Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31427 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31427 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22682-2020 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 908/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 19/12/2019 R.G.N. 228/2019;
Oggetto
COGNOME
R.G.N. 22682/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 15/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Con sentenza del giorno 19.12.2019 n. 908, la Corte d’appello di Torino accoglieva parzialmente il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Torino che aveva respinto il ricorso proposto da quest’ultimo nei confronti dell’Inps, volto a ottenere la concessione dell’in dennità di disoccupazione Naspi, che l’Inps aveva respinto ritenendo non integrato il requisito richiesto dall’art. 3 comma 1 lett. c) del d.lgs. n. 22/15, in quanto l’Istituto previdenziale non ha riconosciuto la giusta causa delle dimissioni presentate il 16.3.17, perché al ricorrente non era stato corrisposto lo stipendio di febbraio 2017, non gli erano stati erogati i buoni pasto da novembre 2016 alle dimissioni ma soprattutto per i rischi per la sicurezza sul luogo di lavoro, dovuti alla presenza di so stanze pericolose come l’amianto.
La Corte d’appello, pur accogliendo la doglianza relativa alla regolamentazione delle spese di lite, perché il lavoratore aveva allegato, in primo grado, di avere i prescritti requisiti reddituali per beneficiare dell’esenzione, ex art. 152 disp. att., nel merito della controversia ha confermato la sentenza di primo grado.
Il giudice di appello ha ritenuto, infatti, che la mancata corresponsione di una mensilità e dei buoni pasto, configurava sì un inadempimento ma era privo del carattere di gravità. Quanto al denunciato profilo della sicurezza del luogo di lavoro, la Corte d’appello ha fatto proprie le argomentazioni del giudice di primo grado ed ha rilevato che non erano stati precisati i periodi di dichiarata esposizione all’amianto e non erano state indicate, per ogni periodo, le mansioni effettivamente svolte alle dipendenze della azienda né erano stati precisati gli edifici
all’interno dei quali il COGNOME aveva operato . Inoltre, il lavoratore non aveva specificato le modalità e le occasioni in cui sarebbe entrato in contatto con sostanze pericolose o tossiche e nessuna segnalazione era stata effettuata dallo stesso allo RAGIONE_SOCIALE o all’Inail per consentire le necessarie proc edure di verifica e ciò nemmeno a seguito delle analisi da lui effettuate nel 2015. Con riguardo alle dimissioni, poi, la Corte del merito ha evidenziato che le stesse erano state presentate quasi due anni dopo che il lavoratore era venuto a conoscenza degli esiti delle analisi da lui fatte eseguire nel 2015.
Avverso la sentenza, NOME COGNOME NOME ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi . L’ Inps ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Il Collegio ha riserva to il deposito dell’ ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2118 c.c., in combinato disposto con l’art. 41 Cost. e con l’art. 2087 c.c., nonché con Dir. 2009/148/CE e con reg. UE 1357/14, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto la carenza del requisito dell’attualità delle dimissioni, in presenza di un perdurante inadempimento posto in essere dal datore di lavoro, in riferimento all’esposizione e contatto del ricorrente con l’amianto e in perdurante assenza di dispositivi di protezione individuale e di protocolli e misure di prevenzione.
Ad avviso del ricorrente, la prosecuzione del rapporto di lavoro era divenuta intollerabile per la palese carenza di buona fede del datore di lavoro, in ragione della prolungata e reiterata
condotta inerte per apprestare le necessarie misure di sicurezza al fine di tutelare la salute del lavoratore sul luogo di lavoro.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2118 c.c., in combinato disposto con l’art. 41 Cost. e con l’art. 2087 c.c., nonché con Dir. 2009/148/CE e con reg. UE 1357/14 e con i principi che regolano l’onere probatorio, di cui all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente, la Corte territoriale aveva stabilito la mancanza di allegazioni atte a dimostrare la sussistenza della giusta causa delle dimissioni, sulla violazione della normativa in materia di sicurezza del lavoro e ciò era dovuto, ad avviso del ricorrente, a uno scorretto governo dei canoni di riparto de ll’onere probatorio.
Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., perché la Corte del merito non aveva tenuto conto del referto relativo all’esame ambienta le dei luoghi di lavoro, ai fini dell’integrazione probatoria dei rischi cui era stato esposto il ricorrente.
Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 115, 116 e 245 c.p.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente, la Corte d’appello aveva respinto il motivo di gravame relativo alla mancata assunzione testimoniale del sig. NOME COGNOME.
Il primo motivo è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘Il principio dell’immediatezza, che condiziona la validità e tempestività delle dimissioni del lavoratore per giusta causa, deve essere inteso in senso relativo e può essere, nei casi concreti,
compatibile con un intervallo ragionevole di tempo, la cui valutazione è demandata al giudice di merito ed è censurabile in cassazione nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’ (Cass. n. 31999/18, 6437/20).
Nella specie, in disparte la presenza di una doppia decisione ‘conforme’ sugli stessi fatti (che preclude la censura di cui all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.), la Corte d’appello con apprezzamento dei fatti a lei riservato, ha valutato che le dimissioni non fossero attuali, visto che l’accertamento eseguito proprio su sollecitazione del lavoratore (sulla presenza dell’amianto nel luogo di lavoro) era del 2015 e che, solo due anni dopo, il Grosso aveva ritenuto di presentare le dimissioni che a quel punto non avevano più, secondo la Corte territoriale, il connotato della giusta causa che non consentiva la prosecuzione del rapporto, neppure nel breve periodo, in base a quanto asseritamente accertato quasi due anni prima.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Infatti, in riferimento all’onere della prova, la presente controversia riguarda il rapporto previdenziale tra l’assicurato e l’Istituto previdenziale e non il rapporto di lavoro tra il lavoratore e il datore di lavoro, per cui la giusta causa di recesso costituisce un requisito del diritto ad ottenere il trattamento di disoccupazione che deve essere provato dall’assicurato.
In riferimento al profilo della presenza di materiali tossici sul posto di lavoro, poi, la censura difetta di specificità, in quanto il ricorrente non riporta il contenuto delle analisi che lui stesso fece effettuare nel 2015, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di mettere in condizioni questa Corte, di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 26174/14) .
Peraltro la stessa Corte del merito ha evidenziato come la censura sulla insicurezza del luogo di lavoro era generica e priva dei riferimenti fattuali necessari, quali i periodi di effettiva esposizione, le mansioni effettivamente svolte e all’interno di quali loc ali dell’azienda (cfr. p. 11 della sentenza impugnata).
Il terzo motivo è inammissibile stante l’esistenza di una doppia decisione ‘conforme’ sugli stessi fatti che preclude la deduzione del motivo di censura di cui all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. Nel merito – in disparte i profili di specificità, in quanto il referto sulle analisi ambientali non è stato riportato in ricorso neppure per riassunto – non sussiste l’ omesso esame del documento indicato, avendolo la Corte del merito esaminato alla p. 15 della sentenza impugnata, anche se al fine di negare l’attualità delle dimissioni presentate dal ricorrente.
Il quarto motivo, infine, è inammissibile.
In disparte il difetto di specificità, in quanto il ricorrente non riporta il capitolo di prova oggetto di doglianza al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisività dei fatti da provare, va precisato che una violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per un’erronea valutazione del materiale istruttorio, ma solo quando si alleghi che il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’u fficio fuori dei limiti legali (cfr. Cass. n. 27000/16, 5640/21).
Al rigetto del ricorso, consegue la condanna alle spese di lite, secondo quanto meglio indicato in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare all’Inps le spese di lite che liquida nell’importo di € 2.500,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15.11.24