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Diritto Commerciale

Recesso socio spa: sì alla clausola ad nutum statutaria
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2629/2024, ha stabilito la legittimità della clausola statutaria che consente il recesso socio spa 'ad nutum' (a discrezione) anche in società per azioni costituite a tempo determinato. Il caso riguardava un socio di una S.p.A. farmaceutica che si era visto negare il diritto di recesso previsto dallo statuto, poiché le corti di merito ritenevano tale facoltà limitata alle sole società a tempo indeterminato. La Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che l'autonomia statutaria, rafforzata dalla riforma del 2003, permette ai soci di introdurre liberamente ulteriori cause di recesso per bilanciare i propri interessi, a condizione che la società non faccia ricorso al mercato del capitale di rischio.
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Rischio di confusione tra marchi: valutazione globale
Una società operante nel settore fitness ha impugnato in Cassazione la decisione che permetteva a un concorrente la registrazione di un marchio ritenuto simile. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che la valutazione del rischio di confusione tra marchi è un giudizio di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se condotto correttamente. La decisione impugnata aveva escluso la confondibilità basandosi su una valutazione globale degli aspetti visivi, fonetici e concettuali, ritenendo le differenze sufficienti a distinguere i due segni, pur operando nello stesso settore.
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Interessi transazioni commerciali e P.A.: il caso
Una società di custodia veicoli ha richiesto gli interessi per transazioni commerciali per un ritardato pagamento da parte di una Pubblica Amministrazione. La Corte d'Appello aveva negato tali interessi, concedendo solo quelli legali. La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, ha ritenuto la questione complessa e meritevole di approfondimento, rinviando la causa a pubblica udienza per decidere se tale rapporto rientri nelle transazioni commerciali.
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Concorrenza sleale: storno dipendenti non è illecito
Una società ha citato in giudizio una concorrente, fondata da suoi ex dipendenti, per concorrenza sleale, lamentando storno di personale e sviamento di clientela. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La motivazione principale è che il semplice passaggio di dipendenti e clienti a una nuova azienda non costituisce di per sé un illecito. Per configurare la concorrenza sleale, l'attore deve provare l'uso di mezzi specifici non conformi alla correttezza professionale, prova che in questo caso è mancata.
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Usura interessi moratori: la Cassazione chiarisce
Una società di ingegneria ha citato in giudizio una società di leasing, sostenendo la nullità di un contratto di leasing immobiliare per la presenza di tassi di interesse moratori usurari. La società chiedeva che il contratto fosse dichiarato gratuito. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso. Ha stabilito che, per contestare l'usura degli interessi moratori, non è sufficiente la mera previsione di un tasso superiore alla soglia, ma è necessario dimostrare l'effettivo inadempimento e la concreta applicazione di tali interessi. Inoltre, ha ribadito che l'eventuale natura usuraria degli interessi di mora non comporta la gratuità dell'intero contratto, ma solo la nullità della clausola che li prevede, con la conseguenza che saranno dovuti gli interessi al tasso legale.
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Usura interessi di mora: Cassazione chiarisce oneri
Una società di prefabbricati ricorre in Cassazione contro una società di leasing, sostenendo l'usura degli interessi di mora in due contratti di leasing per autoveicoli. La Corte Suprema rigetta il ricorso, confermando che gli interessi corrispettivi e moratori non possono essere sommati ai fini della verifica dell'usura. Viene inoltre ribadito che l'onere di provare l'usura e il danno spetta al debitore e che le clausole di salvaguardia, che riportano il tasso entro la soglia legale, sono valide. La richiesta di una consulenza tecnica (CTU) non può sopperire alla mancanza di prove.
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Conflitto di interessi: quando il contratto è annullabile
La Cassazione chiarisce che il conflitto di interessi ex art. 1394 c.c. porta all'annullamento del contratto se il rappresentante agisce per un interesse incompatibile con quello del rappresentato, anche senza un danno economico provato. Nel caso, un socio amministratore ha venduto beni della società di famiglia a una società di sua proprietà, contro la volontà degli altri soci. La Corte ha confermato l'annullamento della vendita.
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Ricorso per cassazione: l’onere di autosufficienza
La Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione presentato da un consorzio contro un'azienda. I motivi sono stati giudicati carenti del requisito di autosufficienza, poiché il ricorrente non ha adeguatamente riprodotto né localizzato gli atti e i documenti essenziali su cui si fondava il suo ricorso, violando così un principio fondamentale del processo.
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Clausola rischio cambio: non è un derivato autonomo
Un'impresa contestava un contratto di leasing contenente una clausola rischio cambio legata a una valuta estera. La Corte d'Appello aveva considerato la clausola "immeritevole" come se fosse un derivato autonomo. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, specificando che tale pattuizione è una legittima "clausola valore" interna al contratto principale e non uno strumento finanziario a sé stante. Il giudizio di meritevolezza non può basarsi sulla convenienza economica. Il caso è stato rinviato alla Corte d'Appello per una nuova valutazione.
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Responsabilità solidale ATI: la Cassazione decide
Una società fornitrice ha agito contro tre imprese riunite in un'Associazione Temporanea di Imprese (A.T.I.) per il mancato pagamento di una fornitura. La Corte d'Appello aveva escluso la responsabilità delle singole imprese, ritenendo l'A.T.I. unica controparte. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando il principio della responsabilità solidale ATI: poiché l'associazione non ha personalità giuridica autonoma, tutte le imprese partecipanti sono responsabili in solido per le obbligazioni assunte verso i fornitori.
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Appello incidentale tardivo: la Cassazione chiarisce
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 2506/2024, ha stabilito un principio fondamentale sull'appello incidentale tardivo. In un caso di inadempimento contrattuale, la Corte d'Appello aveva dichiarato inammissibile l'appello incidentale perché tardivo e non connesso a quello principale. La Cassazione ha cassato tale decisione, affermando che l'impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile quando l'appello principale rimette in discussione l'assetto di interessi definito dalla sentenza di primo grado, anche se riguarda capi diversi e autonomi della decisione.
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Vendita su tipo di campione: onere della prova
Una società fornitrice di prodotti cosmetici è stata condannata per inadempimento contrattuale a causa di vizi della merce. In Cassazione, la società ha sostenuto che si trattasse di una vendita su tipo di campione, ma la Corte ha rigettato il ricorso. La qualificazione del contratto come vendita comune o su campione è un accertamento di fatto riservato ai giudici di merito, non sindacabile in sede di legittimità. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili i motivi relativi al riesame dei fatti per via della regola della "doppia conforme", essendo le sentenze di primo e secondo grado allineate sulla valutazione della responsabilità.
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Patto commissorio: nullità contratti collegati
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso di una società finanziaria, confermando la nullità di un'operazione di compravendita e leasing. I giudici hanno stabilito che i contratti, sebbene formalmente distinti, costituivano un'unica operazione elusiva del divieto di patto commissorio, finalizzata a garantire un creditore con la proprietà di un bene del debitore in caso di inadempimento. Viene inoltre ribadita la limitata efficacia probatoria del giudicato endofallimentare in un giudizio ordinario.
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Rinuncia al ricorso: come si estingue un giudizio
Una società utilizzatrice di un bene in leasing e il suo fideiussore, dopo aver perso in primo e secondo grado contro una società di factoring, presentano ricorso in Cassazione. Tuttavia, prima della decisione, le parti concordano una rinuncia al ricorso. La Suprema Corte, prendendo atto della rinuncia e della successiva accettazione, dichiara l'estinzione del giudizio di legittimità, senza pronunciarsi sulle spese, rendendo definitiva la sentenza d'appello.
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Litisconsorzio necessario: appello nullo senza le parti
Una società fornitrice di carburante ha agito in giudizio contro la società debitrice e contro una nuova società immobiliare, nata da una scissione parziale della prima, per il recupero di un credito. In appello, la società debitrice originaria, nel frattempo cancellata dal registro delle imprese, non veniva correttamente coinvolta nel giudizio. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d'appello, statuendo che in casi di responsabilità solidale dipendente, come quella derivante da scissione societaria, si configura un'ipotesi di litisconsorzio necessario. La mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti necessari determina la nullità insanabile dell'intero procedimento di secondo grado.
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Fattura Commerciale: Prova del Contratto? La Cassazione
Una cooperativa di ristorazione ha richiesto il pagamento di pasti forniti ai dipendenti di una società di handling aeroportuale. Quest'ultima ha contestato l'esistenza di un contratto diretto. La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei gradi precedenti, ha stabilito che la sola fattura commerciale, se il rapporto sottostante è negato, non costituisce prova sufficiente del contratto. Spetta a chi avanza la pretesa creditoria dimostrare, con altri mezzi, l'esistenza dell'obbligazione. Di conseguenza, il ricorso della cooperativa è stato respinto.
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Onere della prova del garante: il caso in Cassazione
Una società garante ha agito in giudizio per recuperare le somme versate a una società di leasing per conto di un utilizzatore inadempiente. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La motivazione principale risiede nella mancata dimostrazione dell'onere della prova da parte della società garante, che non ha fornito prove sufficienti del titolo giuridico (la garanzia) su cui si fondava la sua pretesa. La Corte ha sottolineato che non è sufficiente agire in giudizio, ma è necessario provare i fatti costitutivi del proprio diritto.
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Revoca amministratore socio pubblico: chi paga i danni?
Un amministratore di una società a partecipazione pubblica viene revocato senza giusta causa a seguito della trasformazione della società. L'amministratore fa causa alla società per ottenere il risarcimento del danno. I tribunali di merito condannano la società, ritenendo che il rapporto contrattuale intercorra con essa e non con l'ente pubblico socio che ha deciso la revoca. La società ricorre in Cassazione, sostenendo che la responsabilità dovrebbe essere dell'ente pubblico. La Corte di Cassazione, data la rilevanza della questione sulla revoca amministratore socio pubblico e l'assenza di precedenti, ha rinviato la causa a pubblica udienza per una decisione approfondita.
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Compenso amministratore: quando è extra? La Cassazione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 2396/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un professionista, presidente del C.d.A. di una società in crisi, che richiedeva un compenso extra per attività di consulenza. La Corte ha stabilito che, in assenza di una prova rigorosa, le attività di ristrutturazione svolte in un contesto di grave crisi aziendale rientrano nel mandato gestorio dell'amministratore e non giustificano un compenso amministratore aggiuntivo, essendo già coperte dalla carica sociale.
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Giudicato esterno: effetti su cause connesse
Una società in affitto d'azienda chiedeva la conversione dei suoi contratti in comodato gratuito basandosi su una legge regionale. I tribunali di merito negavano la richiesta, ritenendo i contratti già risolti in una causa precedente. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che un'altra sentenza, emessa nel frattempo tra le stesse parti, aveva accertato che la risoluzione non era definitiva per motivi procedurali (mancata riassunzione). Questo nuovo accertamento costituisce un giudicato esterno vincolante, obbligando il giudice a riesaminare il caso partendo dal presupposto che i contratti fossero ancora in essere.
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