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Dimissioni per giusta causa e Naspi: il caso amianto

Un lavoratore si dimette invocando le dimissioni per giusta causa a causa di stipendi non pagati e della presenza di amianto sul luogo di lavoro. L’INPS nega la Naspi. La Cassazione conferma la decisione, sottolineando che la rassegnazione delle dimissioni quasi due anni dopo la scoperta del rischio amianto fa venir meno il requisito dell’immediatezza, essenziale per la giusta causa e quindi per l’accesso all’indennità di disoccupazione.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Dimissioni per Giusta Causa e Naspi: Il Principio di Immediatezza è Decisivo

Le dimissioni per giusta causa rappresentano un importante strumento di tutela per il lavoratore di fronte a gravi inadempimenti del datore di lavoro. Tuttavia, per accedere alla relativa tutela previdenziale, come l’indennità Naspi, è necessario che la reazione del lavoratore sia tempestiva. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ha recentemente ribadito questo principio in un caso emblematico, riguardante un lavoratore che si era dimesso per la presenza di amianto sul posto di lavoro, ma solo quasi due anni dopo averne avuto conoscenza.

I Fatti del Caso: Tra Mancati Pagamenti e Rischio Amianto

Un dipendente aveva rassegnato le proprie dimissioni adducendo una serie di inadempimenti da parte del suo datore di lavoro: il mancato pagamento di una mensilità e di alcuni buoni pasto, ma soprattutto la grave situazione di rischio per la sua salute a causa della presenza di amianto nei locali aziendali. Tale presenza era stata confermata da analisi che lo stesso lavoratore aveva fatto eseguire nel 2015.

Nonostante queste ragioni, le dimissioni erano state presentate solo nel marzo 2017. Di conseguenza, l’Istituto Previdenziale aveva negato l’erogazione dell’indennità di disoccupazione Naspi, sostenendo che non sussistesse il requisito della giusta causa. Il lavoratore ha quindi avviato un’azione legale per ottenere il riconoscimento del suo diritto.

Il Percorso Giudiziario: La Decisione dei Giudici di Merito

Tanto il Tribunale di primo grado quanto la Corte d’Appello hanno respinto la richiesta del lavoratore. Secondo i giudici, il mancato pagamento di una sola mensilità e dei buoni pasto, sebbene costituisse un inadempimento, non era così grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto.

Per quanto riguarda la questione più grave, quella dell’amianto, i giudici hanno evidenziato la mancanza di specificità nelle accuse del lavoratore. Inoltre, e questo è il punto cruciale, hanno ritenuto che il lungo lasso di tempo trascorso tra la scoperta del rischio (2015) e le dimissioni (2017) facesse venir meno il requisito dell’attualità e dell’immediatezza, indispensabile per configurare la giusta causa.

L’Analisi della Cassazione sulle dimissioni per giusta causa

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile e infondato, confermando le decisioni precedenti. I giudici supremi hanno basato la loro decisione su principi procedurali e di merito consolidati.

L’Immediatezza come Valutazione di Fatto

La Corte ha ribadito che la valutazione sulla tempestività delle dimissioni è una questione di fatto, riservata al giudice di merito. Poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello erano giunti alla stessa conclusione (“doppia conforme”), la possibilità di contestare tale valutazione in Cassazione era preclusa. La Corte d’Appello aveva logicamente concluso che le dimissioni, presentate quasi due anni dopo la scoperta del pericolo, non potevano più essere considerate una reazione immediata a una situazione intollerabile.

L’Onere della Prova a Carico del Lavoratore

In secondo luogo, la Cassazione ha chiarito che, nel contenzioso contro l’ente previdenziale per ottenere la Naspi, è il lavoratore a dover provare la sussistenza di tutti i requisiti di legge, inclusa la giusta causa delle dimissioni. Le sue allegazioni devono essere specifiche e supportate da prove concrete. Nel caso di specie, il lavoratore non aveva fornito nel suo ricorso dettagli sufficienti, come il contenuto delle analisi del 2015, per permettere alla Corte di valutare la fondatezza delle sue ragioni.

Le Motivazioni: Perché l’Immediatezza è Cruciale per la Giusta Causa

Il cuore della decisione risiede nel “principio dell’immediatezza”. La giusta causa di dimissioni presuppone una situazione talmente grave da non permettere la prosecuzione, neanche temporanea, del rapporto di lavoro. Se un lavoratore, pur a conoscenza di un grave inadempimento o di un serio pericolo, continua a lavorare per un lungo periodo, il suo comportamento può essere interpretato come un’implicita accettazione della situazione, o comunque come una dimostrazione che la stessa non era così “intollerabile” da richiedere una rottura immediata del rapporto.

La valutazione di questo lasso di tempo è “relativa” e va contestualizzata, ma un ritardo di quasi due anni è stato considerato eccessivo e incompatibile con la nozione stessa di giusta causa. Questo indebolisce la posizione del lavoratore, non nel rapporto con il datore di lavoro (dove potrebbe comunque avere altre tutele), ma nel rapporto con l’ente previdenziale, il cui obbligo di erogare la Naspi è strettamente legato a una perdita “involontaria” del lavoro, categoria in cui rientrano le dimissioni per giusta causa solo se ne rispettano tutti i requisiti.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Lavoratori

Questa ordinanza offre importanti lezioni pratiche. Un lavoratore che si trova di fronte a un grave inadempimento del datore di lavoro, che sia il mancato pagamento dello stipendio o un serio rischio per la salute, deve agire con tempestività se intende rassegnare le dimissioni per giusta causa e richiedere la Naspi. Un’attesa prolungata può essere fatale per il riconoscimento del diritto all’indennità di disoccupazione.

È fondamentale, inoltre, documentare in modo preciso e dettagliato la situazione, raccogliendo tutte le prove necessarie a dimostrare la gravità dell’inadempimento e la sua incidenza sulla prosecuzione del rapporto. Quando si agisce in giudizio, specialmente contro un ente previdenziale, l’onere di provare il proprio diritto ricade interamente sul richiedente.

Quando le dimissioni sono considerate “per giusta causa” ai fini della Naspi?
Le dimissioni sono per giusta causa quando si verificano per un inadempimento del datore di lavoro così grave da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto. La reazione del lavoratore deve essere tempestiva rispetto alla conoscenza del fatto.

Un ritardo di due anni nel rassegnare le dimissioni dopo aver scoperto un rischio per la salute (come l’amianto) compromette la giusta causa?
Sì. Secondo la sentenza, un tale ritardo fa venir meno il requisito dell’immediatezza, poiché suggerisce che la situazione non era così intollerabile da impedire la continuazione del rapporto di lavoro. Questo esclude il connotato di “giusta causa” e, di conseguenza, il diritto alla Naspi.

A chi spetta l’onere di provare la giusta causa delle dimissioni in una causa contro l’INPS per ottenere la Naspi?
L’onere della prova spetta interamente al lavoratore (l’assicurato). Egli deve dimostrare in modo specifico e dettagliato tutti i fatti che costituiscono la giusta causa delle sue dimissioni per avere diritto all’indennità di disoccupazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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