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Diritto buoni pasto: quando spetta al lavoratore?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto ai buoni pasto per i dipendenti del settore Sanità matura per ogni turno lavorativo superiore alle sei ore, indipendentemente dalla fascia oraria. La sentenza chiarisce che tale diritto è intrinsecamente legato al diritto alla pausa, previsto dalla legge per il recupero psicofisico del lavoratore, e non alla possibilità materiale di pranzare fuori dall’ambiente di lavoro. L’azienda sanitaria è stata condannata a fornire i buoni pasto e a risarcire il danno alla dipendente.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Diritto Buoni Pasto: Turno Oltre le 6 Ore? Ecco Cosa Dice la Cassazione

Il diritto buoni pasto è una questione di grande interesse per milioni di lavoratori turnisti, specialmente nel settore sanitario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza su un punto fondamentale: il diritto matura ogni volta che il turno supera le sei ore, a prescindere dalla fascia oraria. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una dipendente di un’azienda ospedaliera, impiegata con un sistema di turni (7-13, 13-20 e 20-7), aveva richiesto il riconoscimento dei buoni pasto per i due turni che superavano la durata di sei ore. L’azienda aveva negato tale diritto, costringendo la lavoratrice a rivolgersi al Tribunale, che le dava ragione. La decisione veniva confermata anche in appello.

L’azienda ospedaliera, non rassegnata, presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che il diritto alla mensa fosse legato non solo alla durata del lavoro, ma anche all’impossibilità di consumare il pasto al di fuori dell’orario di servizio. Secondo l’azienda, la lavoratrice avrebbe potuto mangiare prima di iniziare il turno pomeridiano o quello notturno.

Il Principio del Diritto Buoni Pasto Legato alla Pausa

La questione centrale affrontata dalla Suprema Corte era se il diritto buoni pasto dipendesse dalla fascia oraria (ad esempio, l’ora di pranzo) o fosse unicamente collegato alla durata della prestazione lavorativa. La Corte ha risolto il dubbio interpretando la normativa contrattuale (in particolare l’art. 29 del CCNL Sanità) in combinato disposto con la legge sull’orario di lavoro (d.lgs. 66/2003).

Secondo i giudici, il presupposto per il diritto alla mensa (o al buono pasto sostitutivo) non è l’impossibilità di mangiare fuori, ma il diritto alla pausa. La legge, infatti, stabilisce che ogni lavoratore il cui orario giornaliero ecceda le sei ore ha diritto a un intervallo per il recupero delle energie psicofisiche. È durante questa pausa che, eventualmente, si consuma il pasto.

La Natura Assistenziale del Buono Pasto

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il buono pasto non ha natura retributiva, ma assistenziale. Il suo scopo è quello di conciliare le esigenze del servizio con le necessità quotidiane del lavoratore, garantendogli un ristoro adeguato. Pertanto, la “particolare articolazione dell’orario” menzionata nel contratto collettivo si riferisce proprio a quelle turnazioni che, superando il limite delle sei ore, fanno scattare il diritto alla pausa e, di conseguenza, al beneficio della mensa.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda ospedaliera, ritenendolo infondato. I giudici hanno spiegato che l’interpretazione corretta delle norme contrattuali e legislative collega il diritto alla mensa al diritto alla pausa. Quest’ultimo sorge in modo automatico al superamento delle sei ore di lavoro continuativo. La normativa europea e nazionale mira a tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore, garantendo periodi di riposo adeguati.

Di conseguenza, ogni turno lavorativo superiore a sei ore, che sia di mattina, pomeriggio o notte, dà diritto a una pausa e, se il servizio mensa non è disponibile (come nel caso dei turni serali o per l’impossibilità di interrompere l’assistenza), al buono pasto come modalità sostitutiva. La tesi dell’azienda, che voleva legare il beneficio a fasce orarie “normalmente destinate alla consumazione del pasto”, è stata respinta perché non prevista da alcuna norma.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio a tutela dei lavoratori turnisti. Il diritto buoni pasto non è un optional legato a consuetudini o a specifiche fasce orarie, ma un diritto strettamente connesso alla durata della prestazione lavorativa e alla necessità di garantire al dipendente un adeguato recupero psicofisico. Ogni volta che un turno di lavoro supera le sei ore, il lavoratore ha diritto a una pausa e, di conseguenza, al servizio mensa o al buono pasto sostitutivo, a prescindere dall’ora in cui il turno inizia o finisce.

Il diritto al buono pasto dipende dall’orario in cui si svolge il turno di lavoro?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto non è legato a fasce orarie predefinite (come l’ora di pranzo), ma sorge unicamente quando la durata della prestazione lavorativa giornaliera supera le sei ore.

Quando un lavoratore ha diritto alla pausa e, di conseguenza, al servizio mensa o al buono pasto?
Il lavoratore ha diritto a un intervallo per pausa quando l’orario di lavoro giornaliero eccede il limite di sei ore. Questo diritto alla pausa è il presupposto per il diritto alla fruizione del servizio mensa o, in sua assenza, del buono pasto.

Il buono pasto è considerato parte della retribuzione?
No. La giurisprudenza consolidata, confermata in questa ordinanza, stabilisce che il buono pasto non ha natura retributiva, ma costituisce un’erogazione di carattere assistenziale, finalizzata a conciliare le esigenze di servizio con quelle personali del lavoratore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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