Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24980 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24980 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27129-2022 proposto da:
COGNOMENOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1622/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/06/2022 R.G.N. 4124/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Sanzione disciplinare
R.G.N. 27129/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 09/07/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 8439/2018 del 5.11.2018 il Tribunale di Roma accoglieva il ricorso proposto da NOME COGNOME con il quale la lavoratrice – premesso di essere dipendente di Poste Italiane spa dal 30/07/2013 con mansioni di addetto allo sportello, livello C, operatore senior, ccnl Poste Italiane spa; di aver ricevuto, con raccomandata del 14/03/2017, una contestazione disciplinare relativa al suo coinvolgimento nell’incasso di un vaglia circolare di 300.000,00 risultato contraffatto, avvenuto in data 18/10/2016; di aver reso le proprie giustificazioni in sede di audizione personale del 23/03/2017 – impugnava la sanzione disciplinare di quattro giorni di sospensione dalla retribuzione applicata con nota del 06/04/2017, deducendone l’illegittimità per tardività della contestazione disciplinare, per mancata affissione del codice disciplinare, nonché per insussistenza dell’addebito per aver ella proceduto rispettando tutte le direttive contenute nella comunicazione interna N. 174 del 20/05/2016. Il Tribunale pertanto dichiarava illegittima la sanzione disciplinare del 06/04/2017 e condannava Poste Italiane spa a restituire alla ricorrente l’importo corrispondente a quattro giorni di sospensione dalla retribuzione e a pagare l’incentivo identificato in busta paga con il codice 104f ‘Inc. dist. Base rete ap’.
Con sentenza n. 1622/2022 del 12/4/2022 pubblicata il 7/6/2022 la Corte d’appello di Roma accoglieva l’appello proposto da Poste Italiane s.p.a. e rigettava la domanda della COGNOME compensando le spese.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a quattro motivi.
Si difende con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Nessuna delle parti ha depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di cassazione la ricorrente deduce, ex art. Art. 360, co. 1, n. 3 violazione degli artt. 2104 c.c.; 54, punto III, CCNL Poste Italiane S.p.A. del 14/4/2011; 1362 c.c. con riferimento alla comunicazione interna n. 174/2016; 1175 e 1375 c.c. La ricorrente deduce la violazione degli art. 2104 c.c. e 54 CCNL Poste Italiane S.p.A. del 14/4/2011, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente l’inosservanza dei doveri ed obblighi di servizio e di diligenza, in relazione ad un obbligo di verifica tattile del vaglia posto all’incasso non esigibile, in quanto sottopone ad una valutazione prettamente soggettiva la presenza di un contrassegno che dovrebbe garantire, insieme ad altri indicati elementi, fattore di autenticità del nuovo vaglia, ponendosi la sua previsione nella comunicazione interna aziendale n. 174/2016, in contrasto con i criteri di correttezza e buona fede che devono improntare i rapporti tra datore di lavoro e lavoratore. Evidenzia, dunque, che una volta valutata contraria ai criteri di correttezza e di buona fede la richiamata previsione interna, la sua eventuale inosservanza (ossia, la mancata percezione da parte del singolo dipendente di una ‘lieve’ ruvidità superficiale su di un vaglia contraffatto non grossolanamente), non avrebbe potuto integrare la violazione della normativa contrattuale (art. 54 CCNL Poste Italiane S.p.A. 14/4/2011) e legale (art. 2104 c.c.), causa della sanzione disciplinare di cui è causa.
Con il secondo motivo la COGNOME deduce ex Art. 360, co. 1, n. 3 la violazione degli artt. 1362 – 1371 e 2735 c.c. per avere la Corte d’appello erroneamente e in violazione del combinato disposto di cui agli articoli 1362 e ss. c.c. (in ordine ai criteri di interpretazione) e 2735 c.c., ritenuto che la dichiarazione resa dalla ricorrente il 20/12/2016 innanzi agli ispettori interni di Poste Italiane S.p.A., in una fase anteriore alla procedura di contestazione di addebito di cui all’art. 7 della L. n. 300/1970 integrasse gli estremi di una confessione stragiudiziale. Lamenta che la
Corte d’appello ha fondato il rigetto della domanda sulla base dell’unico presupposto che la ricorrente con la suddetta dichiarazione avrebbe ammesso la propria colpa, laddove la ricorrente non ha ammesso alcuna mancanza, attesa la difficoltà di differenziare un vaglia contraffatto da uno autentico attraverso l’uso dei propri polpastrelli né ha affermato di avere omesso il controllo avendo solo dichiarato che quella lieve ruvidità che lei aveva rilevato il 18/10/2016, a distanza di due mesi (20/12/2016) non era effettivamente presente.
Con il terzo motivo ex art. 360, co. 1, n. 5: la Corte di Appello di Roma non ha tenuto in considerazione le giustificazioni rese dalla ricorrente in sede di audizione personale ex art. 7, L. n. 300/1970, basando la sua decisione unicamente sul verbale di ricevimento di dichiarazione in sede ispettiva del 20/12/2016. Deduce che la valutazione di tali giustificazioni rese dalla COGNOME nel procedimento disciplinare, del tutto omessa dalla Corte d’appello, avrebbe determinato il rigetto dell’appello.
Con il quarto motivo deduce ex art. 360 n. 4 la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 111, comma 6, Cost.. per l’assoluta mancanza motivazione in ordine alla mancata considerazione, neppure implicita, delle risultanze del procedimento disciplinare e le dichiarazioni ivi rese dalla ricorrente e, in generale, di una motivazione relativa al materiale istruttorio acquisito nel processo, anche scarna, implicita o ridotta al minimo costituzionale garantito.
Il primo motivo è inammissibile. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa ritenuti rilevanti. Si tratta, come appare
manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa. Esso è, in ogni caso anche infondato. La Corte d’appello ha, infatti, accertato che ‘ La comunicazione interna n. 174/2016 prevede espressamente il rilievo calcografico del logo come uno dei segni che garantiscono l’originalità del titolo e che occorre verificare prima di compiere l’operazione. Il vaglia postale, oggetto dell’operazione contestata alla COGNOME, era del cospicuo importo di euro 300.000,00. Nel rapporto ispettivo si dà conto che il vaglia contraffatto, al punto in cui compare il logo, è assolutamente liscio al tatto. In sede ispettiva la COGNOME ha ammesso che la cosa ‘le era sfuggita’ al momento del compimento dell’operazione (allegato 18 al report ispettivo, doc. 5 fasc. di primo grado Poste). Dunque vi è una vera e propria ammissione di colpa, che considerato l’importo del vaglia postale – euro 300.000,00 non è certo lieve e quindi è senza dubbio sufficiente a giustificare la sanzione di quattro giorni di sospensione. Va infatti considerato che il comportamento dell’appellata è stato quantomeno superficiale e avventato. Tale giudizio trova conferma nelle operazioni subito dopo effettuate dalla stessa sedicente cliente COGNOME, che ha reimpiegato quella somma di 300.000,00 in varie ricariche Postepay e nell’emissione di vari titoli in favore di vari soggetti diversi. Queste operazioni immediatamente successive, per numero e tipologia, avrebbero richiesto nella dipendente postale una maggiore attenzione e una prudenza più significativa. La sanzione disciplinare irrogata, dunque, si rivela ampiamente giustificata: l’art. 54, punto III, ccnl 14/04/2011 prevede la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a quattro giorni per varie mancanze, fra cui ‘inosservanza di doveri ed obblighi di servizio da cui sia derivato un pregiudizio alla regolarità del servizio stesso …’. Al riguardo va evidenziato che risulta certamente violato l’obbligo di diligenza ex art. 2104 c.c., nonché quelli – generici, ma non meno
significativi – della normale prudenza e della perizia. Non è sufficiente al riguardo l’avvenuto inserimento del vaglia nell’apposita macchinetta per verificare la genuinità del titolo (c.d. lettorino elettronico), da cui non erano emerse anomalie. Infatti, dalle disposizioni contenute nella citata comunicazione interna n. 174/2016 si evince chiaramente che la predetta verifica non è sufficiente, essendo richiesta un’attenzione maggiore e verifiche ulteriori, visive e tattili a cura dell’operatore. E nel caso concreto queste ulteriori verifiche erano tanto più necessarie, in considerazione sia dell’importo elevato portato dal vaglia, sia delle numerose operazioni compiute subito dopo dalla sedicente cliente, a seguito del cambio del vaglia, che avrebbero dovuto indurre – ragionevolmente – più di qualche sospetto’ .
6.1. Con tale percorso argomentativo la Corte si è esattamente conformata al contenuto dell’art. 2104 c.c., il quale prevede, al comma 1°, che il grado di diligenza dovuta dal lavoratore, trattandosi di elemento variabile secondo la peculiarità del singolo rapporto di lavoro, debba essere commisurata mediante l’applicazione di due distinti parametri, entrambi espressamente delineati nella norma in oggetto e costituiti, quali specificazioni del principio generale stabilito dall’art. 1176 c.c., dalla natura della prestazione dovuta e dall’interesse dell’impresa: ove il primo parametro richiama la complessità delle mansioni svolte dal lavoratore, intesa non solo sul piano della difficoltà e dell’impegno di carattere tecnico ma anche su quello dell’assunzione di responsabilità che ad esse è collegata; mentre il secondo parametro, non esaurendosi nell’interesse del creditore ad un esatto adempimento (come è reso palese dal riferimento all’impresa), pone la necessità di una prestazione che si raccordi alla specifica organizzazione in funzione della quale è resa.
Il secondo motivo è inammissibile. In primo luogo, l’atto stragiudiziale contenente l’esposizione di argomenti giustificativi non costituisce una dichiarazione di volontà produttiva di determinati effetti giuridici, e non
integra quindi un atto giuridico ai sensi e per gli effetti di cui alle citate norme di legge (art. 1324 in relaz. agli artt. 1362 e segg. c.c.). Le dichiarazioni rese sono dunque soggette alla valutazione ed al prudente apprezzamento, cui sono soggette le risultanze probatorie formatesi nel corso del giudizio od anteriormente a questo, da operarsi dal giudice del merito nell’esercizio della discrezionalità a lui demandata dal cit. art. 116 c.p.c. e nel rispetto dell’obbligo di enunciare, a sostegno del suo libero convincimento, una motivazione congrua, sufficiente e conforme a criteri logici (cfr Cass. Sez. Lav. n. 7178 del 1995). Nel caso di specie, peraltro, le giustificazioni rese in quella sede sono state utilizzate dalla Corte distrettuale esclusivamente per valorizzare, nel contesto di altre circostanze, la negligenza della COGNOME nell’espletamento delle mansioni affidate.
7.1. Per quanto attiene alla lamentata violazione dell’art. 2735 c.c. va rilevato che nel giudizio di cassazione non è consentito sindacare l’accertamento della natura confessoria delle dichiarazioni delle parti compiuto dal giudice di merito, non essendo soggetto a vaglio di legittimità il prodotto della sua attività interpretativa, se non nei limiti in cui è contestabile il vizio di motivazione (Cass. n. 2048 del 2019, Rv. 652350-01; Cass n. 12798 del 2018).
Il terzo motivo è inammissibile. Premesso che il fatto storico principale, consistente nell’omesso controllo del rilievo calcografico del vaglia postale risultato falso, è stato compiutamente esaminato dalla Corte d’appello, va osservato: a) che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
contro
versia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (v. ex multis, Cass. n. 17005 del 2024, Cass. n. 27415 del 2018 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014); b) che nella ridetta nozione di fatto storico, principale o secondario, non è inquadrabile l’argomentazione della parte la quale, svolgendo le proprie tesi difensive, non fa che manifestare il proprio pensiero sulle conseguenze di un certo fatto o di una determinata situazione giuridica. È stato pure precisato che il motivo di ricorso di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. deve riguardare un fatto storico, considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni giuridiche decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove risulti comunque un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017).
9. Il quarto motivo è infondato. In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 commi 2 e 4 cpc e dall’art. 111 Cost. sussiste, infatti, quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. Sez. Lav. n. 3819 del 2020, Rv. 656925 – 02; cfr. Cass n. 25866 del 2010; Cass. n. 12664 del 2014). In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della
motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022, Rv. 664120 – 01) non essendo consentita al giudice di legittimità la verifica della sufficienza o razionalità della motivazione stessa in ordine alle questioni di fatto, la quale comporterebbe un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito.
9.1. Nel caso di specie la sentenza impugnata contiene una chiara ed argomentata illustrazione dei motivi per i quali, in ragione del quadro probatorio raccolto, viene ritenuto sussistente l’addebito contestato e legittima la sanzione applicata.
Il ricorso, in conclusione, va rigettato.
In applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente va condannata alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
La Corte rigetta il ricorso
condanna la ricorrente NOME COGNOME al pagamento in favore di Poste Italiane s.p.a. delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Quarta Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 9 luglio 2025
LA PRESIDENTE
NOME COGNOME