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Diritto Civile

Clausola penale: cumulo con risarcimento del danno
Due costruttori non completano un edificio pattuito come compenso per un professionista. La Corte di Cassazione conferma la loro condanna a pagare sia la clausola penale per il ritardo, sia il risarcimento per il definitivo inadempimento, chiarendo i criteri di prevalenza della colpa e di cumulo dei rimedi risarcitori.
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Servitù padre di famiglia: Cassazione chiarisce
Una controversia tra parenti su un diritto di passaggio porta la Cassazione a confermare importanti principi. La Corte rigetta il ricorso, stabilendo che la servitù per destinazione del padre di famiglia nasce dallo stato di fatto preesistente alla divisione, senza che sia necessaria l'interclusione del fondo dominante. Inoltre, vengono dichiarate inammissibili le questioni sollevate per la prima volta in sede di legittimità, come quella sull'uso civico dei terreni.
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Servitù padre di famiglia: vale in vendita forzata
Un proprietario, a seguito di una vendita forzata di una porzione del suo terreno, tentava di impedire l'accesso ai nuovi proprietari attraverso una strada preesistente. La Corte di Cassazione ha rigettato il suo ricorso, confermando che la servitù per destinazione del padre di famiglia si costituisce validamente anche quando la divisione dei fondi deriva da un'esecuzione forzata e non da un atto volontario. La Corte ha inoltre chiarito che il requisito dell'unico proprietario sussiste anche in caso di comproprietà.
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Onere prova modifica contratto: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 8979/2024, ha stabilito principi chiari sull'onere della prova in caso di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali. In una controversia tra una società di servizi e una compagnia telefonica, la Corte ha affermato che la semplice emissione di fatture con un nuovo piano tariffario non è sufficiente a dimostrare l'accettazione della modifica da parte del cliente. Spetta al fornitore, in base al principio di vicinanza della prova, dimostrare l'effettivo consenso alla variazione, specialmente se il contratto originale prevedeva la forma scritta per qualsiasi modifica. L'ordinanza ribadisce che l'onere della prova modifica contratto grava sulla parte che la afferma.
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Concessione pubblica e mercato illegale: la Cassazione
Una società titolare di una concessione pubblica per la raccolta di scommesse ha citato in giudizio le Amministrazioni concedenti, lamentando i danni derivanti dalla mancata repressione del mercato illegale. Dopo una condanna in sede arbitrale, confermata in appello, le Amministrazioni si sono rivolte alla Cassazione. La Suprema Corte, riconoscendo la novità e l'importanza della questione sulla responsabilità dello Stato in una concessione pubblica, ha disposto il rinvio della causa a pubblica udienza per un esame approfondito.
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Responsabilità committente: quando la prova non basta
Una società fallita ha citato in giudizio l'acquirente dei suoi beni per i danni subiti al capannone durante le operazioni di asporto. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione d'appello. La Corte ha stabilito che, a causa della negligenza della stessa curatela fallimentare nel supervisionare le operazioni, non era possibile raggiungere la prova certa della colpevolezza dell'incaricato all'asporto. Di conseguenza, è venuta meno anche la responsabilità committente della società acquirente.
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Petizione di eredità: limiti e beni recuperabili
Un erede agiva in giudizio contro la sorella per ottenere la sua quota di eredità, sostenendo che quest'ultima si fosse appropriata indebitamente di somme e titoli dai conti cointestati ai defunti genitori. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha chiarito i limiti della petizione di eredità. Ha stabilito che tale azione può essere utilizzata solo per recuperare i beni che facevano parte dell'asse ereditario al momento dell'apertura della successione. Di conseguenza, le somme trasferite dai conti prima del decesso dei genitori non possono essere reclamate con questo strumento, poiché non rientravano più nel loro patrimonio. Il ricorso dell'erede è stato quindi rigettato.
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Costituzione di servitù prediale: la clausola generica
Una controversia tra sorelle, sorta a seguito di una divisione ereditaria, riguardava la presenza di tubature fognarie su un terreno. La Corte di Cassazione ha stabilito che, per la costituzione di servitù prediale, una clausola contrattuale generica che accetta l'immobile "nello stato di fatto e di diritto in cui si trova" è sufficiente se supportata dalla provata conoscenza pregressa della situazione da parte del proprietario del fondo servente. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando che la consapevolezza della ricorrente rendeva la clausola specifica e vincolante, escludendone la natura di mera formula di stile.
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Decreto ingiuntivo e vizi della merce: cosa succede?
Un acquirente tedesco, dopo aver omesso di contestare un decreto ingiuntivo per il pagamento di una fornitura di carne, ha intentato una causa separata contro il venditore italiano per i danni derivanti dalla merce avariata. La Corte di Cassazione ha stabilito che il decreto ingiuntivo non opposto ha valore di giudicato, accertando implicitamente la regolarità della fornitura e l'assenza di vizi. Di conseguenza, è preclusa qualsiasi successiva azione di risarcimento basata sugli stessi difetti. La richiesta dell'acquirente è stata quindi definitivamente respinta.
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Obbligo di pagamento: la Cassazione fa chiarezza
Una società di gestione eventi contestava un obbligo di pagamento per servizi di viabilità forniti da un Comune, basandosi sull'interpretazione di una convenzione. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 8934/2024, ha accolto uno dei motivi di ricorso della società, rilevando un errore procedurale della Corte d'Appello nel qualificare come 'domanda nuova' una semplice riduzione della richiesta originaria. La sentenza è stata cassata con rinvio, stabilendo importanti principi sull'interpretazione contrattuale e sui limiti delle domande in appello.
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Predicato nobiliare: i requisiti per la cognomizzazione
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 8955/2024, ha chiarito i presupposti per la cognomizzazione del predicato nobiliare. Il caso riguardava la richiesta di alcuni discendenti di una nobile casata di aggiungere al proprio cognome il predicato marchesale. Dopo il rigetto nei primi due gradi di giudizio, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, stabilendo che sono necessari solo due requisiti: l'esistenza del titolo nobiliare in data anteriore al 28 ottobre 1922 e il suo riconoscimento prima dell'entrata in vigore della Costituzione. La Corte ha ritenuto errata la decisione dei giudici di merito che richiedevano anche l'anteriorità del riconoscimento al 1922, cassando la sentenza e decidendo nel merito a favore dei ricorrenti.
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Legittimazione passiva e ritardo: chi paga il conto?
Un cittadino ha citato il Ministero della Giustizia per l'eccessiva durata di un procedimento, inclusa la fase amministrativa di ottemperanza. La Corte di Cassazione ha stabilito che in questi casi la legittimazione passiva è condivisa: è necessario citare in giudizio sia il Ministero della Giustizia per la fase ordinaria, sia il Ministero dell'Economia e delle Finanze per quella amministrativa. La causa è stata quindi rinviata per includere il secondo ministero e ripartire correttamente la responsabilità del ritardo.
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Arricchimento senza causa: l’onere della prova
Una società di consulenza ha fornito servizi a un'università pubblica sulla base di un contratto successivamente dichiarato nullo. La società ha quindi agito in giudizio per ottenere un indennizzo per arricchimento senza causa. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che per il successo di tale azione è indispensabile fornire una prova specifica e dettagliata delle prestazioni che hanno generato l'arricchimento. La semplice presentazione di fatture generiche non è sufficiente a soddisfare l'onere della prova, limitando il risarcimento alle sole spese vive concretamente documentate.
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Prova per presunzioni: come contestare una quietanza
La Corte di Cassazione affronta il tema della prova per presunzioni in un caso di risoluzione di un contratto preliminare immobiliare. Un promissario acquirente produceva delle quietanze per dimostrare il pagamento, ma la società venditrice ne contestava la validità, sostenendo che fossero state formate dopo che l'amministratore firmatario aveva perso i suoi poteri. La Corte ha stabilito che, sebbene non si possa provare per testimoni il mancato pagamento contro una quietanza (che vale come confessione), è ammissibile la prova per presunzioni per dimostrare circostanze diverse, come la formazione del documento in un'epoca successiva da parte di un soggetto non più legittimato, invalidandone di fatto l'efficacia.
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Responsabilità del produttore: quando agire?
Un acquirente cita in giudizio sia il venditore che il produttore per delle piastrelle difettose. La Cassazione chiarisce la distinzione fondamentale: l'azione per vizi qualitativi va intentata contro il venditore (responsabilità contrattuale), mentre la responsabilità del produttore sorge solo se il prodotto difettoso causa un danno a persone o cose perché pericoloso (responsabilità extracontrattuale). In questo caso, essendo il difetto solo qualitativo (macchie), la domanda contro il produttore è stata respinta.
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Reformatio in peius: no a una condanna peggiore
In un caso di risarcimento per l'eccessiva durata di un processo, la Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio sul divieto di 'reformatio in peius'. Dopo una lunga serie di ricorsi, la Corte ha annullato la decisione di un giudice di merito che aveva ridotto l'importo del risarcimento, nonostante l'unico a impugnare la precedente decisione fosse stato il cittadino danneggiato. La sentenza finale ha confermato l'importo più favorevole per il ricorrente, sottolineando che un appello non può mai tradursi in una decisione peggiorativa per l'unico appellante.
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Spese di lite: quando paga la parte vittoriosa?
Una farmacia, dopo aver ricevuto il pagamento del capitale dovuto da un'Azienda Sanitaria Locale, proseguiva la causa per ottenere gli interessi moratori. La Corte d'Appello negava gli interessi e compensava parzialmente le spese di lite. La farmacia ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo di non dover pagare le spese essendo vincitrice sulla domanda principale. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, chiarendo che in caso di soccombenza parziale, il giudice ha il potere discrezionale di ripartire le spese di lite, con l'unico limite di non poterle addebitare alla parte totalmente vittoriosa.
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Concessione pubblica: obblighi dello Stato e mercato
Una società operante nel settore delle scommesse, titolare di una concessione pubblica, ha citato in giudizio le Amministrazioni statali a causa del drastico calo dei ricavi dovuto all'espansione di un mercato illegale. Sia il collegio arbitrale che la Corte d'Appello hanno riconosciuto la responsabilità dello Stato per inadempimento contrattuale. Le Amministrazioni hanno proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che si trattasse di un normale rischio d'impresa. La Suprema Corte, ritenendo la questione di fondamentale importanza per l'interpretazione del diritto, ha emesso un'ordinanza interlocutoria per rinviare il caso a una pubblica udienza per una decisione approfondita.
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Liquidazione spese legali: il rinvio e l’onere del giudice
In un complesso caso di equa riparazione per eccessiva durata di un processo, la Corte di Cassazione interviene per la terza volta, stabilendo un principio cardine sulla liquidazione spese legali. Dei cittadini avevano contestato la decisione della Corte d'Appello, che, in sede di rinvio, aveva omesso di calcolare le spese per alcune fasi del lungo contenzioso. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, affermando che il giudice del rinvio deve sempre pronunciarsi sulle spese dell'intero giudizio, comprese tutte le fasi precedenti, basandosi sull'esito finale. La Corte ha quindi annullato la decisione impugnata e ha ricalcolato essa stessa tutte le spese dovute, garantendo piena tutela ai ricorrenti.
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Revocatoria compenso avvocato: quando è a rischio?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 8900/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un legale contro la revocatoria del compenso ricevuto da una società poi fallita. La Corte ha chiarito che il pagamento non rientra né tra le prestazioni di collaboratori esenti da revocatoria, né tra gli atti di normale esercizio d'impresa, confermando la piena applicabilità dell'azione di revocatoria del compenso avvocato in questi contesti.
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