SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1106 2025 – N. R.G. 00000026 2025 DEPOSITO MINUTA 02 12 2025 PUBBLICAZIONE 02 12 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano LA CORTE DI APPELLO DI BARI
SEZIONE LAVORO
composta dai magistrati:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere relatore
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella controversia previdenziale iscritta sul ruolo generale al n. 26NUMERO_DOCUMENTO
TRA
rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
APPELLANTE
E
rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO. COGNOME NOME e dall ‘ AVV_NOTAIO NOME
APPELLATA
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1.Con sentenza del 16.9.2024, il Tribunale del Lavoro di Bari, chiamato a pronunciarsi sulla domanda promossa da , condannava l’ al pagamento in favore della parte ricorrente della RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE (NASpi) dall’8° giorno successivo alla cessazione del rapporto di RAGIONE_SOCIALE, con gli interessi e rivalutazione, oltre le spese di lite da distrarre.
Avverso detta sentenza, l’ ha proposto appello con ricorso del 10.1.2025 e ha chiesto
la riforma integrale della sentenza impugnata.
La Adesso si è costituita invocando il rigetto dell’appello e la conferma della pronuncia di primo grado.
Si acquisivano i documenti prodotti dalle parti e il fascicolo del giudizio di primo grado. In data odierna, all’esito della discussione orale, si svolgeva la camera di consiglio fra i Magistrati del Collegio composto in base alla tabella della Corte, dopodiché si procedeva come da infrascritto dispositivo.
In punto di fatto occorre premettere che, con ricorso ex art. 442 cpc, depositato il 23.10.2023, la Adesso adiva il Giudice del RAGIONE_SOCIALE, esponendo di:
avere lavorato alle dipendenze della in Gravina in Puglia INDIRIZZO, dal 10.1.2022 al 28.4.2023, data in cui era stata costretta a rassegnare le dimissioni per giusta causa con decorrenza dal 29.4.2023;
avere inviato al datore, con pec del 28.4.2023, una formale costituzione di messa in mora, in cui esponeva i motivi che avevano determinato la necessità di recedere con effetto immediato e per giusta causa dal rapporto di RAGIONE_SOCIALE, consistenti, nello specifico, in una serie di illegittime e vessatorie condotte poste in essere dal datore di RAGIONE_SOCIALE, unitamente alla mensile decurtazione di cifre consistenti (in media quasi 400 € al mese) imputate a ‘detraz. assenze virtuale’ e, cioè, ad una causale inesistente, ingiustificata ed illegittima;
avere stipulato in data 15.5.2023 un verbale di conciliazione in sede sindacale, a mezzo del quale le parti davano atto della cessazione del rapporto alla data del 29.4.2023, per dimissioni avvenute per giusta causa, con piena soddisfazione di ogni sua pretesa;
-avere presentato, in data 5.5.2023, domanda amministrativa all’ per usufruire della RAGIONE_SOCIALE, respinta con provvedimento del 18.5.2023, avente la seguente motivazione: ‘ la causa cessazione attività lavorativa non è valida per il trattamento in oggetto’.
In punto di diritto, la rimarcava la natura involontaria RAGIONE_SOCIALE dimissioni rassegnate per tutte le denunciate condotte datoriali, confermata in sede conciliativa e, pertanto, rivendicava il diritto alla indennità di disoccupazione.
Allegava un certificato di malattia del 26.4.2023 con diagnosi di ‘Stato ansioso’ ( all. n. 8 del ricorso introduttivo).
L’ si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e sostenendo che le circostanze denunciate dalla istante fossero inidonee a determinare la giusta causa RAGIONE_SOCIALE dimissioni e, altresì, che la ricorrente non aveva provato la stipula del patto di servizio per l’accesso alla
NASpi.
4. Il Tribunale del RAGIONE_SOCIALE di Bari ha accolto la domanda sul presupposto che le allegazioni e le produzioni della parte ricorrente fossero decisive al fine di ritenere sussistente la giusta causa di dimissioni, alla luce della diffida e messa in mora attestanti in maniera dettagliata la condotta datoriale pregiudizievole per la salute della lavoratrice, nonché l’inesatto adempimento datoriale concretizzatosi nel mancato pagamento integrale della retribuzione base spettante, dimostrato attraverso le illegittime trattenute in busta paga.
Ha dato rilievo alla definizione in sede protetta della controversia avvenuta mediante la stipula in data 15.03.2023 di un verbale di conciliazione sindacale, alle significative condizioni della risoluzione del rapporto per dimissioni per giusta causa da parte della lavoratrice e dell’obbligazione di pagamento a carico della parte datoriale RAGIONE_SOCIALE somme spettanti alla lavoratrice a titolo di mensilità di aprile 2023, Tfr, ratei di 13a e 14a mensilità e, soprattutto, del riaccredito RAGIONE_SOCIALE trattenute per ‘assenze virtuali’.
Il primo giudice ha stimato di particolare rilevanza le trattenute illegittimamente disposte dal datore, mensilmente, come evincibile dalle buste paga prodotte, ammontanti complessivamente al 24,29% della retribuzione base erogata, così come l’incidenza negativa di tali trattenute sui costi fissi a carico della per la percorrenza del tragitto casa –RAGIONE_SOCIALE, residenza (Bari) – sede di RAGIONE_SOCIALE (Gravina in Puglia), di circa 100 km tra andata e ritorno.
Analogamente, ha reputato significativo, a conforto dell’insorgenza di pregiudizi alla salute per la lavoratrice a causa della condotta datoriale vessatoria, il certificato di malattia del 26.04.2023, con diagnosi di stato ansioso, di appena qualche giorno prima RAGIONE_SOCIALE dimissioni.
Rilevate tali circostanze, peraltro non specificamente contestate dall’ , il Tribunale ha concluso ritenendo configurabile l ‘ ipotesi di dimissioni per giusta causa, non potendo proseguire il rapporto lavorativo a causa della condotta vessatoria ed inadempiente della parte datoriale.
Da ultimo, ha considerato irrilevante la difesa dell’ circa la mancata prova dell’avvio della procedura da parte della ricorrente di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e della stipula del patto di servizio personalizzato, non risultando detti adempimenti elementi costitutivi del diritto alla indennità di disoccupazione.
Con un articolato atto di appello, l’ ha censurato la pronuncia per avere valorizzato, ai fini della sussistenza di una condizione di disoccupazione involontaria, inadempimenti
minori, non individuabili nella loro esatta causale e portata, e taluni, privi di riscontro, quale l’asserito stato d’ansia, privo di riscontro nella conciliazione intervenuta tra le parti in sede di conciliazione sindacale, laddove alcuna somma veniva riconosciuta alla lavoratrice a titolo risarcitorio.
Insiste l’appellante sulla mancata prova dell’inadempimento datoriale, quale condizione di vera e propria improseguibilità del rapporto di RAGIONE_SOCIALE, evidenziando come nel verbale di conciliazione si omette di individuare in concreto la giusta causa di dimissioni, indicando semmai RAGIONE_SOCIALE causali di somme riconosciute dal datore di RAGIONE_SOCIALE in favore del lavoratore.
Nello specifico, l’ ha rilevato che il ‘reiterato comportamento mobbizzante’ è risultato privo della allegazione di elementi fattuali concreti e di supporto probatorio, mentre nel verbale di conciliazione la giusta causa di dimissioni è rimasta una mera affermazione, non individuata.
Rimarca l’ che la sussistenza o meno della giusta causa di dimissioni non è valutazione rimessa alle parti, dovendo essere, la prova di tale requisito di giusta causa, verificabile e individuabile in concreto dall’Ente previdenziale, tenuto alla liquidazione della RAGIONE_SOCIALE.
Sottolinea, pertanto, come in forza del verbale di conciliazione: a) sia stata riconosciuta alla parte la somma di € 8.765,35, a titolo esclusivo di pagamento di TFR, ratei 13^, 14^, ferie non godute, permessi e Rol, oltre al riaccredito RAGIONE_SOCIALE trattenute per assenze virtuali; b) la lavoratrice ha confermato che il rapporto di RAGIONE_SOCIALE si fosse svolto esclusivamente secondo le modalità e le condizioni previste dal contratto di RAGIONE_SOCIALE (punto 5), con rinuncia ad ogni ulteriore pretesa ed azione collegate al rapporto di RAGIONE_SOCIALE di qualsivoglia natura; c) senza la corresponsione di alcuna somma a titolo risarcitorio, sì da smentire la sussistenza di un asserito comportamento mobbizzante del datore di RAGIONE_SOCIALE e di un conseguente danno alla salute.
L’ appellante ha censurato, altresì, la sentenza, in quanto priva di adeguato esame e idoneo supporto motivazionale, in merito alla necessaria richiesta da parte del lavoratore di stipula del patto di servizio, onde accedere alla RAGIONE_SOCIALE rivendicata.
Osserva, infatti, che lo stato di disoccupazione involontaria o la sua conservazione, dovesse essere necessariamente integrato, alla luce del richiamato quadro normativo, da specifici elementi quali, l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del RAGIONE_SOCIALE concordate con il centro per
l’impiego, anche per la profilazione e la stipula del patto di servizio.
L’appello è fondato e va accolto.
6.1. È opportuno rammentare che la RAGIONE_SOCIALE (c.d. RAGIONE_SOCIALE) è una indennità mensile di disoccupazione, istituita dall’art. 1 del decreto legislativo
4 marzo 2015, n. 22, erogata a domanda dell’interessato, che sostituisce le precedenti prestazioni di disoccupazione ASpI e MiniASpI in relazione agli eventi di disoccupazione involontaria che si sono verificati a decorrere dal 01.05.2015.
Si considerano disoccupati i lavoratori privi di impiego che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che dichiarino in forma telematica al RAGIONE_SOCIALE la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del RAGIONE_SOCIALE concordate con il centro per l’impiego.
Presupposto indefettibile per il riconoscimento del diritto alla RAGIONE_SOCIALE è, quindi, che lo stato di disoccupazione in cui si trova il lavoratore sia involontario.
In ordine al requisito dell’involontarietà dello stato di disoccupazione, l’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 2015, dispone che la RAGIONE_SOCIALE sia riconosciuta anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di RAGIONE_SOCIALE intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 1, comma 40, della l. n. 92 del 2012.
La Circolare n. 94 del 12.05.2015 chiarisce, inoltre, che ‘la RAGIONE_SOCIALE è riconosciuta in caso di dimissioni che avvengano per giusta causa secondo quanto indicato, a titolo esemplificativo, dalla circolare n. 163 del 20.10.2003…’ fra cui ad esempio -il mancato pagamento della retribuzione, l’aver subito molestie sessuali nei luoghi di RAGIONE_SOCIALE, le modificazioni peggiorative RAGIONE_SOCIALE mansioni lavorative ed il mobbing subito dal lavoratore.
Sebbene, dunque, lo stato di disoccupazione debba essere involontario, l’accesso alla RAGIONE_SOCIALE, sussistendo gli altri requisiti, è consentito anche nell’ipotesi di dimissioni per giusta causa, qualora queste non siano riconducibili alla libera scelta del lavoratore ma siano indotte da comportamenti altrui che integrano la condizione di improseguibilità del rapporto di RAGIONE_SOCIALE.
In presenza di una condizione di improseguibilità del rapporto -la cui ricorrenza deve essere valutata dal giudice -l’atto RAGIONE_SOCIALE dimissioni, ancorché proveniente dal lavoratore, deve, pertanto, essere ascritto al comportamento di un altro soggetto, e il conseguente stato di
disoccupazione non può che ritenersi involontario.
Premesso il dato normativo, va richiamato l’orientamento della Suprema Corte che, a tal proposito, ha sempre ritenuto che la nozione di giusta causa RAGIONE_SOCIALE dimissioni sia da ricollegare o ad un gravissimo inadempimento datoriale, ovvero ad un’altra causa, comunque oggettivamente idonea a ledere il vincolo fiduciario (v. in tal senso Cass. n. 17303/2016).
Tanto premesso in diritto, osserva il Collegio che nel caso in esame la ricorrente, con lettera del 28.4.2023 a firma del difensore di fiducia, rassegnava le dimissioni per giusta causa, con effetto immediato, sulla base RAGIONE_SOCIALE seguenti ragioni: « La mia assistita lamenta di essere vittima pressocché quotidianamente di vessazioni e soprusi, che vanno dalle ingiuste e pubbliche umiliazioni e rimproveri per fatti inesistenti o trascurabili sino all’accusa reiterata di ‘scaldare la sedia’, individuata come vero e proprio capro espiatorio per ogni problema o intoppo operativo, anche estraneo al suo ambito operativo. Tutto ciò unito ad abusi nella gestione contrattuale del rapporto di RAGIONE_SOCIALE (quali ad esempio, da ultimo, l’attribuzione a ferie di una giornata in smart -working e di una giornata certificata come visita specialistica, fino alla negazione di un giorno di ferie per il 24 aprile comunicata pochi giorni prima, nonostante la richiesta fosse inserita nel piano ferie sin dal 9 marzo). Tali comportamenti hanno portato al progressivo deterioramento dello stato psico-fisico della mia assista, costretta da ultimo ad assentarsi per malattia per lo stato ansioso diagnosticato, tanto da integrare un vero e proprio mobbing (o straining, nella migliore RAGIONE_SOCIALE ipotesi) in suo danno. I comportamenti vessatori innanzi denunziati si sono concretizzati inoltre in una costante riduzione della retribuzione corrisposta alla ricorrente, fittiziamente adeguata alle previsioni del CCNL, ma di fatto decurtata mensilmente di cifre consistenti (in media quasi 400 euro al mese) imputate a ‘detraz. assenze virtuale’, una causale inesistente, ingiustificata ed illegittima. Una situazione più volte denunziata (anche nelle scorse settimane) dalla dr. e a cui mai l’azienda ha voluto porre rimedio. Per tali ragioni, a tutela della sua integrità morale e psico-fisica, non essendo più possibile proseguire il rapporto di RAGIONE_SOCIALE neppure provvisoriamente, con la presente la dr. , che sottoscrive la presente ad ogni effetto di legge, rassegna le dimissioni immediate per giusta causa. Seguirà la formalizzazione telematica RAGIONE_SOCIALE dimissioni».
Seguiva in data 5.5.2023 la richiesta di NASpi e il 15.5.2023 il verbale di conciliazione a mezzo del quale alla Adesso venivano corrisposte tutte le somme di fine rapporto, oltre il
rimborso integrale di quanto mensilmente decurtato, mentre nessuna voce risarcitoria le veniva riconosciuta per i molteplici atteggiamenti mobbizzanti denunciati.
In disparte il pagamento RAGIONE_SOCIALE dovute spettanze di fine rapporto, va in primis osservato che il rimborso RAGIONE_SOCIALE decurtazioni mensili, potrebbe, nella specie, fondare una giusta causa di recesso, se non fosse che a fronte di un comportamento datoriale di particolare gravità, quale la sistematica mensile decurtazione di un importo di circa 400 €, peraltro non esiguo, anche in considerazione dei costi di viaggio dalla stessa sostenuti, non vi sia mai stata alcuna contestazione da parte della .
E’ significativo rilevare, altresì, che la distanza kilometrica tra abitazione e sede di RAGIONE_SOCIALE, rimarcata più volte dalla ricorrente e valorizzata dal giudice di primo grado, milita anch’essa di favore di una solerte reazione che la avrebbe legittimamente dovuto avere a fronte di una rilevante e mensile decurtazione retributiva, comprovandone l’incidenza pregiudizievole di tale condotta.
Né va sottaciuto come la condotta datoriale, appena descritta, si sia protratta per tutto il periodo di prosecuzione del rapporto di RAGIONE_SOCIALE dal 10.1.2022 al 28.4.2023, anch’esso ragguardevole, senza una pronta e tempestiva denuncia da parte della dipendente.
Spettava, dunque, alla Adesso allegare e dimostrare la sussistenza di una giusta causa di dimissioni, supportando la domanda con i pertinenti dati di fatto, anche in ordine al principio d’immediatezza, o quantomeno compatibile con un ragionevole lasso di tempo, atta a disvelare l’autentica genesi RAGIONE_SOCIALE dimissioni rassegnate, avvalorando la ‘giusta causa’.
Utile richiamare il consolidato principio sancito dalla Suprema Corte che, tornata con le recenti ordinanze n. 31999 del 11.12.2018 e n. 30310 del 25.11.2024 sul tema della necessità di una immediata rivendicazione del lavoratore, ai fini RAGIONE_SOCIALE dimissioni per giusta causa, ha così ribadito: ‘ 12.2. Accertata la particolare gravosità del RAGIONE_SOCIALE straordinario preteso, infatti, ne consegue che correttamente la Corte di merito ha ritenuto sussistente una giusta causa di dimissioni e, per l’effetto, dovuta l’indennità di preavviso chiesta. Quanto alla dedotta tardività della reazione del lavoratore, che nella ricostruzione della ricorrente avrebbe dovuto convincere la Corte della insussistenza di una giusta causa di dimissioni va qui ribadito che ‘il principio dell’immediatezza, che condiziona la validità e tempestività RAGIONE_SOCIALE dimissioni del lavoratore per giusta causa, deve essere inteso in senso relativo e può essere, nei casi concreti, compatibile con un intervallo ragionevole di tempo (cfr. Cass. 20/05/2008 n. 12375 e già, tra le poche pronunce esistenti Cass. 15/05/1980 n. 3222). La
valutazione in concreto della tardività o meno della reazione è demandata al giudice di merito ed è censurabile in Cassazione nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Tanto premesso, va rilevato che nel caso in esame la Corte di merito ha verificato, in adesione ai principi esposti l’esistenza di una giusta causa di dimissioni e ne ha motivatamente escluso la tardività. La censura si traduce unicamente nel tentativo di una diversa valutazione degli elementi emersi in giudizio, con riguardo a tutti i comportamenti che la sentenza ha giudicato lesivi con argomentazioni, per quel che si è detto, giuridicamente corrette e senza omissione nella valutazione di fatti decisivi’.
Analogamente con sentenza n. 24432 del 2022, la Suprema Corte, per una fattispecie di protratto mancato pagamento della retribuzione nella misura dovuta, sovrapponibile a quella qui in esame, ha sancito: ‘10.2. Neppure poi la Corte di appello è incorsa nel denunciato vizio di violazione dell’art. 2119 cod. civ.. Ciò di cui si controverte è l’impossibilità di proseguire anche temporaneamente il rapporto in relazione alla protratta mancata erogazione della retribuzione nella misura convenuta e correttamente è stato escluso che in mancanza di una prova del fatto che la mancata percezione RAGIONE_SOCIALE somme da erogare mensilmente, pur cumulativamente di importo rilevante, abbiano inciso sull’immediato soddisfacimento RAGIONE_SOCIALE esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia (circostanza neppure allegata) non è ravvisabile una giusta causa di dimissioni. Anche con riguardo ai dirigenti, infatti, il ritardo del datore di RAGIONE_SOCIALE nel pagamento della retribuzione non può giustificare la risoluzione immediata del rapporto allorché il dipendente abbia tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di risolverlo immediatamente e si sia invece avvalso di rimedi alternativi, non risolutori, per sollecitare il pagamento RAGIONE_SOCIALE retribuzioni scadute, sempre che il ritardo suddetto non assuma un significato di gravità per avere il lavoratore dovuto provvedere con mezzi sostitutivi della retribuzione non corrisposta alla scadenza contrattuale o consuetudinaria (Cass. 07/12/1989 n. 5448, n. 648 del 1989, e n. 469 del 1989). La durata dell’inadempimento nel tempo non fornisce argomenti per escludere l’esistenza di una giusta causa di recesso e la sistematica continuità della condotta della datrice di RAGIONE_SOCIALE, non limitata a singole occasioni, è indice della gravità della violazione della legge, che deve essere effettuata nell’ambito di una valutazione complessiva della vicenda fino al suo momento finale. Tuttavia, è l’oggetto dell’inadempimento protratto che va preso in esame per verificare se esso costituisca effettivamente una ragione che non consente la prosecuzione neppure provvisoria (Cass.
18/10/2002 n. 14829). E’ onere di chi si voglia avvalere dell’esistenza di una giusta causa di dimissioni allegare specificatamente quale incidenza pregiudizievole la condotta datoriale abbia avuto’.
Ciò detto, il fatto che ab initio, nella rappresentazione data dalla ricorrente, il rapporto si sia atteggiato nei termini indicati, ossia con una costante decurtazione mensile di una rilevante cifra è del tutto incompatibile con la pretesa che le dimissioni si configurino come immediata conseguenza di tali circostanze.
In mancanza di alcuna contestazione da parte della a fronte RAGIONE_SOCIALE fisse decurtazioni mensili, peraltro interamente corrisposta in via transattiva a tacitazione, induce questo Collegio ad escludere un giudizio di particolare gravità nel comportamento dell’ex datore e, per l’effetto, la sussistenza di una giusta causa di dimissioni.
Ne consegue l’incensurabilità della scelta dell’ di respingere la domanda amministrativa, non emergendo per tabulas i presupposti per la ricomprensione della fattispecie indicata fra i particolari casi di dimissioni contemplate nella circolare n.163 del 20.10.2003.
6.2. Analoghe considerazioni valgono per le condotte mobbizzanti, in merito alle quali, oltre a difettare l’enunciato principio della immediata reazione del lavoratore, manca una benché minima prova idonea a dimostrare i denunciati episodi di ‘un vero e proprio mobbing (o straining, nella migliore RAGIONE_SOCIALE ipotesi)’ riportati nella lettera di dimissioni.
Si è in presenza, per quanto emerge dagli atti di causa, della sola lettera del 28.4.2023, ovvero di un documento proveniente dalla stessa parte che intende giovarsene, non idoneo a costituire prova in favore di essa (v. Cass. n. 8290 del 2016, in motivazione: «… va ulteriormente rilevato che un documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa né determina inversione dell’onere probatorio nel caso in cui la parte contro la quale è prodotto contesti il diritto, anche relativamente alla sua entità, oltreché alla sua esistenza (cfr. Cass. nn. 5573/97 e n. 9685/00)» ).
Va pure aggiunto che nella lettera di diffida e contestuali dimissioni non si fa cenno alcuno a concrete rimostranze da parte della , né tale lettera è mai stata preceduta da alcuna ulteriore lamentela o iniziativa da parte della stessa.
Rileva, altresì, la Corte, in condivisione con le pertinenti osservazioni di parte appellante, che in sede transattiva non vi è stata alcuna corresponsione di somme a titolo risarcitorio in favore della , a fronte degli asseriti (cfr. lettera di dimissioni) ‘abusi nella gestione
contrattuale del rapporto di RAGIONE_SOCIALE ‘ da parte datoriale.
6.3. Risulta, altresì, palesemente infondato l’accertamento della giusta causa di dimissioni, come chiesto dalla , vagliato in relazione al danno alla salute.
A tale fine, infatti, va ritenuto non probante, oltre che del tutto insufficiente, il certificato di malattia del 26.4.2023 che la parte appellata si limita a produrre in allegato al ricorso di primo grado, senza tuttavia adeguatamente dedurre e provare, anche mediante apposita CTP o ulteriore documentazione medica, lo stretto collegamento tra la diagnosi di ‘stato ansioso’ e le denunciate condotte datoriali.
6.4. In tale quadro di evidente inconcludenza probatoria, aderendo alla prospettazione difensiva dell’ , va ritenuta non comprovata la prospettata condotta illecita datoriale, atta a giustificare le dimissioni per giusta causa.
Ritenuta assorbita ogni altra questione, l’appello promosso dall’ va accolto, e in riforma dell’impugnata sentenza, va respinta la domanda della istante.
Seguendo il principio della soccombenza, va disposta la condanna di al pagamento in favore dell’ RAGIONE_SOCIALE spese di lite del doppio grado di giudizio, oltre gli accessori come per legge.
La liquidazione è affidata al dispositivo che segue sulla scorta dei parametri di cui al d.m. 55 del 2014 e tenendo conto della complessità della controversia, della natura della causa e dell’attività processuale in concreto svolta.
P.Q.M.
Accoglie l’appello proposto dall’ , con ricorso di gravame depositato in data 10.1.2025, avverso la sentenza n. 3032/2024 del giudice del RAGIONE_SOCIALE del Tribunale di Bari del 16.9.2024 nei confronti di e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, rigetta la domanda avanzata dall’appellata;
condanna l’appellata al pagamento, in favore dell’ RAGIONE_SOCIALE spese del doppio grado del giudizio, che liquida, quelle di primo grado, in complessivi € 1100,00, e quelle di questo grado in € 1000,00, oltre accessori e rimborso forfettario come per legge.
Così deciso in Bari, il 03/11/2025
Il Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Il consigliere est.
AVV_NOTAIO NOME COGNOME