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Dimissioni inefficaci: la firma non è convalida

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6905/2024, ha stabilito l’inefficacia delle dimissioni di una lavoratrice. La Corte ha chiarito che la sola sottoscrizione per ricevuta della comunicazione telematica di dimissioni non equivale alla “apposita dichiarazione” di conferma richiesta dalla legge n. 92/2012. Mancando questa formale convalida, le dimissioni non si sono perfezionate e la successiva revoca da parte della lavoratrice è stata ritenuta pienamente valida, con conseguente annullamento della sentenza d’appello e rinvio della causa.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Dimissioni Inefficaci: Perché la Firma per Ricevuta non Basta

L’atto delle dimissioni rappresenta un momento cruciale nel rapporto di lavoro, la cui validità è subordinata al rispetto di precise formalità a tutela del lavoratore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 6905/2024) ha ribadito un principio fondamentale: la semplice firma per ricevuta della comunicazione telematica non è sufficiente a convalidare le dimissioni, rendendole di fatto dimissioni inefficaci se non seguono ulteriori e specifici passaggi previsti dalla legge. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una lavoratrice, dipendente di una farmacia dal 1995, comunicava le proprie dimissioni tramite il modello telematico Unilav. Successivamente, a distanza di pochi giorni, inviava al datore di lavoro una comunicazione di revoca delle stesse dimissioni.
Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda della lavoratrice, dichiarando l’inefficacia delle dimissioni e ordinando la riammissione in servizio. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione, ritenendo che la firma apposta dalla lavoratrice sulla ricevuta della comunicazione telematica avesse il valore di conferma della volontà di dimettersi, rendendo tardiva e inefficace la successiva revoca.

La Procedura di Convalida e le Dimissioni Inefficaci

La lavoratrice ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando l’errata applicazione della Legge n. 92/2012. La normativa in vigore all’epoca dei fatti (precedente alla riforma del Jobs Act del 2015) prevedeva una procedura specifica per garantire l’autenticità e la genuinità del consenso del lavoratore dimissionario.

Secondo la legge, le dimissioni, per diventare efficaci, devono essere perfezionate attraverso un percorso a tappe, una ‘fattispecie a formazione progressiva’. Questo percorso include alternative precise:

1. La convalida presso la Direzione Territoriale del Lavoro (DTL) o il Centro per l’Impiego.
2. La sottoscrizione di una ‘apposita dichiarazione’ in calce alla ricevuta della comunicazione telematica.
3. La mancata revoca entro 7 giorni da un invito formale del datore di lavoro a confermare la volontà.

La Corte d’Appello aveva erroneamente equiparato la semplice firma per ricevuta con la ‘apposita dichiarazione’ richiesta dalla norma.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della lavoratrice, chiarendo in modo inequivocabile la distinzione tra i due atti. La firma per ricevuta attesta unicamente di aver ricevuto un documento, mentre l’ ‘apposita dichiarazione’ è una manifestazione di volontà specifica e ulteriore, finalizzata a confermare la decisione di risolvere il rapporto di lavoro.

La Corte ha sottolineato che confondere i due concetti rappresenta un’interpretazione che abroga di fatto la norma, svuotandola della sua funzione di protezione. La legge richiede formalità scritte e precise proprio per prevenire abusi e consentire al lavoratore un eventuale ripensamento, entro termini brevi e prefissati. Mancando nella specie una valida convalida secondo una delle modalità previste, le dimissioni non si sono mai perfezionate. Di conseguenza, la successiva revoca, intervenuta prima del perfezionamento, è stata considerata pienamente efficace.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma l’importanza del rigore formale nelle procedure di dimissioni volontarie. La decisione della Cassazione serve come monito: la tutela del consenso del lavoratore non può essere aggirata da interpretazioni sbrigative. Per un datore di lavoro, è fondamentale assicurarsi che il processo di dimissioni sia completato secondo tutti i crismi di legge, inclusa la richiesta di una chiara dichiarazione di conferma, per evitare che le stesse vengano dichiarate dimissioni inefficaci. Per i lavoratori, questa sentenza conferma l’esistenza di uno spazio di ripensamento garantito dalla legge, a patto che la procedura di convalida non sia ancora stata completata.

La firma per ricevuta della comunicazione di dimissioni vale come convalida delle stesse?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la sottoscrizione apposta per ricevuta è un atto distinto e non può sostituire l’ ‘apposita dichiarazione’ di conferma della volontà di dimettersi richiesta dalla legge (L. 92/2012).

Cosa si intende per ‘fattispecie a formazione progressiva’ in materia di dimissioni?
Significa che le dimissioni non diventano efficaci con la sola comunicazione, ma richiedono il completamento di una serie di passaggi successivi previsti dalla legge, come la convalida presso enti competenti o la firma di una dichiarazione specifica, per essere considerate definitive e irrevocabili.

Se le dimissioni non sono state formalmente convalidate, è possibile revocarle?
Sì. Secondo la sentenza, finché le dimissioni non sono perfezionate attraverso una delle modalità di convalida previste dalla legge, la successiva comunicazione di revoca da parte del lavoratore è valida ed efficace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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