Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21690 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21690 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
1.La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, che aveva respinto la domanda proposta da NOME COGNOME, dipendente turnista dell’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, volta all’accertamento del suo diritto ad usufruire del servizio mensa o in alternativa del ticket mensa ogni volta che nel periodo dal 2011 al 2017 aveva prestato attività lavorativa dalle 20.00 alle 8.00 e dalle 8.00 alle 20.00 in turni d omenicali, festivi e notturni, nonché la condanna dell’A RAGIONE_SOCIALE al pagamento dei buoni pasto per la chiusura della mensa aziendale.
La Corte territoriale ha osservato che l’articolo 29, comma 2, CCNL Comparto Sanità del 2001 aveva fatto sorgere incertezze interpretative; richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo cui il diritto alla mensa deve essere identificato con il diritto alla pausa e deve riconoscersi a tutti i dipendenti che effettuano un orario di lavoro giornaliero eccedente le sei ore.
Ha ritenuto che l’appellante fosse titolare del diritto alla mensa e che fosse pertanto legittimata al rimborso dei buoni pasto non ricevuti durante il periodo lavorativo, in quanto aveva svolto la propria attività lavorativa in una turnazione della durata di 12 ore consecutive, ancorché collocate nella fascia notturna.
Il giudice di appello ha precisato che il servizio mensa era assicurato solo dal lunedì al venerdì dalle 13.00 alle 15.00, mentre non era emersa la prova che il suddetto servizio fosse assicurato anche nei giorni festivi.
5 . Per la cassazione di tale sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso articolato in un due motivi, illustrati da memoria.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Con il primo motivo, il ricorso denuncia nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 29, comma 2, del CCNL Integrativo Comparto Sanità del 29.9.2001 e dell’art. 8 d. lgs. n. 66/2003, in relazione all’art. 360, comma primo, n.3 cod. proc. civ.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui la disposizione contrattuale non costituisce direttamente alcun diritto in favore dei dipendenti in ordine all’istituzione del servizio mensa ed alle modalità sostitutive del medesimo, e secondo cui l’effettuazione della pausa pranzo da parte del lavoratore che osservi un orario di lavoro superiore alle sei ore è condizione per l’attribuzione del buono pasto.
Con il secondo motivo, il ricorso denuncia nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ. e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.
Lamenta l’omesso esame dei contratti sottoscritti con RAGIONE_SOCIALE, erogatrice del servizio di ristorazione e mensa in favore dell’RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) e versati in atti nel giudizio di primo grado come allegati alla produzione dell’Azienda resistente, nonché del dato emerso dalla deposizione della teste NOME COGNOME, la quale aveva riferito che il servizio di ristorazione era garantito dal lunedi alla domenica.
Deduce che nel periodo dal 1.1.2011 al 30.9.2017 l’ RAGIONE_SOCIALE aveva sottoscritto tre distinti contratti di affidamento relativi al servizio di ristorazione; precisa che nei periodi dal 31.5.2011 al 4.6.2017 e dal 5.6.2017 al 30.9.2017 i contratti per lo svolgimento del servizio di ristorazione erano stati stipulati anche in favore dei dipendenti dell’Azienda, con specifica indicazione del servizio ‘presso la mensa dei dipendenti dalle ore 13.00 alle ore 15.00 salvo eventuali variazioni’, senza la previsione di alcuna limitazione per le domeniche ed i giorni festivi.
Aggiunge che l’RAGIONE_SOCIALE nel liquidare i pasti dei dipendenti aveva rilevato la fornitura dei pasti anche nei giorni di domenica e nei giorni festivi.
Deve innanzitutto rilevarsi che le censure denunciano erroneamente la nullità della sentenza impugnata (rispettivamente per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
Questa Corte ha in proposito chiarito che i vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’e liminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato ‘error in procedendo’ (Cass. 9/7/2014 n. 15676).
Il primo motivo, che nella sostanza denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 29, comma 2, del CCNL Integrativo Comparto Sanità del 29.9.2001 e dell’art. 8 d. lgs. n. 66/2003, è infondato.
4.1. La questione controversa riguarda quale sia la «particolare articolazione dell’orario» che, ai sensi dell’art. 29, comma 2 ( ‘Hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti, ivi compresi quelli che prestano la propria attività in posizione di comando, nei giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare articolazione dell’orario’ ) del CCNL integrativo Comparto Sanità 2001, attribuisce il diritto alla mensa ai dipendenti presenti in servizio.
4.2. Tale questione ha già costituito oggetto di esame da parte di questa Corte con la sentenza n. 5547 del 2021, che ha affermato che il cui il diritto alla mensa ex articolo 29, comma 2, CCNI 2001, è legato al diritto alla pausa, a prescindere dal tempo (notturno) della prestazione lavorativa.
In particolare, con la citata sentenza si è evidenziato che:
-la fruizione del pasto -ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto che non ha natura retributiva ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale -è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato;
-la «particolare articolazione dell’orario di lavoro» è quella collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro;
-ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 8 aprile 2003 nr. 66, il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto; le modalità e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro e, in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo;
-il diritto alla mensa si lega ad una obbligatoria sosta lavorativa ma le parti sociali non hanno espresso alcuna volontà che l’attività lavorativa che si collega la pausa sia prestata «nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto»;
-una eventuale volontà delle parti sociali in tal senso avrebbe dovuto essere chiaramente espressa, con l’indicazione di fasce orarie di lavoro che danno diritto alla mensa, fasce che non sono, invece, previste.
La successiva giurisprudenza di legittimità ha confermato i principi già affermati da Cass., n. 5547 del 2021.
In particolare, Cass. n. 15629 del 2021, n. 32113 del 2022, n. 9206 del 2023, 25622 del 2023 hanno richiamato Cass. n. 5547 del 2021 e il principio dalla stessa affermato dandovi continuità: «In tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato» .
Da ultimo, Cass. n. 25622 del 2023 ha ripercorso la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, condividendola.
Peraltro, questa Corte con la sentenza n. 15614 del 2015 ha rigettato il ricorso proposto avverso sentenza della Corte d’Appello di Napoli che, in analoga
fattispecie, con valutazione di merito non adeguatamente censurata, ha considerato i verbali del 13 dicembre 1996 e del 16 dicembre 2008 come indici di ‘ comportamenti delle parti sociali deponenti nel senso di ritenere che un turno continuativo di dodici ore, svolto dalle 20.00 alle 8.00, integrasse quella “particolare articolazione dell’orario” di cui al citato art. 29 del CCNI’ .
4.3. Pertanto, ferma la disponibilità delle risorse (in ragione del richiamo di cui al comma 1 dell’art. 29 cit.), che tuttavia nella specie non viene in rilievo, l’Azienda non poteva restringere il campo degli aventi diritto a buono mensa rispetto alle stesse previsioni di cui alla clausola contrattuale in esame (art. 29 CCNI) ed alla ‘particolare articolazione dell’orario’ come interpretata da questa Corte nei termini sopra indicati.
4.4. E’ dunque conforme a tali principi la sentenza impugnata, che ha riconosciuto il diritto alla mensa e al rimborso dei buoni pasto in capo al COGNOME, in quanto aveva svolto la sua attività lavorativa in una turnazione della durata di 12 ore consecutive nei giorni festivi ed in difetto di prova della circostanza che il servizio mensa fosse stato assicurato anche nei giorni festivi.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto fa leva su circostanze che non risultano dalla medesima e sollecita un giudizio di merito attraverso la rilettura delle deposizioni dei testi.
Deve in proposito rammentarsi che il giudizio di cassazione ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte; nel medesimo non sono pertanto proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi argomenti di fatto dedotti (Cass SU n. 19874/2018 ).
Pertanto, nel caso in cui il ricorrente per cassazione proponga una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilit à per novità della censura deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione,
per dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (hanno richiamato Cass. n.1273/2003; Cass. n. 6542/2004; Cass. n. 3664/2006; Cass. n. 20518/2008; Cass. n. 2190/2014; Cass. n. 18719/2016).
La censura non lamenta l’omessa pronuncia e non è autosufficiente, in quanto non indica in quali atti del giudizio di primo grado e del giudizio di appello è stato dedotto che dal 31.5.2011 al 4.6.2017 e dal 5.6.2017 al 30.9.2017 i contratti per lo svolgimento del servizio di ristorazione erano stati stipulati anche in favore dei dipendenti dell’Azienda, con specifica indicazione del servizio ‘presso la mensa dei dipendenti dalle ore 13.00 alle ore 15.00 salvo eventuali variazioni’, senza la previsione di alcuna limitazione per le domeniche ed i giorni festivi, e che l’RAGIONE_SOCIALE nel liquidare i pasti dei dipendenti aveva rilevato la fornitura dei pasti anche nei giorni di domenica e nei giorni festivi.
Peraltro, l’omesso esame di risultanze istruttorie non rientra nel paradigma dell’art. 360 n. 5, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, la cui esistenza risulti dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo (v. Cass. n. 13024/2022 e Cass. n. 14082/2017).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 1000,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte