

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