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Diritto del Lavoro

Equo indennizzo: calcolo e motivazione della Corte
Un lavoratore ha richiesto un equo indennizzo per l'eccessiva durata di una procedura fallimentare in cui era creditore. La Corte di Cassazione ha respinto sia il ricorso del lavoratore, che chiedeva un importo maggiore, sia quello del Ministero, che contestava la data di inizio del calcolo del ritardo. La Corte ha confermato che il ritardo decorre dalla data di presentazione della domanda di ammissione al passivo e che una motivazione concisa sull'importo dell'indennizzo è sufficiente, purché tenga conto degli elementi chiave del caso.
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Responsabilità datore di lavoro per infortunio
Un lavoratore subisce l'amputazione di un arto a seguito di un incidente con un muletto in magazzino. Il Tribunale afferma la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2049 c.c. per le omissioni del delegato alla sicurezza. La sentenza analizza come il giudicato penale influenzi la causa civile e dettaglia il calcolo del risarcimento, sottraendo gli importi già versati da INAIL e a titolo di provvisionale.
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Equo indennizzo: durata irragionevole e processo
Lavoratori chiedono un equo indennizzo per una procedura fallimentare durata 26 anni. Anche se pagati integralmente, la Cassazione stabilisce che la durata irragionevole del processo causa un pregiudizio che va risarcito, annullando la decisione di merito che aveva negato il diritto.
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Licenziamento giusta causa: inammissibile il ricorso
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un dipendente bancario contro il licenziamento per giusta causa. Il licenziamento era stato motivato da accessi informatici non autorizzati e dal ritrovamento di una cospicua somma di denaro nella sua cassetta di sicurezza. La Corte ha ritenuto il ricorso proceduralmente viziato perché mescolava in modo confuso diverse tipologie di censure e mirava a un riesame dei fatti, precluso in sede di legittimità, soprattutto in presenza di una "doppia conforme" (decisioni identiche dei primi due gradi di giudizio).
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Licenziamento per giusta causa: quando è legittimo?
La Corte di Cassazione conferma il licenziamento per giusta causa di un autista di una ditta di servizi ambientali che si era rifiutato di scaricare i rifiuti, tornando in azienda con il camion carico. La Corte ha qualificato la condotta non come semplice insubordinazione, ma come un comportamento ostruzionistico talmente grave da ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia, legittimando il recesso. La sentenza ha inoltre accolto il ricorso dell'azienda sulla compensazione delle spese legali, stabilendo che la parte totalmente vittoriosa non deve sostenerle.
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Premio di risultato: spetta anche se licenziati?
Una società negava il premio di risultato a lavoratori licenziati prima della data di riferimento prevista da un accordo aziendale. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, stabilendo che la clausola di esclusione si applicava solo alle risoluzioni volontarie del rapporto (dimissioni) e non ai licenziamenti. Di conseguenza, i lavoratori hanno diritto a ricevere il premio di risultato maturato, poiché la cessazione del rapporto non è dipesa dalla loro volontà.
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Giudicato interno: l’appello riapre tutta la questione
Un lavoratore ricorre in Cassazione sostenendo la violazione del giudicato interno, poiché la Corte d'Appello aveva riesaminato un credito non specificamente contestato. La Suprema Corte rigetta il ricorso, affermando che l'appello su un singolo elemento di una statuizione riapre la cognizione sull'intera questione, superando i limiti del giudicato interno.
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Errore di fatto: quando non si può revocare un’ordinanza
Una lavoratrice chiede la revocazione di un'ordinanza della Cassazione, lamentando un errore di fatto nella valutazione del suo rapporto di lavoro. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, specificando che la cattiva valutazione delle prove costituisce un errore di giudizio, non un errore di fatto idoneo a fondare la revocazione.
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Rapporto di lavoro subordinato: quando si applica
La Corte di Cassazione conferma la decisione dei giudici di merito, riqualificando un contratto di subagenzia in un rapporto di lavoro subordinato. La Corte ha stabilito che, nonostante il nome del contratto, la reale natura del rapporto era di subordinazione, data l'assenza di rischio d'impresa, la mancanza di organizzazione autonoma da parte del lavoratore e la sua completa inserzione nell'organizzazione aziendale (eterorganizzazione). Il lavoratore, infatti, svolgeva principalmente attività di sostituzione di colleghi e consegna merci, senza una propria clientela o zona, e con ferie e permessi da concordare con l'azienda. La Cassazione ha ritenuto inammissibili i motivi di ricorso dell'azienda, in quanto miravano a una rivalutazione dei fatti già accertati in sede di merito.
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Compensazione spese legali: quando è illegittima?
Una società ha impugnato la decisione di un Tribunale che, pur accogliendo pienamente la sua domanda di annullamento di un'intimazione di pagamento per contributi prescritti, aveva disposto la compensazione delle spese legali. La Corte di Appello ha riformato la sentenza, stabilendo che in caso di accoglimento totale della domanda e in assenza di 'gravi ed eccezionali ragioni', la compensazione spese legali è illegittima e la parte soccombente deve essere condannata al pagamento.
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Rinvio al primo giudice: la Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione interviene su una controversia tra un'Azienda Sanitaria e i suoi dirigenti medici riguardo a decurtazioni sulla retribuzione. La Corte ha stabilito che, qualora la Corte d'Appello riformi una sentenza di primo grado che aveva erroneamente negato la giurisdizione, non deve decidere nel merito ma deve disporre il rinvio al primo giudice. La sentenza di appello è stata quindi cassata, e il caso è stato rimandato al Tribunale per una nuova valutazione.
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Dimissioni per giusta causa: Sospensione illegittima
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18263/2024, ha stabilito che la condotta del datore di lavoro che impedisce al dipendente dimissionario di svolgere la propria attività durante il periodo di preavviso costituisce un inadempimento grave. Tale comportamento, che svuota di contenuto la prestazione lavorativa, giustifica le dimissioni per giusta causa del lavoratore, a prescindere dalla breve durata della sospensione e dalla continuazione del pagamento della retribuzione.
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Malattia professionale tabellata: prova delle mansioni
La Corte d'Appello di Salerno conferma il rigetto della domanda di un operaio edile per il riconoscimento di una malattia professionale tabellata. La sentenza sottolinea che, anche per le malattie incluse nelle tabelle di legge, il lavoratore ha l'onere di provare in modo specifico e dettagliato le concrete mansioni usuranti svolte, non essendo sufficiente una descrizione generica delle attività lavorative. La mancanza di tale prova rende inammissibile anche la richiesta di una Consulenza Tecnica d'Ufficio.
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Omessa comunicazione: udienza nulla e sentenza cassata
La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d'Appello a causa di un grave vizio procedurale. Un lavoratore non era stato informato dell'anticipazione della data d'udienza, portando alla sua ingiusta dichiarazione di contumacia. L'omessa comunicazione di tale variazione ha violato il principio del contraddittorio, rendendo nulli l'udienza e il provvedimento finale. Il caso è stato rinviato per un nuovo giudizio.
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Revoca incarico dirigenziale: quando è atto pubblico
Un ex direttore di un'Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale si oppone alla cessazione del suo rapporto di lavoro. La Corte di Cassazione stabilisce che non si tratta di un licenziamento privato, ma di una revoca di incarico dirigenziale di natura pubblicistica. Poiché l'atto non è stato impugnato nei termini davanti al giudice amministrativo, è divenuto definitivo. Di conseguenza, la successiva dichiarazione di incostituzionalità della legge su cui si basava la revoca non ha effetto sul rapporto, ormai esaurito. La Corte ha inoltre confermato la condanna alla restituzione di emolumenti percepiti senza una formale delibera autorizzativa.
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Retribuzione dirigenti medici: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione interviene sul tema della retribuzione dirigenti medici, confermando la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie relative al corretto pagamento dello stipendio. Tuttavia, la Corte ha cassato la sentenza d'appello per un vizio procedurale: quando viene riformata una decisione sulla giurisdizione, la causa deve essere rinviata al giudice di primo grado, non decisa nel merito in appello. La vicenda riguardava la pretesa di alcuni medici al pagamento di componenti salariali (minima contrattuale e variabile aziendale) negate dall'Azienda Sanitaria Locale.
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Indennità di rischio: diritto anche in distacco
La Corte di Cassazione ha confermato il diritto di alcuni dipendenti pubblici, in servizio presso altri enti in regime di distacco, a percepire l'indennità di rischio e di disagio per l'uso prolungato del computer. L'ente pubblico di appartenenza aveva presentato ricorso, sostenendo di non essere il soggetto tenuto al pagamento e contestando le prove fornite. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che il lavoratore può agire contro l'ente titolare del rapporto di lavoro e che le contestazioni dell'ente erano troppo generiche per invalidare le prove del diritto dei lavoratori.
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Platea licenziandi: i limiti alla scelta del datore
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18215/2024, ha confermato l'illegittimità di un licenziamento collettivo in cui la platea licenziandi era stata limitata ai dipendenti di una sola unità produttiva. La Corte ha ribadito che il datore di lavoro ha l'onere di specificare, fin dall'avvio della procedura, le ragioni tecniche e organizzative di tale scelta e i motivi per cui le mansioni dei lavoratori non sono fungibili con quelle di altri dipendenti in altre sedi. La violazione di questo obbligo costituisce un'errata applicazione dei criteri di scelta, con conseguente diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro.
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Interpretazione contratto dirigente: la Cassazione decide
Un ex amministratore delegato ha richiesto un'indennità milionaria basata su un accordo privato, sostenendo che la società avesse causato la fine del suo incarico. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La sentenza chiarisce che l'interpretazione del contratto del dirigente è di competenza dei giudici di merito e che le dimissioni volontarie per motivi di salute non attivano la clausola di indennizzo prevista per una cessazione del rapporto voluta dall'azienda.
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Qualificazione rapporto di lavoro: no decadenza art.32
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito sulla qualificazione del rapporto di lavoro di una programmista regista da autonomo a subordinato. Con l'ordinanza, la Corte ha stabilito che i termini di decadenza e il regime indennitario previsti dall'art. 32 della L. 183/2010 non si applicano in questi casi, poiché non si tratta di conversione di un contratto a termine nullo, ma di una 'rilettura' complessiva della natura effettiva del rapporto lavorativo, facendo emergere la realtà dei fatti rispetto alla forma contrattuale.
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