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Differenze retributive: no se manca l’atto aziendale

Un dirigente sanitario ha richiesto le differenze retributive sostenendo di aver svolto mansioni superiori. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, nel pubblico impiego, il diritto alla retribuzione superiore non deriva dal mero svolgimento di fatto delle mansioni, ma richiede un atto aziendale formale che istituisca tale posizione nella dotazione organica dell’ente.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Differenze Retributive: Svolgere Mansioni Superiori Non Basta

Il riconoscimento di differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego è un tema complesso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: senza un formale atto aziendale che preveda la specifica posizione nell’organico, il solo svolgimento di fatto delle mansioni non è sufficiente per ottenere una retribuzione più alta. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La Richiesta del Dirigente Sanitario

Un dirigente psicologo, responsabile di un’unità operativa presso un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) dal 1997, ha agito in giudizio per ottenere il pagamento di differenze salariali. Sosteneva che le sue mansioni fossero pienamente equiparabili a quelle di un “dirigente di struttura semplice”, una posizione con un trattamento economico superiore rispetto a quello di “alta specializzazione” che gli era stato corrisposto.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto la sua richiesta, condannando l’ASL al pagamento di oltre 38.000 euro. Secondo il primo giudice, l’attività prestata rientrava effettivamente nella tipologia di incarico superiore rivendicata.

La Decisione della Corte d’Appello: L’Importanza dell’Atto Aziendale

La Corte d’Appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione. Accogliendo il ricorso dell’Azienda Sanitaria, ha stabilito che per il riconoscimento della qualifica superiore e del relativo trattamento economico fosse indispensabile una specifica determinazione dell’ASL. In altre parole, era necessario un “atto aziendale” che definisse la dotazione organica e prevedesse formalmente la presenza di quella figura professionale. In assenza di tale atto, il mero svolgimento di fatto delle mansioni, anche se identiche a quelle di altri colleghi con qualifica superiore, non poteva fondare il diritto alle differenze retributive.

Il Ricorso in Cassazione e le contestate differenze retributive

Il dirigente ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Omesso esame di un fatto decisivo: la Corte d’Appello non avrebbe considerato una delibera del 1997 che, secondo il ricorrente, aveva già riorganizzato la struttura e previsto la sua figura dirigenziale.
2. Violazione delle norme contrattuali (CCNL): sosteneva di essere stato formalmente incaricato e non di aver svolto solo di fatto le mansioni superiori.
3. Violazione del principio di proporzionalità della retribuzione (Art. 36 Cost.): lamentava una disparità di trattamento rispetto a colleghi che, con la stessa nomina e mansioni, percepivano la retribuzione più alta.
4. Nullità della sentenza: contestava la composizione del collegio giudicante d’appello per la presenza di un giudice ausiliario.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato i motivi inammissibili e ha rigettato il ricorso. In primo luogo, ha respinto la questione sulla composizione del collegio, richiamando una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 41/2021) che ha legittimato in via transitoria l’impiego di giudici ausiliari per non bloccare il sistema giudiziario.

Nel merito, la Corte ha affermato che le censure del dirigente non si confrontavano correttamente con il nucleo della decisione d’appello (il decisum). Il punto centrale, secondo i giudici di secondo grado, era la necessità di un atto formale di inquadramento nella dotazione organica dell’ente. I tentativi del ricorrente di far riesaminare il contenuto di vecchie delibere o di valorizzare le mansioni di fatto sono stati interpretati come una richiesta di rivalutazione del merito della causa, attività preclusa in sede di legittimità.

La Cassazione ha ribadito il principio consolidato secondo cui il ricorso non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio, dove si riesaminano i fatti. Le argomentazioni del ricorrente, pur presentate come violazioni di legge, miravano in realtà a una nuova valutazione delle prove, che non è compito della Suprema Corte.

Conclusioni: L’Inquadramento Formale Prevale sulle Mansioni di Fatto

La decisione consolida un principio cruciale nel diritto del lavoro pubblico: il diritto a una retribuzione superiore è ancorato all’inquadramento formale del dipendente, che deve essere previsto in un atto organizzativo dell’ente, come l’atto aziendale che definisce la dotazione organica. Lo svolgimento di fatto di compiti più elevati, senza un corrispondente riconoscimento formale, non è sufficiente a generare il diritto alle differenze retributive. Questa pronuncia sottolinea la rigidità delle procedure nel pubblico impiego, dove la forma e l’organizzazione prevalgono sulla sostanza delle mansioni effettivamente espletate.

È sufficiente svolgere di fatto mansioni superiori per avere diritto alle differenze retributive nel pubblico impiego?
No, secondo la sentenza, non è sufficiente. È necessaria una determinazione formale dell’ente (in questo caso, un “atto aziendale” della ASL) che istituisca la figura professionale e la inserisca nella dotazione organica.

Una delibera che riorganizza i servizi può sostituire l’atto aziendale che definisce la dotazione organica?
La Corte ha ritenuto inammissibile la richiesta di riesaminare il contenuto della delibera, confermando la decisione d’appello che richiedeva un atto formale sulla dotazione organica. Pertanto, la delibera di riorganizzazione non è stata considerata sufficiente a fondare il diritto alla retribuzione superiore.

La presenza di un giudice ausiliario (non togato) nel collegio giudicante rende nulla la sentenza d’appello?
No. La Corte di Cassazione ha rigettato questa eccezione, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 41/2021 che ha stabilito una “temporanea tollerabilità costituzionale” della presenza di giudici ausiliari fino alla riforma della magistratura onoraria, al fine di evitare la paralisi della giustizia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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