Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27508 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 27508 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 33486-2019 proposto da:
Oggetto
a
a
Regione
NOME
Romagna
–
Dirigente
tempo
determinato
–
Trattamento
retributivo
–
Dirigenti
tempo
indeterminato
–
Violazione
del
principio di non
discriminazione.
R.G.N. 33486/2019
Cron. Rep. Ud. 25/09/2024
COGNOME NOME COGNOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo PEC dell’ avvocato NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso; CC
– ricorrente –
contro
REGIONE EMILIA ROMAGNA, in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 541/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/06/2019 R.G.N. 357/2018;
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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che
Con ricorso ex art. 414 c.p.c. COGNOME NOME, premesso: a) di essere dipendente senza soluzione di continuità dall’1.8.1996 della Regione NOME Romagna in virtù di una pluralità di contratti a termine, quale dirigente nell’ambito dei ‘Servizi affari generali, giuridici e programma zione finanziaria della direzione generale reti infrastrutturali, logica e sistemi di mobilità’; b) di aver ricevuto dal 2006 al 2016 un trattamento retributivo inferiore ai dirigenti di ruolo di pari inquadramento nonostante l’identità di funzioni; chiede va di accertare e dichiarare il proprio diritto al trattamento complessivo percepito dai dirigenti a tempo indeterminato comparabili della Regione NOME Romagna, con conseguente condanna della parte datoriale al pagamento delle differenze retributive.
Argomentava che la fondatezza delle proprie ragioni poteva desumersi dall’art. 18 l.r. NOME Romagna n. 43 del 2001 e dall’art. 6 del d.lgs. n. 368 del 2001, invocava, quindi, la parità di trattamento ed il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 della Direttiva europea 1999/70/CE.
La sentenza del Tribunale di rigetto delle domande veniva confermata dalla sentenza di appello.
In sintesi, la Corte territoriale rilevava che: a) l’art. 18 della l.r. n. 43 del 2001 prevede la mera parametrazione della retribuzione dei dirigenti a termine a quelli a tempo indeterminato e non l’equiparazione; b) l’insussistenza della violazione del principio di non discriminazione, insufficienti a tal uopo le allegazioni e le prove offerte dal ricorrente al fine di
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effettuare un giudizio comparativo; c) la sussistenza di ragioni obiettive che legittimano la diversità di trattamento (es. la chiamata diretta; la non omnicomprensività del trattamento retributivo dei dirigenti a tempo determinato; la diversa professionalità dei dirigenti a tempo determinato ed indeterminato ex art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001).
Propone ricorso per cassazione il lavoratore articolandolo in tre motivi.
Resiste con controricorso la parte datoriale.
Parte ricorrente deposita altresì memoria.
Considerato che
Con il primo mezzo la parte ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., dell’art. 6 d.lgs. n. 368 del 2001, dell’art. 25 del d.lgs. n. 81 del 2015, della clausola 4 della Dir. 1999/70/CE, dell’art. 18 della l.r. NOME Romagna n. 43 del 2001.
Nel motivo si sostiene che in virtù delle norme innanzi indicate al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo in atto presso il datore per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, ovvero quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva. Si denunzia, quindi, la violazione del principio di parità di trattamento e si lamenta altresì la violazione del principio di non discriminazione, atteso che la clausola 4, punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato oggetto della Direttiva del Consiglio del 28.6.1999 stabilisce che ‘ Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il sol fatto di aver un contratto o rapporto di
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lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive’. Si s ostiene, infine, che l’art . 18 della sopraindicata legge regionale deve essere interpretata alla luce dei parametri normativi e dei principi innanzi richiamati.
Nella seconda doglianza viene censurato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Con il motivo si lamenta la mancata effettuazione del giudizio comparativo tra i dirigenti a termine e quelli a tempo indeterminato, giudizio per l’effettuazione del quale bastava far riferimento alle classificazioni contrattuali come previste ex lege. Si precisa comunque che nel ricorso di secondo grado erano stati individuati i dirigenti a tempo indeterminato incaricati di svolgere funzioni identiche a quelle assegnate al ricorrente.
Si contesta il mancato espletamento della prova testimoniale richiesta e non ammessa perché ritenuta ininfluente e valutativa.
Con il terzo motivo, infine, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ovvero il (successivo) riconoscimento da parte del datore d ell’avvenuta violazione del principio di non discriminazione attraverso l’adozione dell’atto dirigenziale n. 14524 del 2015 , con il quale veniva effettuata la perequazione del trattamento retributivo del personale a tempo determinato con quello a tempo indeterminato.
Il primo motivo va accolto, in adesione al percorso argomentativo di Cass. n. 22161 del 2023, cui questo Collegio si riporta integralmente anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.
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8. Giova riportare i passaggi essenziali della motivazione della sopraindicata pronunzia al fine di rendere immediate le ragioni dell’accoglimento: ‘ l’art. 18 della legge reg. n. 43/2001, dopo aver rimesso alla Regione la facoltà di provvedere, seppure entri limiti prefissati, alla copertura dei posti della qualifica dirigenziale con contratti a tempo determinato, stabilisce, al comma 5, che «Il trattamento economico è stabilito con riferimento a quello dei dirigenti di ruolo, e può essere motivatamente integrato con riferimento alla specifica qualificazione professionale posseduta, nonché in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali». L’esegesi della disposizione è condizionata dall’applicabilità alla fattispecie della direttiva 1999/70/CE e dell’Accordo Quadro alla stessa allega to. Al riguardo, questa Corte ha ritenuto (per tutte, Cass., Sez. L, n. 13066/2022) che il rapporto dirigenziale, di natura subordinata secondo il diritto nazionale, rientra a pieno titolo nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE, perché lo stesso non può essere ricondotto a nessuna delle ipotesi di esclusione previste dal comma 2. Ed infatti di detta applicabilità questa Corte non ha mai dubitato allorquando è stata chiamata ad applicare la clausola 4 dell’Accordo quadro ai rapporti dirigenzi ali a termine instaurati dalle amministrazioni pubbliche sull’applicazione della clausola 4 ai dirigenti sanitari assunti a tempo determinato; Cass. n. 5516/2015 e Cass. n. 20460/2018 sui dirigenti assunti a termine dagli enti locali ai sensi dell’art. 110 TUEL). Dalla ritenuta applicabilità dell’Accordo quadro, discende che dell’art. 18, comma 5, della legge reg. n. 43/2001 deve essere data un’interpretazione che sia orientata, or dunque, al rispetto dei principi affermati dal giudice eurounitario sul tema della
prevenzione degli abusi. In tale contesto, va altresì richiamato l’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 368/2001, secondo cui al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spetta il trattamento economico in atto «per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine». Lavoratori ‘comparabili’, nella sola lettura compatibile con il principio di non discriminazione e con la legge nazionale attuativa, sono, pertanto, «quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva», e ciò vale a dire che i dirigenti, di ruolo o non di ruolo, devono intendersi di per sé comparabili, alla stregua dell’espressa disciplina di cui alla legge reg. n. 43/2001, nonché degli e lementi comuni della qualifica, di cui è riflesso l’iter di ‘pesatura’ degli incarichi dirigenziali, qui documentato (v. pag. 9 della sentenza impugnata), a meno che dall’esame di tali mansioni in concreto svolte non emergano «ragioni oggettive che giustifichino la diversità di trattamento» (Corte di Giustizia UE 8 settembre 2011, in causa C-177/10). La Corte territoriale ha errato, quindi, nel rigettare il ricorso perché non era stata fornita dai lavoratori la prova della ‘comparabilità’ con i dirigenti di ruolo delle mansioni svolte, laddove le norme di riferimento impongono, invece, quale regola, in presenza degli elementi qui riscontrati, proprio la parità di trattamento economico, salva l’esistenza di ragioni oggettive non adeguatamente addotte dall ‘ amministrazione con riguardo alle concrete circostanze di espletamento dell ‘ attività lavorativa -che giustifichino la diversità di trattamento (Cass., Sez. L, n. 715/2020, cit.). Per
essere legittima, la diversità di trattamento deve essere, infatti, «giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato, dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro» (così Corte di Giustizia 5 giugno 2018, COGNOME, punto 56, con richiamo a Corte di Giustizia 13 settembre 2007, COGNOME NOME, punto 53, Corte di Giustizia 14 settembre 2016, COGNOME, punto 45 e Corte di Giustizia 22 marzo 2018, COGNOME, punto 65)». La regola di diritto eurounitaria è riassumibile nel senso che la disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato ed a tempo indeterminato non è consentita, a meno che la specificità delle funzioni la giustifichi (sicché viene a mancare nel dettaglio l’elemento della c.d. “comparabilità), oppure se a fondamento vi sia una “legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro” (Cass., Sez. L, n. 29455/2020). In definitiva, le ‘ragioni oggettive’, atte a giustificare una diversità di trattamento, possono essere integrate (per tutte, Cass. n. 705/2021) solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11,
Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, COGNOME). Orbene, la sentenza impugnata, anche sotto tale essenziale profilo, si è discostata dai principi più volte affermati da questa Corte ed, erroneamente, ha ritenuto non violato nella specie il principio di non discriminazione, pur in presenza «della stessa classificazione dei colleghi di ruolo» (così a pag. 10 della sentenza impugnata), dando ingiustificata evidenza ad elementi non dirimenti perché del tutto estranei alla natura e alle caratteristiche delle mansioni espletate, come le modalità di reclutamento (per concorso o per chiamata diretta), la diversa «esperienza professionale» di provenienza dei dirigenti a termine, le concrete modalità di assunzione dell’incarico dirigenziale, l’esigenza (predicabile solo p er i dirigenti di ruolo) di uniformare il trattamento economico al principio di onnicomprensività della retribuzione. Anche con riferimento alla corretta ripartizione dell’onere mare il trattamento economico al principio di onnicomprensività della retribuzione. Anche con riferimento alla corretta ripartizione dell’onere probatorio, la Corte distrettuale, svalutando l’identità della classificazione professionale rinveniente dalla contrattazione collettiva ed evidenziando che i ricorrenti non avevano fornito la prova della ‘comparabilità’ delle mansioni svolte, non si è affatto uniformata all’indirizzo di legittimità. E’ stato ribadito, infatti, che sull’ente datore ricade l’onere di allegazione e prova della sussistenza di elementi precisi e concreti tali da giustificare la disparità di trattamento tra lavoratori con rapporto a termine e quelli assunti a tempo indeterminato; il lavoratore è, invece, tenuto a provare, quale fonte negoziale integrante fatto costitutivo del proprio diritto, la prestazione lavorativa a tempo determinato, nonché l’inquadramento ricevuto e
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l’inadempimento all’obbligo di corresponsione del trattamento retributivo (da ultimo, Cass., Sez. L, n. 8782/2023)’.
Restano assorbiti gli ulteriori due motivi.
All’accoglimento del primo motivo di ricorso consegue la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 25.9.2024