Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27634 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 27634 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
SENTENZA
sul ricorso 4201/2021 proposto da:
-ricorrente-
contro
OGGETTO: DIRIGENZA ENTI LOCALI – CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO – ABUSO –
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1041/2020 della Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, pubblicata in data 31.07.2020, N.R.G. 2759/2017;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 03/07/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME;
udito il P .M. in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per delega verbale dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per delega dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.La Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale che aveva rigettato le domande proposte dalla medesima, volte ad ottenere in via principale, sulla premessa della illegittimità dei contratti stipulati ai sensi dell’art. 110 del d.gs n. 267/2000, la conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato e la corresponsione delle retribuzioni non percepite negli intervalli tra i contratti a tempo determinato, nonché quelle maturate dalla data di conversione dei contratti fino a quella di effettiva riammissione in servizio, detratti gli importi percepiti a titolo di retribuzione mensile in virtù dei contratti contestati, ed in via subordinata la condanna del RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno ex art. 36 d.lgs. n. 165/2001.
La COGNOME aveva dedotto di avere lavorato alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE dal luglio 1998 al dicembre 2013 in forza di plurimi contratti a tempo determinato e di avere lavorato anche durante gli intervalli tra un contratto e l’altro, continuando a svolgere la prestazione eseguita in forza del contratto precedente, in ragione delle necessità addotte dall’organo politico o dai dirigenti responsabili del servizio.
Aveva inoltre evidenziato che le mansioni svolte rientravano tra quelle contemplate dalla programmazione del fabbisogno triennale del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, come dimostrato dalla circostanza che nel mese di dicembre 2013, a seguito di concorso, all’AVV_NOTAIO era stata riconosciuta la qualifica di dirigente a tempo indeterminato e le era stato attribuito il posto di responsabile del Settore Edilizia Pubblica, da lei in precedenza ricoperto; aveva inoltre dedotto di essere risultata idonea al concorso pubblico per titoli ed esami per il conferimento di un posto di dirigente amministrativo a tempo indeterminato indetto dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nel 1996.
La Corte territoriale, richiamati i contratti intercorsi fra le parti a partire dal luglio 1998 sino al 15 dicembre 2013, sulla base delle considerazioni espresse da Cass. n. 17010/2017 ha ritenuto inapplicabile la disciplina generale dettata per i contratti a termine dalla legge n. 230 del 1962 e successivamente dal d.lgs. n. 165/2001 ed ha escluso la violazione della direttiva in ragione della particolare natura del rapporto dirigenziale.
Ha precisato che i singoli contratti erano stati stipulati in conformità della disciplina speciale dettata dal citato art. 110, in combinato disposto con il d.lgs. n. 165/2001, ed ha aggiunto che in nessun caso la violazione avrebbe potuto comportare la conversione del rapporto.
Ha infine ritenuto infondato il motivo di gravame relativo all’omessa pronuncia sulla domanda riguardante l’indennità sostitutiva delle ferie.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La Procura Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 4 della legge n. 230/1962, degli artt. 109 e 110 d.lgs. n. 267/2000, del regolamento comunale, degli artt. 40 ss. della disciplina degli accessi agli impieghi del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, degli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 368/2001, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Assume che i contratti a tempo determinato intercorsi tra le parti erano stati stipulati in violazione dei limiti percentuali, senza specificazione delle ragioni che legittimavano il ricorso al rapporto a termine e senza giustificazione delle proroghe (non previste dal Regolamento comunale) ed in assenza della temporaneità delle esigenze.
Addebita alla Corte territoriale di avere omesso di verificare l’avvenuto rispetto della normativa dettata, oltre che dal TUEL, dallo Statuto e dal Regolamento del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Evidenzia che il mancato rispetto del limite di contingentamento era stato solo genericamente contestato dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, che nulla aveva dimostrato in proposito.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 230/1962, degli artt. 10 e 5, comma 4 bis, del d.lgs. n. 368/2001, degli artt. 1 e 19 del d.lgs. n. 165/2001, nonché degli artt. 110 e 111 del TUEL, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Critica la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che il limite temporale debba essere riferito al singolo contratto e non all’insieme dei rapporti a termine stipulati.
Argomenta che, così interpretata, la normativa finirebbe per violare il divieto di discriminazione e per legittimare la precarizzazione del rapporto che nella specie, pur riguardando uffici diversi, aveva ad oggetto la medesima funzione dirigenziale.
Con la terza censura il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 230/1962, dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, della clausola 5 dell’RAGIONE_SOCIALE quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70 CE, nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Lamenta che la Corte territoriale, pur avendo ritenuto applicabile la Direttiva, ha omesso di rilevare l’utilizzo abnorme dei contratti a termine da parte del RAGIONE_SOCIALE, senza neppure considerare lo svolgimento di mansioni ulteriori e diverse da quelle dedotte nel contratto e la prosecuzione di fatto delle funzioni anche nei periodi in cui nessun rapporto era stato formalizzato.
Evidenzia al riguardo che le circostanze allegate nel ricorso non erano state contestate dal RAGIONE_SOCIALE.
Con il quarto mezzo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 4 della legge n. 230/1962, dell’art. 10 del d.lgs. n. 368/2001, della direttiva 1999/70/CE, dell’art. 1418 cod. civ., degli artt. 3,24,117 cost., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente escluso che dalla violazione della soglia quantitativa possa derivare la conversione del contratto.
Sostiene che avrebbero dovuto essere quanto meno riconosciute le tutele previste dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001; evidenzia che il ragionamento seguito dalla Corte territoriale finisce per escludere qualunque sanzione in caso di abusivo ricorso al rapporto dirigenziale a termine.
Con il quinto motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, della clausola 4 dell’RAGIONE_SOCIALE quadro RAGIONE_SOCIALE in tema di contratti a termine, recepito dalla Direttiva 1999/70/CE, degli artt. 1, 2 e 3 paragrafo 1, della Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, dell’art. 1, 4 paragrafo 1 e 14 della Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’art. 3 del d.lgs. n. 215/2003 e dell’art. 3 del d.lgs. n. 216/2003 , dell’art. 27 d. lgs. n. 198/2006 e degli artt. 3, 10, comma 1 e 117, comma 1, Cost.
Assume che l’esclusione della conversione viola il principio di non discriminazione fra i dipendenti pubblici e privati e sostiene anche che le sanzioni previste dal d.lgs. n. 368/2001 dovrebbero prevalere sull’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001.
Con il sesto motivo il ricorso denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 97, comma 1, Cost., dell’art. 35, lett. B) e dell’art. 36 del del d.lgs. n. 165/2001, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Deduce in sintesi che nella specie la conversione poteva essere disposta, in quanto l’assunzione a tempo determinato era avvenuta a seguito di procedura concorsuale; aggiunge che la COGNOME era risultata idonea al concorso pubblico per titoli ed esami per il conferimento di un posto da dirigente amministrativo a
tempo indeterminato indetto dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE con D.G.M. n. 3822 del 23.10.1996.
Aggiunge che in ogni caso la conversione può essere negata solo in caso di previsione di altra misura idonea a sanzionare l’abuso.
Il ricorso nel suo complesso supera il vaglio di ammissibilità, in quanto non si limita a proporre una diversa ricostruzione dei fatti, ma denuncia la violazione di specifiche norme interne e comunitarie in relazione ai fatti ricostruiti dalla sentenza impugnata.
Il richiamo alla ‘doppia conforme’ deve poi ritenersi inconferente, atteso che le censure denunciano violazioni di legge e sono state correttamente proposte ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
I motivi, che vanno trattati con giuntamente per ragioni di connessione, sono fondati per quanto di ragione.
Il primo contratto è stato stipulato dalle parti nella vigenza dell ‘art. 51 della legge n. 142 del 1990 sull’ordinamento delle autonomie locali che, per quel che qui rileva, al comma 5 stabiliva che « Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabilità dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire .» ed al comma 5 bis, inserito dalla legge n. 127 del 1997, aggiungeva che « Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento del totale della dotazione organica della dirigenza e dell’area direttiva e comunque per almeno una unità. Negli altri enti locali, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe presenti all’interno dell’ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell’area
direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento della dotazione organica dell’ente, o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore alle 20 unità. I contratti di cui al presente comma non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica. Il trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento motivato della giunta, da una indennità ad personam, commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il trattamento economico e l’eventuale indennità ad personam sono definiti in stretta correlazione con il bilancio dell’ente e non vanno imputati al costo contrattuale e del personale. Il contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso in cui l’ente locale dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie di cui all’art. 45 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 e successive modificazioni ».
Riguardo ai contratti successivi, rilevano le disposizioni contenute nell’art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000, che nel testo originario, non dissimile da quello della disposizione sopra citata ed in vigore fino al 31.12.2000 (e dunque applicabile ratione temporis al secondo contratto stipulato tra le parti il 4.12.2000) prevedeva: «1. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire.
2. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento del totale della dotazione
organica della dirigenza e dell’area direttiva e comunque per almeno una unità. Negli altri enti, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe presenti all’interno dell’ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell’area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento della dotazione organica dell’ente o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore alle 20 unità.
3. I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica. Il trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento motivato della giunta, da una indennità ad personam, commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il trattamento economico e l’eventuale indennità ad personam sono definiti in stretta correlazione con il bilancio dell’ente e non vanno imputati al costo contratt uale e del personale ».
Le modifiche apportate dalla legge n. 388/2000 si sono limitate a stabilire, per gli enti in cui non è prevista la dirigenza di cui al secondo comma, l’arrotondamento del prodotto all’unità superiore riguardo al limite del 5 per cent o; il testo dell’art. 110 d.lgs. n. 165/2001, così modificato dal 1° gennaio 2001, è rimasto in vigore fino al 18.8.2014 ( fino alla modifica introdotta dall’art. 11, comma 1, lettera a), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114), e trova dunque applicazione a partire dal 1° gennaio 2001 ai contratti stipulati tra le parti.
L ‘art. 110 TUEL , al pari del previgente art. 51 della legge n. 142 del 1990, prevede dunque due diverse fattispecie di incarichi a tempo determinato: al primo comma contempla una tipologia di assunzione (dirigenziale o di alta
specializzazione) sostitutiva di un’assunzione a tempo indeterminato, per un posto ‘di ruolo’, cioè per una posizione che l’amministrazione ritiene strettamente necessaria per la conduzione degli ordinari servizi dell’ente.
Di conseguenza i dirigenti/responsabili a tempo determinato delle strutture di massima dimensione dell’organigramma dell’ente non possono che essere assunti ai sensi del comma 1, utilizzabile per il conferimento di incarichi dirigenziali o di funzioni d irigenziali aventi ad oggetto funzioni stabili dell’ente, ossia funzioni fondamentali, delegate o attribuite, per l’esercizio delle quali si richiede la preventiva formazione e costituzione di un ben definito nesso di immedesimazione organica, necessario p er formare la volontà dell’ente e riferirla al suo esterno.
Le assunzioni di cui al comma 2 (che possono essere egualmente dirigenziali o di alta specializzazione), essendo previste al di fuori della ordinaria dotazione organica dell’ente, presuppongono un’esigenza straordinaria che non necessariamente deve essere prevista nella dotazione (la disposizione, nell’ambito di questa seconda ipotesi, distingue a sua volta tra enti nei quali è prevista la dirigenza e gli altri enti, normalmente più piccoli, ove la dirigenza non è prevista); si tratta dunque di assunzioni che si caratterizzano per la natura specialistica, settoriale, temporanea ed eccezionale delle attività affidate e non hanno ad oggetto funzioni ordinarie, di direzione di struttura e di gestione, tipiche, invece, dei profili di dirigente o di posizione organizzativa.
Riguardo ai contratti successivi al primo, rilevano anche le disposizioni contenute nell’art. 19, comma 6, del d. lgs. n. 165/2001, più volte modificato dal legislatore nel periodo che interessa; la norma nella versione originaria prevedeva: «6. Gli incarichi di cui ai commi precedenti possono essere conferiti con contratto a tempo determinato, e con le medesime procedure, entro il limite del 5 per cento dei dirigenti appartenenti alla prima fascia del ruolo unico e del 5 per cento di quelli appartenenti alla seconda fascia, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati o aziende pubbliche e private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla
formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro, o provenienti dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Il trattamento economico può essere integrato da una indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Per il periodo di durata del contratto, i dipendenti di pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio.»
Successivamente il legislatore, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 145/2002, oltre a modificare i limiti percentuali di detti incarichi (elevandoli rispettivamente al 10% e all’8% in relazione alla dotazione organica ed alla fascia del ruolo dirigenziale), ha previsto un termine di durata massima degli incarichi (‘ La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni’ ) ed ha espressamente consentito il conferimento anche a personale non dirigenziale della stessa amministrazione, con collocamento in aspettativa nel ruolo di appartenenza.
Il d.lgs. n. 150 del 2009, oltre a richiedere che le pregresse esperienze di lavoro avessero la durata di almeno un quinquennio, ha apportato ulteriori modifiche, prevedendo che le nomine dovessero essere effettuate « fornendone esplicita motivazione » e rispetto a personale la cui qualificazione fosse « non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione ».
Alla data dell’ultimo contratto a tempo determinato stipulato tra le parti (16.12.2009), l’art. 19, comma 6 era formulato nei termini di seguito riportati: «6. Gli incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 e dell’8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato ai soggetti indicati dal presente comma. La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale
il termine di cinque anni. Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato. Il trattamento economico può essere integrato da una indennità commisurata alla specifica qualificazione professionale, tenendo conto della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Per il periodo di durata dell’incarico, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio».
10. Questa Corte ha evidenziato che i rapporti a tempo determinato instaurati ai sensi del richiamato art. 110 TUEL sono assoggettati alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001, tranne che negli aspetti espressamente disciplinati dalla norma speciale contenuta nel d.lgs. n. 267/2000, o per quelli incompatibili con la natura temporanea del rapporto. Ciò in conformità all’assetto che deriva, quanto al rapporto fra le fonti, dal combinato disposto degli artt. 70, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001 (secondo cui « Il rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali e disciplinato dai contratti collettivi previsti dal presente decreto nonché dal decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 ») e 88 del d.lgs. n. 267/2000 ( che, nell’indicare la disciplina applicabile agli uffici ed al personale degli enti locali, prevede che « All’o rdinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti e i segretari comunali e provinciali, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, e le altre disposizioni di legge in materia di
organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni nonché quelle contenute nel presente testo unico »).
Quanto al rapporto dirigenziale, dunque, si è detto che la disciplina statale integra, per le parti non incompatibili, quella degli enti locali che ha la funzione di fornire al Sindaco uno strumento per affidare incarichi di rilievo, anche al di fuori di un rapporto di dipendenza stabile e oltre le dotazioni organiche, e di garantire la collaborazione del dirigente o dello specialista incaricato per tutto il periodo del mandato del Sindaco (si rinvia a Cass. n. 12837/2024 con richiami ai precedenti arresti conformi della Corte).
In ordine alla durata vengono in rilievo sia il comma 3 dell’art. 110 TUEL (« i contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del Sindaco o del Presidente della provincia in carica ») sia, per taluni aspetti, il comma 6 dell’art. 19 TUPI (« la durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni »).
In particolare, per gli incarichi, del tutto speciali, di cui all’art. 110 , commi 1 e 2, TUEL, la possibilità di superamento dei 36 mesi è espressamente prevista al comma 3, secondo cui: « i contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica » (e cioè cinque anni) ma, a ben guardare, anche dal d.lgs. n. 165/2001, che per gli incarichi diversi da quelli di livello generale indica ugualmente il limite quinquennale.
S i è in dunque chiarito che i contratti a termine – nelle loro diverse tipologie e causali – che possono essere stipulati ai sensi degli artt. 110 e 90 del d. lgs. n. 267 del 2000, risultando calibrati nella durata massima sul mandato del sindaco, possano superare il termine dei trentasei mesi, risultando comunque caratterizzati da temporaneità (Cass. 7 agosto 2024, n. 22325; Cass. 10 maggio 2024, n. 12837; Cass. n. 17866/2025).
Ciò premesso in ordine alle fonti, va ribadita la diversa conformazione dei rapporti di lavoro con i dirigenti pubblici rispetto a quelli tra dirigenti e datori di lavoro privati.
Questi ultimi si basano su rapporti contrattuali che, come evidenziato in particolare da Cass. 10 luglio 2017, n. 17010, si caratterizzano per la « natura spiccatamente fiduciaria », destinata a giustificare il « trattamento differenziato rispetto agli altri lavoratori in materia di licenziamento », in quanto è fisiologico che « il rapporto possa venir meno per determinazione unilaterale solo che soggettivamente vengano considerate cessate le condizioni idonee a soddisfare la detta esigenza (C. cost., n. 121 del 1972: v. anche C. cost., ord. n. 404 del 1992; per la giurisprudenza di legittimità, tra le tante, v. Cass. n. 25145 del 2010 )», senza che ciò comporti frizioni con l’art. 3 Cost.
È in questa logica che si inseriscono le norme (art. 4 legge n. 230 del 1962, art. 10 d. lgs. n. 368 del 2001; art. 29, co. 2, lett. a del d. lgs. n. 81 del 2015), di contenuto tra loro analogo, che, nel tempo, nonostante il differenziarsi della disciplina regolativa, hanno comunque e sempre consentito in via generale la stipulazione dei contratti a termine, sicché « per le categorie comuni la regola è il rapporto a tempo indeterminato e non è consentito derogarvi, salve le tassative eccezioni; per la categoria dei dirigenti non vigono né tale regola né le sue eccezioni, posto che le parti “possono” invece stipulare contratti a termine » (così sempre Cass. 17010/2017, cit., con richiamo a Cass. 9 ottobre 2013, n. 22965).
Ciò per concluderne che la formulazione adottata, lungi dal costituire una forma di precarizzazione, « costituisce espressione di una indicazione legale di stabilità relativa, garantita al dirigente, non potendo il datore di lavoro recedere ante tempus, salvo ricorra una giusta causa, mentre il dirigente può “comunque” recedere da esso “trascorso un triennio”, osservato il termine di preavviso » (così, ancora, Cass. 17010/2017 cit.).
Tale logica ha permesso quindi di ravvisare nell’assetto regolativo una ragione oggettiva idonea a sottrarre i contratti a termine in questione, così disciplinati in direzione di favor verso una pur limitata stabilità del rapporto, alla disciplina vincolistica eurounitaria sulle previsioni (clausola 5 dell’RAGIONE_SOCIALE quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, in relazione anche alla clausola 4 del medesimo) destinate a contrastare la reiterazione dei contratti a termine, che per tale via non è appunto vietata – con essa reiterandosi anche l’applicazione delle regole sulla possibile stabilità quinquennale – ma al contrario consentita.
Si è infatti affermato che l’indicazione temporale contenuta nelle norme « è da riferire non al termine massimo finale entro il quale devono essere contenuti il contratto e le sue proroghe o rinnovi, ma alla durata massima del singolo contratto a termine. La rinnovazione del contratto non può che soggiacere alle stesse regole del primo e così per ogni altro rinnovo, per cui non si verifica la conversione ex tunc dei rapporti a termine in un unico rapporto a tempo indeterminato ».
Tali principi non sono applicabili all’impiego pubblico, nel quale il rapporto dirigenziale si connota in un modo molto diverso, in quanto si radica in un contratto a tempo indeterminato, che comporta l’accesso ai ruoli della P.A. previo superamento della procedura concorsuale richiesta dall’art. 97 Cost., e solo gli incarichi attribuiti al dirigente sono temporanei e possono dunque variare nel tempo (art. 19, in relazione all’art. 2, comma 3, del d. lgs. n. 165 del 2001; sul punto v. anche Cass. 1 febbraio 2007, n. 2233).
Nel pubblico impiego deve dunque escludersi che il carattere fiduciario, il ruolo di preminenza gerarchica e/o professionale nell’organizzazione dell’ente e la speciale disciplina legale e contrattuale applicabili, valorizzati da Cass. n. 17010/2017, possano giustificare la reiterazione indiscriminata dei contratti a tempo determinato con il dirigente.
La configurazione del lavoro dirigenziale pubblico a termine come forma eccezionale rispetto al rapporto a tempo indeterminato ha peraltro il naturale effetto di far rientrare appieno la fattispecie nel contesto della disciplina vincolistica eurounitaria finalizzata ad evitare la reiterazione abusiva dei rapporti a termine, onde contrastare la precarizzazione.
E’ ormai del tutto pacifico che il rapporto dirigenziale, di natura subordinata secondo il diritto nazionale, rientra a pieno titolo nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE, non potendo ricondursi a nessuna delle ipotesi di esclusione previste dalla clausola 2, par. 2 dell’RAGIONE_SOCIALE Quadro (così Cass. 13066/2022 cit., nonché in tema di applicazione della clausola 4 dell’RAGIONE_SOCIALE quadro ai rapporti dirigenziali a termine instaurati dalle amministrazioni pubbliche, Cass. 26 marzo 2018, n. 7440 in tema di dirigenti sanitari e Cass. 19
marzo 2015, n. 5516 sui dirigenti assunti a termine dagli enti locali ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000).
Questa Corte (v. ancora Cass. 13066/2022 cit.) ha in proposito evidenziato la necessità, qui da confermare, di una lettura della normativa interna riguardante la dirigenza del pubblico impiego privatizzato coerente rispetto ai principi eurounitari.
14. Dalla sentenza impugnata risulta che il primo contratto è stato stipulato dal 16.7.1998 al 15.7.1999, quando la Direttiva 1999/70/CE non era stata ancora emanata; rispetto ad esso si pone dunque la sola questione della conformità al diritto interno.
In relazione a detto contratto, stipulato con decorrenza dal 16.7.1998 al 15.7.1999, il ricorso lamenta il mancato rispetto dell’art. 1 della legge n. 230/1962 e delle disposizioni contenute nell’art. 110 TUEL (peraltro facendo leva sul testo in vigore dal 2014).
Non è tuttavia configurabile la violazione dell’art. 110 d.lgs. n. 267/2000, in quanto non applicabile ratione temporis , né può trovare applicazione l’art. 1 della legge n. 230/162, chiaramente derogato per gli enti locali dall’art. 51 della legge n. 142 del 1990 che, come si è detto, consentiva l’assunzione a termine alle condizioni ivi previste.
Inoltre in relazione a detto contratto il ricorso è privo della necessaria specificità quanto all’asserita violazione del Regolamento e dello Statuto del RAGIONE_SOCIALE, poiché fa solo generico riferimento ai limiti posti da detti atti senza dare conto delle modifiche operate tempo per tempo e rinviando (pag. 14 del ricorso) al regolamento del 2013, chiaramente inapplicabile ratione temporis
.
Rispetto ai contratti successivi, stipulati nella vigenza della direttiva 99/70/CE, si pone la necessità di una lettura della normativa interna riguardante la dirigenza del pubblico impiego privatizzato coerente rispetto ai principi eurounitari.
In questa logica, con riferimento alle ipotesi previste dall’art. 110 del d.lgs. n. 276/2000, oltre alle previsioni relative ai limiti di contingentamento ed ai termini di durata previsti dal secondo comma, rilevano i riferimenti allo Statuto
e al Regolamento rispettivamente contenuti nel primo e nel secondo comma della richiamata disposizione.
Infatti per gli incarichi di cui al comma 1, l’art. 110 d.lgs. n. 267/2000, nel testo applicabile ratione temporis , demanda allo Statuto la previsione del la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, mentre per gli incarichi di cui al comma 2, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire, demanda al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi la previsione dei limiti, dei criteri e delle modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica i contratti a tempo determinato.
Per effetto del richiamo contenuto nell’art. 110 d.lgs. n. 267/2000, anche le previsioni contenute nello Statuto e nel regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, come quelle direttamente previste dalla medesima norma, riguardo al contingentamento ed ai limiti di durata, sono finalizzate a prevenire l’abuso , ed assumono rilievo ai sensi della clausola 5 dell’RAGIONE_SOCIALE quadro.
Va poi richiamata la giurisprudenza eurounitaria, la quale rammenta la necessità che « il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una disposizione nazionale … non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro in materia di personale» (Corte di Giustizia 14 settembre 2016, COGNOME , punto 49, in ambito sanitario e giurisprudenza ivi citata; Corte di Giustizia 13.3.2014, NOME , punto 55, in ambito universitario).
Ciò consente di affermare che, nel regime dell’art. 110, d. lgs. n. 267 del 2000 non potrà mai aversi il superamento del termine massimo, attraverso il rinnovo di incarichi per esigenze ordinarie della PRAGIONE_SOCIALE, anche se su posti diversi.
La diversità dell’incarico non è infatti sufficiente a superare la temporaneità dell’incarico stesso nel caso in cui il ricorso al contratto a tempo determinato sia dovuto alla carenza di dirigenti interni.
Si finirebbe altrimenti per impegnare un dirigente con le medesime modalità di un dirigente assunto a tempo indeterminato, mantenendone la precarizzazione e ciò in contrasto con la necessità, imposta dal diritto eurounitario, che gli incarichi a tempo determinato non possano sopperire a stabili esigenze di dotazione della P.A.
Sul piano del diritto interno, inoltre, il reiterato rinnovo dell’incarico finisce per contrastare con il principio secondo cui all’impiego pubblico si accede, nella normalità, previo superamento di procedura concorsuale, nonché con la riserva alla contrattazione collettiva del trattamento retributivo spettante al dirigente, trattamento che l’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, e l’art. 110 TUEL consentono di superare ma solo in ragione della temporaneità del rapporto.
Altro ragionamento può valere per un eventuale diverso incarico successivo al primo stipulato per esigenze eccezionali o straordinarie, così come nel caso di successione dopo il termine massimo, ad un primo contratto per esigenze straordinarie, di un altro contratto della medesima tipologia ma per incarico che possa definirsi diverso.
Qualora anche il secondo contratto fosse giustificato da esigenze straordinarie o eccezionali e risultando diverso dal precedente, non vi sarebbero infatti ragioni – sul piano anche del diritto eurounitario – per impedirne la conclusione, tenuto conto che in tal modo non si asseconderebbe la P.A. nella conduzione con forme di precariato di attività durevoli.
16. Su tali basi ricostruttive, va da sé che, in caso di violazione della disciplina destinata ad evitare la illegittima reiterazione dei rapporti a termine, vale il principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale « in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale
danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto » (Cass. S.U. n. 5072/2016).
Tali principi sono stati ribaditi dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui in caso di reiterazione di contratti a tempo determinato, affetti da nullità perché stipulati in assenza di ragioni giustificative, qualora la conversione in rapporto lavorativo a tempo indeterminato sia impedita da norme settoriali applicabili “ratione temporis”, le disposizioni di diritto interno che assicurano il risarcimento in ogni ipotesi di responsabilità vanno interpretate in conformità al canone dell’effettività della tutela affermato dalla CGUE con l’ordinanza del 12 dicembre 2013, C-50/13, e, pertanto, al lavoratore deve essere riconosciuto il risarcimento del danno, con esonero dall’onere probatorio nei limiti previsti dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010 (successivamente trasfuso nell’art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015), ferma restando la possibilità di ottenere il ristoro di pregiudizi ulteriori, diversi dalla mancata conversione, ove allegati e provati. (Cass. Sez. U., 22/02/2023, n. 5542).
Non si pone in contrasto con tali principi l’ordinanza n. 17866/2025 di questa Corte che, da un lato, ha escluso condivisibilmente l’applicabilità ai contratti a termine disciplinati dal TUEL del limite dei 36 mesi e, dall’altro, quanto al risarcimento del danno, nel richiedere la prova del danno patito dal lavoratore, ha enunciato il principio di diritto dopo avere escluso che nella fattispecie all’esame si potesse configurare un abuso nel ricorso al rapporto a tempo determinato.
Nel caso di specie, la verifica della sussistenza di un danno da abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato avrebbe dovuto essere in concreto effettuata tenendo conto delle previsioni contenute nell’art. 110 d.lgs. n. 267/2000, ivi compresi i richiami contenuti allo Statuto (comma 1) e al regolamento (comma 2), ai limiti di contingentamento previsti dalla norma e alla durata massima stabilita dalla medesima disposizione.
Ai fini del rispetto del termine di durata massima, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare il concreto utilizzo dei contratti stipulati con la ricorrente,
verificando se erano volti a soddisfare esigenze stabili dell’Amministrazione, anche quando riferiti ad incarichi diversi .
Non è dunque conforme a tali principi la sentenza impugnata, che riguardo ai contratti successivi al primo non ha chiarito se gli incarichi conferiti alla ricorrente erano riconducibili al comma 1 o al comma 2 dell’art. 110 d.lgs. n. 267/2000 ratione temporis applicabile , non ha svolto alcuna verifica in ordine al rispetto dei limiti contenuti nello Statuto (ove si trattasse di incarichi di cui al comma 1) e nel regolamento (ove si trattasse di incarichi di cui al comma 2), né ha verificato il rispetto delle soglie di contingentamento previste dal citato art. 110 (ove si trattasse di incarichi di cui al comma 2), ma si è limitata ad affermare che la violazione di dette soglie , pur potendo comportare l’invalidità dell’incarico, non determina la conversione del contratto.
La Corte territoriale, avendo erroneamente traslato l’applicazione dei principi espressi da Cass. n. 17010/2017 nei confronti dei dirigenti pubblici, si è inoltre limitata a valutare la durata massima del singolo contratto a termine, senza verificare se la concreta utilizzazione dei contratti a tempo determinato, stipulati con la ricorrente dal 4.12.2000 al 15.12.2011 (con proroga dell’ultimo contratto fino al 15.12.2013), era volta a soddisfare esigenze stabili dell’Amministrazione, anche quando riferita ad incarichi diversi .
Il ricorso va pertanto accolto nei termini di cui in motivazione.
La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, del 3 luglio e del 3 ottobre 2025.
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO NOME COGNOME