LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Dirigente a tempo determinato: parità di trattamento

La Corte di Cassazione ha stabilito che un dirigente a tempo determinato di un ente pubblico ha diritto alla stessa retribuzione dei colleghi assunti a tempo indeterminato, a parità di inquadramento. La Corte ha chiarito che spetta al datore di lavoro, e non al dipendente, dimostrare l’esistenza di ragioni oggettive e concrete che giustifichino un trattamento economico inferiore, ribaltando così la decisione dei giudici di merito e affermando la piena applicabilità della normativa europea sulla non discriminazione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Dirigente a Tempo Determinato: La Cassazione Sancisce la Parità di Trattamento Retributivo

Il rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione è spesso fonte di complesse questioni giuridiche, specialmente quando si confrontano le posizioni dei lavoratori a tempo indeterminato con quelle dei colleghi a termine. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale: la parità di trattamento economico per un dirigente a tempo determinato. La pronuncia chiarisce in modo definitivo l’applicazione del principio di non discriminazione di derivazione europea, definendo con precisione l’onere della prova in capo al datore di lavoro pubblico.

I Fatti di Causa

Un dirigente, impiegato da una Regione italiana con una serie di contratti a termine sin dal 1996, ha intentato una causa contro l’ente. Il lavoratore lamentava di aver percepito, nel decennio dal 2006 al 2016, un trattamento retributivo inferiore rispetto ai dirigenti di ruolo con pari inquadramento e funzioni, nonostante l’identità delle mansioni svolte. Chiedeva, quindi, l’accertamento del suo diritto a percepire la stessa retribuzione dei colleghi a tempo indeterminato e la condanna della Regione al pagamento delle differenze retributive maturate.

Il Percorso Giudiziario e le Decisioni di Merito

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le domande del dirigente. I giudici di merito hanno sostenuto che la legge regionale applicabile prevedesse una mera “parametrazione” della retribuzione dei dirigenti a termine a quella dei dirigenti di ruolo, e non una piena equiparazione. Inoltre, hanno ritenuto che il lavoratore non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare la piena comparabilità delle mansioni. Infine, la Corte territoriale ha individuato presunte “ragioni oggettive” che giustificavano la diversità di trattamento, come la diversa modalità di assunzione (chiamata diretta per il ricorrente, concorso pubblico per i dirigenti di ruolo) e la non omnicomprensività del trattamento economico previsto per i contratti a termine.

Parità di Trattamento per il Dirigente a Tempo Determinato: La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore, ha completamente ribaltato la prospettiva dei giudici di merito, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. La Suprema Corte ha fondato la sua decisione sull’interpretazione della normativa nazionale alla luce dei principi inderogabili del diritto dell’Unione Europea, in particolare la Direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito diversi punti fondamentali. In primo luogo, ha ribadito che la direttiva europea si applica pienamente anche ai rapporti di lavoro dirigenziale con le pubbliche amministrazioni. Il fulcro della motivazione risiede nell’interpretazione della clausola 4 della direttiva, che sancisce il principio di non discriminazione: i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto a termine, a meno che non sussistano “ragioni oggettive”.

La Cassazione ha precisato che la “comparabilità” non deve essere provata dal lavoratore in ogni dettaglio. Essa si presume quando i lavoratori, a termine e non, sono inquadrati nello stesso livello secondo la contrattazione collettiva. A questo punto, l’onere della prova si inverte: spetta al datore di lavoro dimostrare l’esistenza di elementi precisi e concreti che giustifichino la disparità di trattamento.

I giudici hanno specificato che tali ragioni oggettive devono riguardare la natura delle funzioni, le caratteristiche delle mansioni espletate o il perseguimento di una legittima finalità di politica sociale. Non possono, invece, consistere in elementi estranei alla prestazione lavorativa, come le modalità di reclutamento (concorso o chiamata diretta) o la diversa “esperienza professionale” di provenienza. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha errato nel ritenere tali elementi sufficienti a giustificare la disparità retributiva e nell’addossare al lavoratore l’onere di provare la comparabilità delle mansioni.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione rappresenta un punto fermo nella tutela dei diritti del dirigente a tempo determinato e, più in generale, di tutti i lavoratori a termine nel settore pubblico. Viene stabilito in modo inequivocabile che, a parità di inquadramento e di livello, la regola è la parità di trattamento economico. L’eccezione, ovvero un trattamento differenziato, deve essere rigorosamente provata dal datore di lavoro sulla base di circostanze oggettive, concrete e pertinenti alla specifica attività lavorativa. Questa pronuncia rafforza la posizione dei lavoratori precari, allineando l’ordinamento italiano ai più elevati standard di tutela previsti dal diritto europeo.

Un dirigente a tempo determinato di un ente pubblico ha diritto alla stessa retribuzione di un collega a tempo indeterminato?
Sì, di norma ha diritto allo stesso trattamento economico. Il principio di non discriminazione impone la parità retributiva a parità di inquadramento. Qualsiasi differenza deve essere giustificata dal datore di lavoro con ragioni oggettive, precise e concrete, relative alla natura delle mansioni svolte.

Su chi ricade l’onere di provare la comparabilità delle mansioni o la giustificazione per un trattamento differente?
L’onere della prova ricade sul datore di lavoro. Se un lavoratore a termine e uno a tempo indeterminato hanno lo stesso inquadramento contrattuale, la loro situazione è presunta come comparabile. È l’ente pubblico a dover dimostrare l’esistenza di ragioni oggettive che giustifichino una retribuzione inferiore, non il lavoratore a dover provare la piena identità delle mansioni.

La modalità di assunzione, come la chiamata diretta invece del concorso, può giustificare una paga più bassa per il lavoratore a termine?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che le modalità di reclutamento, così come la diversa esperienza professionale pregressa, non costituiscono ragioni oggettive valide per giustificare una disparità di trattamento economico tra lavoratori che svolgono mansioni comparabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati