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Diligenza del lavoratore: la Cassazione si pronuncia

Una lavoratrice di un’azienda di servizi postali è stata sospesa per non aver rilevato un vaglia contraffatto di ingente valore. La Corte di Cassazione ha confermato la sanzione, stabilendo che la mancata esecuzione dei controlli tattili previsti dalle procedure interne costituisce una violazione del dovere di diligenza del lavoratore, soprattutto a fronte di un importo così elevato e di operazioni successive sospette. La Corte ha ritenuto la condotta della dipendente gravemente negligente, respingendo il suo ricorso.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Diligenza del lavoratore: quando la superficialità costa una sanzione

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: i confini della diligenza del lavoratore e le conseguenze di una sua violazione. Il caso riguarda una dipendente di un’azienda di servizi postali sanzionata per non aver riconosciuto un vaglia contraffatto di importo notevole. La decisione offre spunti fondamentali su come valutare la negligenza e l’importanza di seguire scrupolosamente le procedure aziendali, specialmente in operazioni ad alto rischio.

I Fatti di Causa

Una dipendente di una società di servizi postali, addetta allo sportello, riceveva una contestazione disciplinare per il suo coinvolgimento nell’incasso di un vaglia circolare contraffatto del valore di 300.000,00 euro. A seguito dell’episodio, l’azienda le applicava una sanzione di quattro giorni di sospensione dalla retribuzione e dal servizio.

La lavoratrice impugnava la sanzione, sostenendo di aver rispettato tutte le direttive interne. In primo grado, il Tribunale le dava ragione, dichiarando illegittima la sanzione. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, accogliendo il ricorso dell’azienda e rigettando la domanda della dipendente. La controversia giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Analisi della Corte d’Appello e la Diligenza del Lavoratore

La Corte d’Appello ha fondato la sua decisione su un punto chiave: l’inosservanza da parte della lavoratrice di una specifica procedura di controllo prevista da una comunicazione interna. Questa procedura richiedeva una verifica tattile del titolo, ovvero il controllo della presenza di un rilievo calcografico (una sorta di sigillo in rilievo) sul logo del vaglia, un elemento che ne garantisce l’autenticità.

Secondo i giudici di secondo grado, il vaglia contraffatto era completamente liscio al tatto nel punto in cui avrebbe dovuto esserci il logo. Inoltre, in una dichiarazione resa durante un’ispezione interna, la dipendente aveva ammesso che la cosa “le era sfuggita”. Questa ammissione è stata interpretata come una vera e propria confessione di colpa.

La Corte ha sottolineato che, data l’enormità dell’importo (300.000,00 euro) e le successive operazioni richieste dalla cliente (numerose ricariche e emissione di altri titoli), la lavoratrice avrebbe dovuto usare una maggiore attenzione e prudenza. La sua condotta è stata quindi definita “quantomeno superficiale e avventata”.

Il Valore delle Dichiarazioni del Lavoratore

Uno dei motivi di ricorso della lavoratrice in Cassazione riguardava proprio il valore attribuito alla sua dichiarazione resa agli ispettori. Secondo la sua difesa, non si trattava di una confessione stragiudiziale. La Cassazione, tuttavia, ha chiarito che tali dichiarazioni, pur non essendo atti giuridici formali, sono soggette al prudente apprezzamento del giudice. In questo caso, sono state utilizzate per valorizzare, insieme ad altre circostanze, la negligenza della dipendente.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso della lavoratrice, ritenendoli inammissibili o infondati. I giudici supremi hanno confermato l’interpretazione della Corte d’Appello, ribadendo che la valutazione dei fatti e delle prove è di competenza dei giudici di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione gravi, qui non riscontrati.

La Cassazione ha evidenziato che l’obbligo di diligenza previsto dall’art. 2104 del Codice Civile deve essere commisurato alla natura della prestazione e all’interesse dell’impresa. In questo contesto, la semplice verifica elettronica del titolo non era sufficiente. Le procedure aziendali richiedevano esplicitamente controlli ulteriori, visivi e tattili, proprio per prevenire frodi. L’elevato importo e le operazioni anomale successive avrebbero dovuto indurre la lavoratrice a un livello di sospetto e di cautela ancora maggiore.

La motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata chiara, logica e completa, avendo illustrato in modo argomentato perché la condotta della dipendente integrasse una violazione dei suoi doveri e legittimasse la sanzione disciplinare. Il comportamento superficiale ha causato un potenziale pregiudizio alla regolarità del servizio, giustificando pienamente la sospensione irrogata.

Conclusioni

L’ordinanza riafferma un principio fondamentale: la diligenza del lavoratore non è un concetto astratto, ma si concretizza nel rispetto scrupoloso delle procedure operative, specialmente quelle volte a prevenire rischi significativi per l’azienda. L’ammissione di una “svista”, unita a circostanze oggettive come l’elevato valore di un’operazione, può essere sufficiente a dimostrare la colpa del dipendente e a giustificare una sanzione disciplinare. Per i datori di lavoro, questa decisione sottolinea l’importanza di definire procedure di controllo chiare e di formare adeguatamente i dipendenti; per i lavoratori, serve come monito a non sottovalutare mai i propri doveri, poiché la superficialità può avere conseguenze serie.

Quale livello di diligenza è richiesto a un lavoratore nella gestione di operazioni ad alto rischio?
La diligenza richiesta deve essere commisurata alla natura della prestazione e all’interesse dell’impresa. In presenza di un’operazione di importo molto elevato, il lavoratore è tenuto a un’attenzione maggiore e a eseguire scrupolosamente tutte le verifiche previste, incluse quelle manuali come il controllo tattile, non potendosi limitare ai soli controlli automatici.

Una dichiarazione del lavoratore durante un’ispezione interna può essere considerata una confessione?
Sebbene non costituisca una confessione stragiudiziale in senso tecnico, una dichiarazione in cui il lavoratore ammette una mancanza (ad esempio, che un dettaglio “gli è sfuggito”) può essere utilizzata dal giudice come prova della sua negligenza, specialmente se corroborata da altre circostanze, e contribuire a giustificare una sanzione disciplinare.

La sola verifica elettronica di un titolo di pagamento è sufficiente per escludere la colpa del lavoratore in caso di frode?
No. Se le procedure aziendali prevedono ulteriori controlli, come quelli visivi e tattili, il lavoratore è tenuto a eseguirli. L’aver effettuato solo il controllo elettronico non è sufficiente a esonerarlo da responsabilità, soprattutto quando la mancata esecuzione degli altri controlli ha permesso la frode.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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