Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27350 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 27350 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso 6582-2024 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 02/10/2024
PU
avverso la sentenza n. 6/2024 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/01/2024 R.G.N. 1002/2023 udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/10/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato
NOME COGNOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la domanda di primo grado NOME COGNOME adiva il giudice del lavoro chiedendo che fosse accertato il demansionamento subito negli ultimi quindici mesi, l’abuso da parte di RAGIONE_SOCIALE, sua datrice di lavoro, del ricorso all’isti tuto del RAGIONE_SOCIALE (da ora FIS) e la sussistenza di una giusta causa di dimissioni; chiedeva la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni connessi al demansionamento ed alla illegittima sospensione in FIS, al pagamento della penale contrattuale, alle differenze sul trattamento di fine rapporto, alla indennità sostitutiva del preavviso, alla restituzione di quanto illegittimamente trattenuto a titolo di recupero del preavviso dalla società; si costituiva RAGIONE_SOCIALE che in via riconvenzionale formulava domanda di condanna del COGNOME al pagamento della penale contrattuale per violazione del patto di stabilità ed all’indennità l’indennità sostituiva del preavviso.
Il giudice di primo grado dichiarava la sussistenza della giusta causa di dimissioni e condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento di somme a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, di incidenza di differenze sul trattamento di fine rapporto, di penale prevista dal patto di stabilità (riparametrata
al residuo periodo di durata), di restituzione della trattenuta indebitamente operata per il mancato preavviso, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; condannava altresì la società al risarcimento del danno per illegittimo demansionamento e mancata rotazione in FIS .
La Corte di appello di Milano, in riforma della decisione, ha respinto la domanda del COGNOME e lo ha condannato a pagare a RAGIONE_SOCIALE l’importo di € 43.667,60 oltre interessi legali dal 26.3.2021 al saldo.
La Corte di merito ha motivato la statuizione di integrale rigetto della domanda del lavoratore osservando che: a) la fattispecie concernente il denunziato demansionamento doveva essere verificata alla luce della modifica all’art. 2103 c.c. introdotta dal d. lgs. n. 81/2015, vigente ratione temporis, la quale al criterio dell’equivalenza sostanziale delle mansioni aveva sostituito il principio dell’equivalenza formale alla stregua del quale si richiedeva solo l’adibizione del lavoratore a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte; b) in applicazione di tale parametro era da escludere l’illegittima variazione del ruolo del COGNOME, assunto il 1.3.2019 con qualifica di quadro, livello A del c.c.n.l., in conseguenza dell’ingresso in aziend a di un nuovo soggetto con ruolo di Area General Manager -CHIEF Operating Officer; infatti, alcun sostanziale declassamento del dipendente rispetto alle mansioni riconducibili a quelle di quadro di livello A) del contratto collettivo applicabile si era verificato; il COGNOME, come emerso dalla prova orale e documentale, aveva mantenuto nella sostanza, pur dopo l’ingresso del nuovo Ceo, la posizione di direttore operativo della struttura milanese, con caratteristiche tipiche dell’inquadramento posseduto; c) l a mancata rotazione del COGNOME dopo la sospensione in RAGIONE_SOCIALE
integrazione doveva essere valutata alla luce del particolare contesto, legato all’emergenza pandemica da Covid 19 in ragione del quale la società aveva ritenuto di ricorrere all’ammortizzatore sociale, e dello specifico ruolo ricoperto dal dipendente nell ‘ambito dell’azienda tale da circoscrivere la possibilità di alternanza con altri dipendenti alle sole posizioni (quadro livello A) ad esso assimilabili, posizioni nello specifico non sussistenti; d) in relazione al periodo di riapertura della struttura alberghiera occorreva considerare come la stessa, durante il periodo di sospensione del COGNOME, era tornata solo parzialmente in funzione per un periodo di circa due mesi e per un numero ristrettissimo di stanze rispetto alle centinaia normalmente operative, circostanza che giustificava il mancato rientro del dipendente e l’accorpamento delle relative funzioni a quelle dei preposti; e) considerate ulteriori circostanze relative ai direttori di altre strutture facenti capo alla società datrice di lavoro app ariva quindi ingiustificata l’invocata rotazione; f) da tutto quanto sopra emergeva la conformità a correttezza e buona fede della condotta datoriale con conseguente venir meno di ogni obbligo risarcitorio a riguardo a carico di RAGIONE_SOCIALE; g) emergeva, inoltre, l’insussistenza della giusta causa di dimissioni con conseguente obbligo del COGNOME di corrispondere alla società datrice la indennità sostitutiva del preavviso; h) in virtù delle considerazioni svolte a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE andava corrisposta la complessiva somma di euro 43.667,60, della quale euro 25.917,60 a titolo di indennità di preavviso e euro 13.750,00 a titolo di penale derivante dal patto di stabilità parametrata al suo residuo periodo di durata, oltre accessori.
Per la RAGIONE_SOCIALEzione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di quattordici motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso.
Il PG ha depositato memoria con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 111 comma 6 Cost., dell’art. 132 n. 2 comma 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. censurando la sentenza impugnata per omessa motivazione sulla statuizione di condanna del lavoratore, in relazione alla ritenuta assenza di giusta causa delle dimissioni, al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e della penale contrattuale connessa alla violazione del patto di stabilità; in particolare si duole che il giudice di merito aveva omesso di motivare le ragioni della condanna in relazione alla sospensione del rapporto di lavoro nel periodo di integrazione salariale, derivante dalla impossibilità di RAGIONE_SOCIALE di ricevere la prestazione di lavoro, vale a dire da fatto riconducibile ad un’area di rischio pertinente la parte datrice.
Con il secondo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c.c. in relazione agli artt. 1, 11, 29 e 30 d. lgs. n. 148/2015, all’art. 19 d.l. n. 18/2020 conv. in l. n. 27/2020, nonché agli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c. censurando la sentenza impugnata per avere condannato il lavoratore al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e della penale contrattuale in un periodo in cui il rapporto era sospeso per temporanea ma perdurante impossibilità della prestazione per cause afferenti al rischio di
impresa. Sostiene, in sintesi, che alla luce delle disposizioni richiamate, la società, in parte liberata dai suoi obblighi per la sopravvenuta impossibilità della prestazione ad essa riferibile -tale essendo qualificabile la situazione connessa all’inter vento di integrazione salariale – non poteva pretendere, a sua volta, il rispetto degli obblighi di preavviso e di stabilità minima del rapporto di lavoro.
Con il terzo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 14 d. lgs. n. 148/2015 in relazione all’art. 19 d.l. n. 18/2020 convertito in l. n. 27/2020 censurando la sentenza impugnata per avere interpretato l’a rt. 19 cit. nel senso di autorizzazione a derogare anche ai contenuti della comunicazione di avvio della procedura di consultazione sindacale prescritti dall’art. 14 d. lgs n. 148/2015.
Con il quarto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 14 d. lgs. n. 148/2015 in relazione all’art. 24 d. lgs n. 148/2015, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il contenuto della comunicazione di avvio della procedura di cui all’art. 14 d.lgs. 148/2015 (relativa alla RAGIONE_SOCIALE integrazione guadagli ordinaria) fosse diverso da quello stabilito dall’art. 24 d.lgs. n. 148/2015 e non imponesse di esplicitare le misure organizzative che l’azienda intendeva adottare, di indicare i criteri di ripartizione degli oneri che derivano ai destinatari delle misure e i criteri di rotazione dei dipendenti ovvero i motivi che non consentivano il ricorso alla rotazione.
Con il quinto motivo di ricorso deduce ex 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2 n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per omessa motivazione in merito alla genericità dei motivi di sospensione in FIS; censura la sentenza impugnata
nella parte in cui ha omesso di motivare con riferimento alla comunicazione di avvio della procedura ex art. 14 d.lgs. n. 148/2015, le ragioni per le quali doveva essere ritenuta legittima e congrua la indicazione, laconica, generica e contraddittoria, delle ragioni che giustificavano la sospensione connessa all’accesso al FIS dei dipendenti e che impediva pertanto, di avere evidenza dei soggetti interessati e gli interessi degli altri stakeholder coinvolti.
Con il sesto motivo di ricorso deduce ex 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2 n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per omessa motivazione in merito alla mancata esplicitazione delle attività residue programmate e delle conseguenti modifiche organizzative nella comunicazione ex art. 14 d.lgs. 148/2015. In particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di motivare perché, una volta accertato che l ‘impresa aveva comunque svolto nel periodo di interesse diverse attività (tanto quelle caratteristiche, quanto quelle cd. residuali), ha ritenuto irrilevante la mancata esplicitazione da parte di RAGIONE_SOCIALE nella propria comunicazione di avvio della procedura ex art. 14 d.lgs. 148/2015, delle attività ex ante programmate, delle misure organizzative che avrebbe adottato e dei criteri di ripartizione degli effetti sui lavoratori.
Con il settimo motivo deduce ex 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 14 d.lgs. n. 148/2015 censurando la sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto che la esplicitazione delle attività programmate, delle misure organizzative che l’impresa ha inteso adottare e dei criteri di ripartizione degli effetti sui lavoratori siano requisiti costitutivi della comunicazione di avvio della procedura ex art.
14 d.lgs. n. 148/2015, in assenza dei quali tale comunicazione doveva ritenersi inidonea a legittimare la sospensione dei rapporti di lavoro, precludendo l’esame del merito.
8. Con l’ottavo motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 276, comma 2 c.p.c. in relazione all’art. 14 d.lgs. n. 148/2015. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto di verificare nel merito la condotta aziendale di gestione della RAGIONE_SOCIALE integrazione sotto il profilo della sua adeguatezza al canone di correttezza e buona fede senza aver prima valutato l’idoneità formale della comunicazione ex art. 14 d.lgs. n. 148/2015 a offrire informazioni adeguate sulle attività che sarebbero state svolte durante la sospensione dei rapporti di lavoro, sulle misure organizzative adottate e sui criteri di ripartizione degli effetti sui lavoratori.
Con il nono motivo deduce ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 99, 115 e 416 c.p.c. in relazione agli artt. 1375 c.c. e 1175 c.c. e agli artt. 1, 11, 14, 15, 29 e 30 d.lgs. n. 148/2015, censurando la sentenza impugnata per avere affermato la conformità al canone di correttezza e buona fede, di cui agli art. 1175 e 1375 c.c., della gestione della RAGIONE_SOCIALE integrazione da parte dell’impresa resistente, a prescindere dal criterio di scelta del lavoratore indicato dalla datrice di lavoro (il costo del COGNOME) e in assenza delle necessarie allegazioni ex art. 416 c.p.c. e prove ex art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. sul contenuto concreto delle attività svolte e sulle misure or ganizzative adottate nei periodi in cui l’attività dell’impresa è stata ridotta e nei periodi in cui l’attività è ripresa, necessarie a individuare i dipendenti da sospendere.
10. Con il decimo motivo deduce ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione norme di diritto, degli artt. 1375, 1175 e 2697 c.c. e degli artt. 99, 115 e 416 c.p.c. in relazione agli artt. 1, 11, 14, 15, 29 e 30 d.lgs. n. 148/2015. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha ritenuto di poter effettuare una valutazione di conformità al canone di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 c.c. della gestione della RAGIONE_SOCIALE integrazione da parte dell’impresa resisten te, da un lato omettendo di considerare l’unico criterio di selezione espressamente indicato dalla datrice di lavoro (vale a dire il costo del dipendente COGNOME) e dall’altro lato in assenza di allegazioni e prove significative sul contenuto delle attività svolte e delle misure organizzative adottate nei periodi in cui l’attività dell’impresa è stata ridotta e nei periodi in cui l’attività è ripresa, che potessero rendere ragione della sospensione del ricorrente a prescindere dal suo costo.
11. Con l’undicesimo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1375 c.c. e 1175 c.c. in relazione agli artt. artt. 1, 11, 14, 15, 29 e 30 d.lgs. n. 148/2015, nonché dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 99, 115 e 416 c.p.c. , censurando la sentenza impugnata nella parte in cui non ha interpretato le ‘ regole della correttezza ‘, cui sono tenuti debitore e creditore ex art. 1175 c.c., nel senso che esse sono costituite anzitutto dalla trasparenza e dall’onere di co municare alla controparte le informazioni rilevanti e necessarie alla tutela delle suo interesse e nella parte in cui ha gravato il lavoratore ricorrente, in violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 99, 115 e 416 c.p.c. , di oneri di allegazione insussistenti, in assenza delle pregiudiziali e necessarie allegazioni e prove invece dovute dal datore di lavoro sul contenuto concreto delle attività svolte
e delle misure organizzative adottate nei periodi in cui l’attività dell’impresa è stata ridotta e nei periodi in cui l’attività è ripresa. 12. Con il dodicesimo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1375 e 1175 c.c. in relazione agli artt. artt. 1, 11, 14, 15, 29 e 30 d. lgs. n. 148/2015, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto conforme ai canoni di correttezza e buona fede, di cui agli art. 1175 e 1375 c.c. la condotta dell’impresa che, nell’ambito della procedura ex art. 14 d. lgs. n. 148/2015, aveva circoscritto la propria valutazione delle soluzioni possibili per ridurre la sospensione in FIS e attenuare i danni arrecati al proprio dipendente, all’unità produttiva cui era preposto il COGNOME.
13. Con il tredicesimo motivo deduce ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1375 e 1175 c.c. in relazione agli artt. artt. 1, 11, 14, 15, 29 e 30 d.lgs. n. 148/2015, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, nel valutare il rispetto dei canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. in relazione alla procedura ex art. 14 d.lgs. n. 148/2015 e alla gestione del periodo di sospensione in FIS, aveva omesso di considerare il criterio d ell’obbligo del datore di lavoro di assicurare la parità di trattamento tra i propri dipendenti aventi mansioni e funzioni del medesimo rango.
14. Con il quattordicesimo motivo deduce ex art. 360, comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1375 e 1175 c.c. in relazione all’art. 14 d. lgs. n. 148/2015, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui nel valutare i canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cc, in relazione alla procedura ex art. 14 cit. 5 e alla gestione del periodo di sospensione in FIS del ricorrente, ha utilizzato un criterio di validazione ex post , anziché di adeguatezza ex ante .
15. Il ricorso è privo di pregio secondo quanto emerge dall’esame dei motivi i quali possono essere raccolti in tre gruppi in ragione della reciproca connessione scaturente dalle questioni oggetto di censura: a) un primo gruppo (motivi primo e secondo) attiene, infatti, alla valutazione della giusta causa di dimissioni ed alle connesse conseguenze in tema di indennità sostitutiva del preavviso, con specifico riferimento alla ricaduta che in relazione agli obblighi delle parti assume la situazione di sosp ensione del rapporto di lavoro per l’ammissione del dipendente al trattamento di integrazione salariale, situazione che -si sostieneconfigura un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione per fatto riferibile all’impresa; b) un secondo gru ppo (motivi dal terzo all’ottavo) concerne il rapporto tra la disciplina emergenziale dettata all’art. 19 d.l. n. 18/2020 convertito in l. n.27 /2020 e la disciplina dettata dal d. lgs. n. 148/2015 in tema di integrazione salariale, con particolare riguardo ai contenuti della comunicazione ex art. 14 d. lgs. cit. ed ai presupposti per la sospensione del rapporto di lavoro con accesso alla integrazione salariale; c) un terzo gruppo (motivi dal nono al quattordicesimo) investe la valutazione della condotta datoriale alla luce del canone di correttezza e buona fede.
Il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere respinti.
16.1. Dallo storico di lite della sentenza impugnata si evince che il giudice di primo grado ha collegato la sussistenza della giusta causa di dimissioni: a) alla sostanziale estromissione del COGNOME dal proprio ruolo in conseguenza dell’arrivo del nuovo d irettore generale della Divisione alberghiera della società il quale si era intromesso anche in ruoli operativi di competenza dell’odierno ricorrente; b) alla completa estromissione del COGNOME dalle
funzioni a seguito dell’accesso al FIS in via permanente a far tempo dal 20.4.2020 fino alla risoluzione del rapporto di lavoro con il solo intermezzo dei periodi dal 4 al 24 maggio e dal 23 al 25 giugno 2020, senza previa indicazione dei tempi di prevista sospensione; c) alla carenza delle necessarie indicazioni contenutistiche prescritte dall’art. 24 d. lgs n. 148/2015, in questa parte ritenuto non derogato dall’art. 19 d.l n. 18/2020 conv. in l. n. 27/2020 intervenuto, come noto, nel contesto dell’eme rgenza pandemica da Covid 19.
16.2. Il giudice di appello, come visto, ha: a) escluso il demansionamento alla stregua delle emergenze della prova orale ampiamente richiamata in motivazione; b) ritenuto che l’art. 19 d.l. 18/2020 cit. esonerava dall’osservanza in toto dell’art. 14 d. lgs. n. 148/2015 e quindi anche in relazione al contenuto della comunicazione informativa da inviare alla controparte sindacale ed evidenziato che l’art. 24 d. lgs. cit, invocato dal ricorrente, non regolava la fattispecie oggetto di causa; c) ritenuto che in relazione al concreto contesto non sussistevano i presupposti per la rotazione nell’ambito della disposta sospensione connessa all’accesso al trattamento di integrazione salariale.
16.3. Tanto premesso, le censure sviluppate con il primo motivo presentano un profilo di inammissibilità per difetto di specificità sul punto del ricorso per RAGIONE_SOCIALEzione; non risultano infatti riportate nell’atto di impugnazione le deduzioni formulate dal COGNOME nei gradi di merito relative alla indennità di preavviso e alla penale contrattuale con particolare riferimento alla situazione di sospensione del rapporto, come, viceversa, indispensabile al fine della verifica dell’osservanza dell’obbligo di motivazione che si asserisce non assolto proprio in relazione a tale specifico profilo.
16.4. La pretesa azionata in ordine alla indennità di preavviso risulta comunque infondata una volta che il giudice di merito, con accertamento istituzionalmente riservatogli, incrinabile solo dalla deduzione di vizio di motivazione ex art. 360, comma 1 n. 5 , c.p.c. non prospettato dall’odierno ricorrente, ha ritenuto le dimissioni del dipendente non sorrette da giusta causa.
16.5. Come è noto, l’istituto del preavviso, comune alla maggior parte dei contratti di durata a tempo indeterminato (si veda, ad es., l’art. 1569 cod. civ. per il contratto di somministrazione, l’art. 1750 cod. civ. per il contratto di agenzia, l’art. 1833 cod. civ. per il contratto di conto corrente etc.), adempie alla funzione economica di attenuare per la parte che subisce il recesso – che è atto unilaterale recettizio di esercizio di un diritto potestativo – le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del contratto; costituisce comune affermazione che in tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato l’istituto del recesso disciplinato dall’art. 2118 cod. civ.- adempie ad una funzione destinata a variare in funzione della considerazione della parte non recedente; in caso di licenziamento si ritiene che il preavviso abbia la funzione di garantire al lavoratore la continuità della percezione della retribuzione in un certo lasso di tempo al fine di consentirgli il reperimento di una nuova occupazione; in caso di dimissioni del lavoratore il preavviso ha la finalità di assicurare al datore di lavoro il tempo necessario ad operare la sostituzione del lavoratore recedente. Nel contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il recesso senza preavviso di ciascun contraente forma oggetto di un diritto potestativo, il cui legittimo esercizio è esclusivamente condizionato all’esistenza di una giusta causa, senza che rilevino i motivi alla base della decisione di recedere dal contratto, non sindacabili dal giudice ai fini della decisione sulla indennità
sostitutiva del preavviso, salvo che gli stessi non siano illeciti od esprimano lo sviamento della causa contrattuale allo scopo di eludere l’applicazione di una norma imperativa, e sempreché non sia configurabile una simulazione dell’atto (Cass. 9116/2015). La valutazione della giusta causa di dimissioni del lavoratore ex art. 2119 cod. civ. si risolve in un accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. 8589/2004, Cass. 14496/2005).
16.6. Tanto premesso, alla luce delle delineate caratteristiche e finalità dell’istituto delle dimissioni per giusta causa, si rivela privo di fondamento normativo l’assunto alla base delle censure articolate in entrambi motivi in esame secondo il quale, in sintesi, la sospensione del rapporto di lavoro connessa all’ammissione al trattamento di integrazione salariale si configura quale impossibilità assoluta della prestazione per fatto riferibile all’impresa ed in quanto tale giustificativo delle dimissioni senza preavviso del lavoratore recedente, nonché del venir meno del relativo obbligo a corrispondere la penale contrattualmente stabilita in connessione con il patto di stabilità.
16.7. Invero, l’ammissione al trattamento di integrazione salariale e le relative ricadute sul piano del singolo rapporto di lavoro in punto di obblighi reciproci temporaneamente sospesi non giustificano l’assimilazione, che sorregge la prospettazione del ricorrente, della sospensione del rapporto di lavoro in conseguenza dell’ammissione all’integrazione salariale quale causa di effettiva e assoluta impossibilità sopravvenuta della prestazione, già in radice esclusa dal carattere, per definizione temporalm ente limitato, degli effetti dell’ammissione al trattamento di integrazione (v. Cass. n. 7345/1992). Pertanto,
sgombrato il campo da tale suggestione in diritto, ricordato che l’erogazione economica sostitutiva, da corrispondersi in caso di recesso dal rapporto di lavoro in mancanza di preavviso, non ha natura risarcitoria, ma indennitaria, essendo riferibile non ad un risarcimento del danno in senso giuridico, ossia connesso ad un illecito, ma ad un danno in senso economico (Cass. n. 11137/2004, Cass. Sez. Un. n. 7914 del 1994), deve ribadirsi che l’apprezzamento della sussistenza della giusta causa di dimissioni costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, accertamento nello specifico sussistente e svolto in termini congrui e logici dal giudice di seconde cure con motivazione non validamente inficiata dalle censure articolate.
17. I motivi dal terzo all’ottavo devono anch’essi essere respinti.
17.1. Sono innanzitutto infondate le censure che investono la corretta interpretazione della disciplina emergenziale in tema di ammortizzatori sociali dettata dal d.l. n. 18/2020 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19) conv. in l. n. 27/2020. L’art. 19 d.l. (Norme speciali in materia di trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario), nel testo all’epoca vig ente, applicabile ratione temporis , per quanto di rilievo in questa sede, così recita: ‘ 1. I datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “emergenza COVID-19”, per una durata massima di nove settimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, incrementate di ulteriori cinque settimane nel medesimo
periodo per i soli datori di lavoro che abbiano interamente fruito il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di nove settimane. È altresì riconosciuto un eventuale ulteriore periodo di durata massima di quattro settimane di trattamento di cui al presente comma per periodi decorrenti dal 1° settembre 2020 al 31 ottobre 2020 fruibili ai sensi dell’articolo 22-ter. Esclusivamente per i datori di lavoro dei settori turismo, fiere e congressi, parchi divertimento, spettacolo dal vivo e sale cinematografiche, è possibile usufruire delle predette quattro settimane anche per periodi decorrenti antecedentemente al 1° settembre 2020 a condizione che i medesimi abbiano interamente fruito il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di quattordici settimane. Ai beneficiari di assegno ordinario di cui al presente articolo e limitatamente alla causale ivi indicata spetta, in rapporto al periodo di paga adottato e alle medesime condizioni dei lavoratori ad orario normale, l’assegno per il nucleo familiare di cui all’art. 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n.69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153.
2 . I datori di lavoro che presentano la domanda di cui al comma 1 sono dispensati dall’osservanza dell’articolo 14 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, e dei termini del procedimento previsti dall’articolo 15, comma 2, nonché dall’articolo 30, comma 2, del medesimo decreto legislativo per l’assegno ordinario, fermo restando l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto che devono essere svolti anche in via telematica entro i tre giorni successivi a quello della comunicazione preventiva. La domanda, a pena di decadenza, deve essere presentata entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa e non è soggetta alla verifica dei
requisiti di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 . … ‘.
17.2. Dalla piana lettura del secondo comma dell’art. 19 cit. è agevole ricavare che in relazione alle ipotesi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid 19, configurante per legge autonoma e specifica causale di ammissione al trattamento di integrazione salariale e all’assegno ordinario, in coerenza con la ratio emergenziale della relativa disciplina, si è inteso derogare a tutte le prescrizioni dettate dall’art. 14 d. lgs n. 148 /201 5, il cui testo vigente all’epoca, per quel che in questa sede rileva, risultava così formulato: art. 14 ( Informazione e consultazione sindacale) ‘ 1. Nei casi di sospensione o riduzione dell’attività produttiva, l’impresa è tenuta a comunicare preventivamente alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria, ove esistenti, nonché alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le cause di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro, l’entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati. 2. A tale comunicazione segue, su richiesta di una delle parti, un esame congiunto della situazione avente a oggetto la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell’impresa. 3. L’intera procedura deve esaurirsi entro 25 giorni dalla data della comunicazione di cui al comma 1, ridotti a 10 per le imprese fino a 50 dipendenti. 4. Nei casi di eventi oggettivamente non evitabili che rendano non differibile la sospensione o la riduzione dell’attività produttiva, l’impresa è tenuta a comunicare ai soggetti di cui al comma 1 la durata prevedibile della sospensione o riduzione e il numero dei lavoratori interessati. Quando la sospensione o riduzione
dell’orario di lavoro sia superiore a sedici ore settimanali si procede, a richiesta dell’impresa o dei soggetti di cui al comma 1, da presentarsi entro tre giorni dalla comunicazione di cui al primo periodo, a un esame congiunto in ordine alla ripresa della normale attività produttiva e ai criteri di distribuzione degli orari di lavoro. La procedura deve esaurirsi entro i cinque giorni successivi a quello della richiesta.5. Per le imprese dell’industria e dell’artigianato edile e dell’industria dell’artigianato lapidei, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano limitatamente alle richieste di proroga dei trattamenti con sospensione dell’attività lavorativa oltre le 13 settimane continuative. 6. All’atto della presentazione della domanda di concessione di integrazione salariale deve essere data comunicazione dell’esecuzione degli adempimenti di cui al presente articolo.’.
17.3. Il dato testuale dell’art. 19 d.l. n. 18/2020 non autorizza in alcun modo ad affermare, in contrasto con la dispensa dall’osservanza dell’intero art. 14 d. lgs n. 148/2015, che debbano comunque ritenersi mantenute le prescrizioni in tema di contenuto dell’informazione ex art. 14 cit. ai s oggetti indicati al comma 1, e tale conclusione risulta avvalorata dalla considerazione che l’osservanza delle prescrizioni contenutistiche della comunicazione ex art. 14 cit. (prima fra tutte quella che imponeva la indicazione della prevedibile durata della sospensione o riduzione) risultava oggettivamente incompatibile con l’eccezionale contesto pandemico alla base della genesi della norma e con la stessa imprevedibilità all’epoca dei possibili sviluppi della pandemia . E’ ancora da evidenziare a conferm a della correttezza dell’approdo ermeneutico qui condiviso che il legislatore del 2020 quando ha inteso introdurre deroghe solo parziali alla disciplina in tema di ammortizzatori sociali dettata dal d. lgs n. 148/2015 lo ha chiaramente
esplicitato, come avvenuto nell’ambito dello stesso articolo 19 cit. (es. in tema di termini dell’art. 15 comma 2 e dell’art. 30 comma 2 del d. lgs n. 148/2015).
17.4. In altri termini, per quanto riguarda gli obblighi di consultazione ed informazione ai soggetti sindacali interlocutori, il legislatore, proprio in ragione della situazione emergenziale ha ritenuto di configurare la “emergenza COVID-19”, quale autonoma causa giustificativa di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno e di ‘alleggerire’, per cosi dire, i soggetti coinvolti, esonerandoli da una serie di oneri ritenuti, per valutazione legale, evidentemente in contrasto con le pressanti esigenze legate al contesto pandemico.
17.5. Quanto ora osservato esclude quindi in particolare che il datore di lavoro fosse tenuto, a differenza di quanto opina parte ricorrente, ad effettuare una comunicazione alla controparte sindacale con i contenuti prescritti dall’art. 14 d. lgs. n. 148/ 2015. Ed allora, il significato normativo attribuibile all’inciso di cui al comma 2 dell’art. 19 cit. <> si chiarisce con la considerazione che con la disciplina emergenziale in tema di integrazione salariale non si è inteso creare un procedimento del tutto atipico di accesso all’integrazione salariale ma solo, per quello che qui rileva, che i contenuti della informazione alle quali era tenuto il datore di lavoro non dovevano essere modellati su quelli richiesti per la comunicazione ex art. 14 d. lgs. n. 148/2015; restava in ogni caso fermo per la parte datoriale l’onere di modulare la informazione alla controparte secondo criteri di congruità ed adeguatezza tali da garantire la effettività
del confronto con la controparte sindacale. Dalle considerazioni che precedono discende che i contenuti dell’informazione datoriale non sono sindacabili sotto il profilo della conformità alle prescrizioni dell’art. 14 d. lgs n. 148/2015 ma sotto il profilo della conformità al canone generale del rispetto della correttezza e buona fede della condotta datoriale nell’offrire all’interlocutore sindacale ogni elemento utile a consentire sia la corretta rappresentazione della situazione determinatasi per effetto della emergenza da Covid 19 sia la individuazione delle possibili misure per farvi fronte nel concreto contesto aziendale. 17.6. Infine, non vi è spazio per l’applicabilità dell’art. 24 d. lgs n. 148/2015, pure invocato dall’odierno ricorrente, risultando ogni assimilabilità tra la disciplina emergenziale e quella dettata dal d. lgs. n. 148/2015 preclusa sia dalla espressa qualificazione legislativa come intervento ordinario di integrazione salariale dell’intervento prefigurato dall’art. 19 d.l. n. 18/2020, sia dalla non riconducibilità dello stesso, sorretto da autonoma causale legata all’emergenza epidemiologica da Covid 19, alle causali di cui all’articolo 21, comma 1, lettere a), e b), d. lgs n. 148/2015 che hanno rispettivamente riguardo alla riorganizzazione aziendale (lettera a) alla crisi aziendale, ad esclusione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa ( lettera b).
Alla luce del quadro normativo di riferimento come sopra interpretato consegue il rigetto di tutti i motivi in esame i quali anche nei profili in relazione ai quali viene denunziata la omessa motivazione muovono dalla errata prospettazione in diritto di un ‘assimilazione dei contenuti informativi della comunicazione datoriale ex art. 19 d.l. n. 18/2020 a quelli prescritti dall’art. 14 d. lgs n. 148/2015 cit..
18.1. I motivi dal nono al quattordicesimo, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.
18.2. In particolare, le censure articolate con il nono motivo, che formalmente denunzia l’ error in procedendo del giudice di appello, sono inammissibili in quanto le stesse non configurano alcun vizio di attività della Corte di merito ma investono il concreto apprezzamento delle emergenze in atti, vale a dire il giudizio di fatto alla base della decisione di secondo grado, giudizio astrattamente incrinabile solo dalla deduzione del vizio di motivazione nei rigorosi limiti delineati dall’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. ( v. per tutte Cass. Sez. Un. n. 8053/2014), neppure formalmente dedotto. Concorrente profilo di inammissibilità si rinviene nella modalità di evocazione degli atti e documenti di causa (in particolare, tra gli altri, in relazione al contenuto della comunicazione informativa del datore di lavoro) alla base delle censure, non coerente con la prescrizione dell’art. 366, comma 1, 6, c.p.c. che impone la trascrizione nelle parti di pertinenza del contenuto dell’atto o del documento oltre che la in dicazione del luogo di reperimento nell’ambito del fascicolo di merito (Cass. n. 29093/2018, n. 195/2016, n. 16900/2015, n. 26174/ 2014, n. 22607/2014, Sez. Un., n. 7161/2010).
18.3. Gli ulteriori motivi sono anch’essi inammissibili in quanto la relativa modalità di articolazione non è conforme all’insegnamento di questa Corte secondo il quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 n. 3 cod. prov. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici
della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 16700/2020, Cass. n. 24298/2016, Cass. n. 5353/2007, Cass. n. 11501/2006). Le censure articolate non risultano infatti incentrate sul significato e la portata applicativa delle norme enunciate in rubrica ma intese in concreto ad un rinnovato apprezzamento nel merito delle risultanze di causa, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale il ricorso per RAGIONE_SOCIALEzione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. (cfr., tra le altre, Cass. n. 331/2020,l 7007/2015, Cass. n. 7921/2011, Cass. n. 15693/2004); inoltre anche in relazione alle censure sviluppate in tali motivi si rileva la violazione dell’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c. ( v. paragrafo 18.2.).
18.4. E’ inoltre da ribadire, in ragione di quanto osservato nell’esame del secondo gruppo di motivi, l’errore di diritto dal quale risulta viziata la prospettazione di quelle ragioni di doglianza che investono la verifica di conformità dell’informazione ex art. 19 comma 2, alla luce dell’art. 14 d. lgs n. 148 /2015
In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna di parte ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 2 ottobre 2024