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Dimissioni giusta causa e Cassa Integrazione COVID

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27350/2024, ha rigettato il ricorso di un lavoratore che si era dimesso per giusta causa lamentando un demansionamento e un uso illegittimo del Fondo di Integrazione Salariale (FIS) durante l’emergenza COVID-19. La Corte ha stabilito che la normativa emergenziale ha derogato agli obblighi di comunicazione standard per l’accesso alla cassa integrazione e che la sospensione temporanea del rapporto non costituisce di per sé una giusta causa di dimissioni. Di conseguenza, il lavoratore è stato condannato a pagare l’indennità di mancato preavviso e la penale per violazione del patto di stabilità.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Le dimissioni per giusta causa durante la Cassa Integrazione COVID-19: l’analisi della Cassazione

La pandemia ha stravolto il mondo del lavoro, introducendo normative emergenziali che hanno inciso profondamente sui rapporti tra aziende e dipendenti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 27350 del 22 ottobre 2024, offre chiarimenti cruciali su un tema delicato: le dimissioni giusta causa in un contesto di sospensione del lavoro per Cassa Integrazione. Il caso analizzato riguarda un dipendente che, ritenendosi demansionato e illegittimamente sospeso, aveva interrotto il rapporto di lavoro, ma ha visto le sue ragioni respinte in tutti i gradi di giudizio.

I fatti di causa: da una promozione a una controversa sospensione

La vicenda ha origine dalla domanda di un lavoratore, con qualifica di quadro, che si rivolge al giudice del lavoro per denunciare una serie di inadempimenti da parte della sua azienda, una nota società di gestione alberghiera. In particolare, il dipendente lamentava un demansionamento subito negli ultimi quindici mesi, aggravato dall’ingresso in azienda di un nuovo manager con un ruolo di vertice.

A complicare il quadro, l’azienda aveva fatto ricorso al Fondo di Integrazione Salariale (FIS) a causa della crisi pandemica, sospendendo il lavoratore dall’attività. Ritenendo questa sospensione, unita al presunto demansionamento, una grave violazione degli obblighi contrattuali, il dipendente rassegnava le proprie dimissioni per giusta causa, chiedendo il risarcimento dei danni, il pagamento della penale contrattuale e l’indennità di mancato preavviso.

Il percorso giudiziario e le ragioni delle dimissioni giusta causa

In primo grado, il Tribunale aveva dato ragione al lavoratore, riconoscendo la sussistenza della giusta causa di dimissioni e condannando la società al pagamento di varie somme. Tuttavia, la Corte d’Appello di Milano ha ribaltato completamente la decisione. I giudici di secondo grado hanno escluso sia il demansionamento, ritenendo che il lavoratore avesse mantenuto le sue funzioni principali, sia l’illegittimità del ricorso al FIS. Hanno infatti inquadrato la sospensione nel particolare contesto dell’emergenza pandemica, che giustificava misure straordinarie. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha respinto le domande del lavoratore e lo ha condannato a pagare all’azienda l’indennità di mancato preavviso e una penale per la violazione di un patto di stabilità.

Il caso è quindi approdato in Cassazione, dove il lavoratore ha presentato ben quattordici motivi di ricorso, incentrati principalmente su due aspetti: la violazione delle norme sulla Cassa Integrazione e l’errata valutazione della giusta causa di dimissioni.

L’impatto della normativa emergenziale sul FIS

Uno dei punti centrali del ricorso riguardava la procedura di accesso al FIS. Secondo il lavoratore, l’azienda non aveva rispettato gli obblighi di comunicazione previsti dalla legge (D.Lgs. 148/2015), omettendo di specificare le ragioni della sospensione, i criteri di scelta dei dipendenti e le modalità di rotazione. La Cassazione, tuttavia, ha respinto questa tesi, fornendo un’interpretazione chiara della legislazione emergenziale (in particolare, l’art. 19 del D.L. n. 18/2020).

L’insussistenza del demansionamento e della giusta causa

Per quanto riguarda il cuore della controversia, ovvero la legittimità delle dimissioni giusta causa, la Suprema Corte ha confermato la linea della Corte d’Appello. I giudici hanno chiarito che la sospensione del rapporto di lavoro dovuta all’accesso agli ammortizzatori sociali non può essere assimilata a un’impossibilità assoluta della prestazione lavorativa imputabile al datore di lavoro. Si tratta, per sua natura, di un evento temporaneo che sospende gli obblighi reciproci ma non li estingue. Di conseguenza, non può, da sola, costituire un inadempimento così grave da giustificare un recesso immediato da parte del lavoratore.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso basandosi su argomenti solidi sia sul piano sostanziale che procedurale. In primo luogo, ha stabilito che la disciplina emergenziale introdotta con il D.L. n. 18/2020 per fronteggiare la pandemia ha esplicitamente derogato alle procedure ordinarie di comunicazione e consultazione sindacale previste dal D.Lgs. n. 148/2015. La ratio di questa deroga era proprio quella di semplificare e accelerare l’accesso agli ammortizzatori sociali in un contesto di crisi senza precedenti. Pertanto, la comunicazione dell’azienda, sebbene sintetica, era da considerarsi legittima alla luce della normativa speciale vigente ratione temporis. La Corte ha sottolineato che non si poteva pretendere un livello di dettaglio informativo incompatibile con l’imprevedibilità della situazione pandemica.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’ammissione al trattamento di integrazione salariale comporta una sospensione temporanea degli obblighi contrattuali e non giustifica di per sé le dimissioni per giusta causa. Affinché si configuri una giusta causa, è necessario un inadempimento grave e definitivo del datore di lavoro, tale da ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia. La sospensione per FIS, essendo per definizione limitata nel tempo, non possiede tali caratteristiche. Infine, la Cassazione ha dichiarato inammissibili molti dei motivi di ricorso perché miravano a un riesame del merito dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità, e per difetti di specificità, non avendo il ricorrente adeguatamente illustrato le proprie censure.

Le conclusioni

La sentenza n. 27350/2024 consolida un importante orientamento giurisprudenziale sul rapporto tra ammortizzatori sociali e recesso dal rapporto di lavoro. Le conclusioni che se ne possono trarre sono chiare:
1. La normativa emergenziale prevale su quella ordinaria: Le disposizioni speciali varate durante la pandemia per la Cassa Integrazione hanno legittimamente semplificato gli oneri a carico delle aziende.
2. La Cassa Integrazione non è giusta causa di dimissioni: La sospensione del lavoro tramite FIS è una misura temporanea che non costituisce, di norma, un inadempimento datoriale sufficientemente grave da consentire al lavoratore di dimettersi senza preavviso.
3. L’onere della prova resta fondamentale: La valutazione della sussistenza di una giusta causa di dimissioni è un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, che deve essere basato su prove concrete di un grave inadempimento contrattuale. In assenza di ciò, il lavoratore che recede è tenuto a rispettare il preavviso o a pagarne la relativa indennità.

Un lavoratore in Cassa Integrazione (FIS) può dimettersi per giusta causa sostenendo che la sospensione equivale a un inadempimento del datore?
No, la Cassazione ha chiarito che la sospensione del rapporto per l’ammissione all’integrazione salariale è una situazione temporanea e non configura un’impossibilità assoluta della prestazione che giustifichi le dimissioni senza preavviso.

Durante l’emergenza COVID-19, il datore di lavoro doveva seguire tutte le procedure standard per comunicare l’avvio della Cassa Integrazione?
No. La Corte ha stabilito che la normativa emergenziale (art. 19 del D.L. n. 18/2020) ha derogato alle prescrizioni standard (art. 14 del D.Lgs. n. 148/2015), alleggerendo gli oneri di comunicazione per il datore di lavoro, senza richiedere l’indicazione dettagliata delle cause, dell’entità, della durata e dei criteri di rotazione.

Se un dipendente si dimette senza giusta causa, deve pagare l’indennità di mancato preavviso anche se era in Cassa Integrazione?
Sì. Poiché la Corte ha escluso la sussistenza della giusta causa, ha confermato l’obbligo del lavoratore di corrispondere alla società l’indennità sostitutiva del preavviso e la penale prevista dal patto di stabilità, come deciso dalla Corte d’Appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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