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Diritto del Lavoro

Rimessione al primo giudice: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d'Appello in una controversia tra dirigenti medici e un'azienda sanitaria sulla retribuzione. La Corte ha stabilito un importante principio procedurale: quando un giudice d'appello riforma una sentenza di primo grado che aveva erroneamente negato la giurisdizione, non può decidere direttamente il merito della causa, ma deve disporre la rimessione al primo giudice. Questo garantisce il diritto delle parti a due gradi di giudizio nel merito.
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Obbligo retributivo: stipendio dovuto senza lavoro?
Una lavoratrice ottiene il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato e l'ordine di reintegro, ma il datore di lavoro non ottempera. La Cassazione conferma l'obbligo retributivo del datore di lavoro per il periodo di mancata prestazione, stabilendo che la messa in mora iniziale è sufficiente e non serve una nuova offerta di lavoro dopo la sentenza.
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Prescrizione lavoro carcerario: la decisione della Corte
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19007/2024, ha stabilito che la prescrizione dei crediti retributivi per il lavoro svolto in carcere non decorre dalla fine di ogni singolo incarico, ma solo dalla cessazione definitiva dell'intero rapporto. La Corte ha ritenuto che i vari periodi di lavoro costituiscano un unico rapporto, caratterizzato da uno stato di soggezione ('metus') del detenuto, che impedisce il decorrere della prescrizione del lavoro carcerario fino alla fine della detenzione o alla definitiva impossibilità di lavorare.
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Prescrizione lavoro carcerario: la decorrenza
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19005/2024, ha stabilito che la prescrizione dei crediti retributivi per il lavoro svolto in carcere non decorre dalla cessazione di ogni singolo incarico, ma dal momento in cui cessa l'intero rapporto di lavoro carcerario. La decisione si fonda sulla natura unitaria del rapporto e sulla condizione di soggezione ('metus') del detenuto, che non gli permette di esercitare liberamente i propri diritti durante la detenzione. Viene così rigettato il ricorso del Ministero della Giustizia, che sosteneva la decorrenza della prescrizione dalle singole interruzioni lavorative.
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Lavoro carcerario e prescrizione: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19004/2024, ha stabilito che i molteplici periodi di attività lavorativa svolti da un detenuto durante la detenzione costituiscono un unico rapporto di lavoro. Di conseguenza, il termine di prescrizione per i crediti retributivi non decorre dalla fine di ogni singolo incarico, ma dal momento in cui cessa definitivamente il rapporto di lavoro carcerario, superando la tesi del Ministero della Giustizia che invocava la prescrizione per i periodi più risalenti.
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Credito da licenziamento: ammesso con privilegio
Una lavoratrice ha proposto opposizione allo stato passivo di una società in Amministrazione Straordinaria per ottenere il risarcimento del danno da licenziamento. Le parti hanno raggiunto un accordo transattivo, a seguito del quale il Tribunale ha disposto la rettifica dello stato passivo, ammettendo un ulteriore credito da licenziamento di oltre 81.000 euro in via privilegiata.
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Assegno sociale stranieri: soggiorno lungo e diritto
Il Tribunale di Torino ha riconosciuto il diritto all'assegno sociale a un cittadino straniero, chiarendo che il possesso continuativo di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è prova sufficiente per soddisfare il requisito della residenza legale e continuativa di dieci anni in Italia. La sentenza ha stabilito che, una volta accertata la sussistenza dei requisiti sostanziali, l'iniziale diniego dell'ente previdenziale per una tardiva presentazione documentale non può precludere il diritto alla prestazione. Il caso in esame riguardava la richiesta di assegno sociale stranieri, e la decisione sottolinea l'importanza della storia dei permessi di soggiorno come elemento probatorio.
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Indennità di coordinamento: requisiti e onere della prova
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18978/2024, ha chiarito i presupposti per il riconoscimento dell'indennità di coordinamento nel pubblico impiego sanitario. Il caso riguardava un'infermiera che chiedeva tale indennità per aver svolto di fatto mansioni superiori. La Corte ha stabilito che non è sufficiente la mera esecuzione delle mansioni, ma è necessario che il lavoratore provi di possedere tutti i requisiti formali previsti dalla contrattazione collettiva, inclusa la partecipazione a procedure selettive. La sentenza della Corte d'Appello, che aveva accolto la domanda della lavoratrice, è stata quindi cassata con rinvio.
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Indennità di coordinamento: no senza incarico formale
Un dipendente del settore sanitario si è visto negare l'indennità di coordinamento poiché non è riuscito a provare l'esistenza di un incarico formale. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, ribadendo che, per ottenere tale indennità, è indispensabile una 'traccia documentale' che attesti il conferimento delle specifiche funzioni da parte di un soggetto autorizzato. Lo svolgimento di fatto delle mansioni non è sufficiente.
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Indennità di perequazione: onere della prova
La richiesta di un ricercatore universitario per l'indennità di perequazione è stata respinta dalla Corte di Cassazione. Per ottenere l'indennità, non basta la stessa anzianità, ma è necessario provare lo svolgimento di funzioni e incarichi comparabili a quelli dei colleghi del Servizio Sanitario Nazionale. La Corte ha sottolineato che l'onere di fornire tale prova spetta al richiedente.
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Indennità di perequazione: no a retribuzione di posizione
La Corte di Cassazione ha stabilito che l'indennità di perequazione per i dipendenti universitari in servizio presso aziende ospedaliere non include automaticamente la retribuzione di posizione. Tale emolumento è legato all'effettivo svolgimento di un incarico dirigenziale, che i ricorrenti non ricoprivano. La Corte ha così confermato un orientamento consolidato, distinguendo tra trattamento economico fondamentale e componenti accessorie legate a specifiche funzioni.
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Indennità perequativa: diritto e prova in giudizio
Un ricercatore universitario ha richiesto l'indennità perequativa a un'azienda ospedaliera, sostenendo che le sue mansioni fossero equivalenti a quelle di un dirigente medico di una struttura semplice. I tribunali di primo e secondo grado hanno accolto la sua richiesta. L'azienda ospedaliera ha presentato ricorso in Cassazione, che ha però rigettato il ricorso. La Suprema Corte ha chiarito che il diritto all'indennità perequativa deve essere valutato secondo un principio dinamico, che tiene conto dell'evoluzione normativa e contrattuale del sistema sanitario. Ha inoltre stabilito che la valutazione dei fatti, come la dimostrazione dell'equivalenza delle mansioni, spetta al giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità.
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Interruzione prescrizione: la domanda giudiziale basta?
Una lavoratrice, dopo aver ottenuto il riconoscimento del diritto all'equiparazione economica con sentenza passata in giudicato, ha agito per ottenere le successive differenze retributive. La Corte d'Appello aveva respinto la domanda per intervenuta prescrizione. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la domanda giudiziale iniziale aveva causato l'interruzione prescrizione per tutti i diritti conseguenti, con effetto protratto fino al passaggio in giudicato della prima sentenza. Di conseguenza, il diritto alle ulteriori differenze retributive non era prescritto.
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Equiparazione personale universitario: le regole valide
Una ricercatrice universitaria ha richiesto l'equiparazione economica a un ruolo dirigenziale sanitario. La Corte d'appello aveva respinto la domanda applicando il CCNL del 2005. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che per i rapporti di lavoro iniziati prima del 27 gennaio 2005, si devono applicare i criteri di equiparazione personale universitario previsti dalla normativa precedente (d.i. 9 novembre 1982), in quanto più favorevoli e tutelati da una clausola di salvaguardia.
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Indennità di funzione: no a leggi regionali superate
Un dipendente pubblico ha richiesto un'indennità di funzione basandosi su una legge regionale del 1992 per mansioni svolte dopo il 1998. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, a seguito della riforma del pubblico impiego, la valutazione delle mansioni e della retribuzione deve fondarsi sulla nuova normativa nazionale (d.lgs. 165/2001), che prevale sulle disposizioni regionali precedenti.
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Ricorso inammissibile: chiarezza è obbligatoria
Una società metalmeccanica vede il suo appello contro una condanna per licenziamento illegittimo dichiarato come ricorso inammissibile dalla Corte di Cassazione. La decisione si fonda sulla grave mancanza di chiarezza e sintesi nell'atto, che non esponeva in modo comprensibile i fatti di causa e i motivi di diritto. La Corte ribadisce che la precisione espositiva è un requisito fondamentale, la cui assenza impedisce l'esame nel merito della questione.
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Estinzione del processo: la rinuncia al ricorso
Un lavoratore aveva impugnato la sentenza della Corte d'Appello che negava il suo diritto al risarcimento per demansionamento e perdita di chance nel passaggio al pubblico impiego. Giunto in Cassazione, il lavoratore ha presentato una rinuncia al ricorso, che è stata accettata dalla controparte, il Ministero. Di conseguenza, la Suprema Corte ha dichiarato l'estinzione del processo, senza entrare nel merito della questione e senza disporre sulle spese.
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Risoluzione consensuale agenzia: quando è valida?
La Corte di Cassazione ha stabilito che un contratto di agenzia può considerarsi sciolto per mutuo consenso basato su comportamenti concludenti, come la totale e prolungata inattività dell'agente e l'operato diretto della preponente. Questa risoluzione consensuale agenzia non richiede la forma scritta prevista per il recesso unilaterale e preclude il diritto dell'agente alle provvigioni indirette maturate dopo l'interruzione del rapporto.
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Danno comunitario: risarcimento anche per contratti nulli
La Corte di Cassazione ha stabilito che un lavoratore del settore pubblico ha diritto al risarcimento del danno comunitario per l'abusiva reiterazione di contratti a termine, anche se tali contratti sono nulli per mancanza di forma scritta. La nullità formale, imputabile alla Pubblica Amministrazione, non può vanificare la tutela sostanziale prevista dal diritto europeo contro il lavoro precario.
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Risoluzione consensuale: fine contratto agenzia tacito
La Corte di Cassazione ha stabilito che un contratto di agenzia può considerarsi terminato per risoluzione consensuale anche in assenza di una comunicazione scritta, basandosi sui comportamenti concludenti delle parti. Nel caso specifico, la prolungata inattività dell'agente e l'operato diretto del preponente nella zona di esclusiva, senza reciproche contestazioni per oltre due anni, sono stati ritenuti sufficienti a manifestare la volontà comune di sciogliere il rapporto. Di conseguenza, è stato negato all'agente il diritto di accedere alla documentazione contabile del preponente per il periodo successivo alla cessazione del contratto, non avendo dimostrato un interesse concreto legato a provvigioni post-contrattuali.
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