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Dichiarazioni mendaci lavoratore: sanzione legittima

La Corte d’Appello ha confermato la legittimità di una sanzione disciplinare (sospensione di 10 giorni) inflitta a un dipendente. Questi, dopo aver denunciato un collega per l’appropriazione illecita di un bene durante l’orario di lavoro, ha successivamente ritrattato, fornendo dichiarazioni mendaci per favorire la difesa del collega. La Corte ha ritenuto tale condotta una violazione del dovere di fedeltà, considerando la prima versione spontanea come più attendibile e la ritrattazione come un deliberato tentativo di ostacolare l’accertamento della verità da parte dell’azienda.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Dichiarazioni Mendaci al Datore di Lavoro: Quando Cambiare Versione Costa Caro

Nel complesso mondo dei rapporti di lavoro, la lealtà e la correttezza non sono solo virtù morali, ma veri e propri obblighi giuridici. Una recente sentenza della Corte d’Appello ha ribadito questo principio, analizzando un caso di dichiarazioni mendaci del lavoratore fornite per coprire la condotta illecita di un collega. La decisione finale conferma che mentire al proprio datore di lavoro, anche per un malinteso senso di cameratismo, costituisce una grave violazione del dovere di fedeltà e giustifica pienamente una sanzione disciplinare.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla denuncia di un dipendente, il quale segnala ai suoi superiori che un collega, durante un servizio di raccolta di rifiuti ingombranti, si era appropriato indebitamente di un aspirapolvere di nota marca, portandolo presso l’abitazione di un familiare anziché al centro di raccolta designato. Sulla base di questa segnalazione, l’azienda avvia un’indagine interna.

Tuttavia, in un secondo momento, il lavoratore che aveva fatto la denuncia cambia radicalmente la sua versione dei fatti. Sottoscrive una nuova dichiarazione che scagiona il collega, allineandosi completamente alla sua linea difensiva. Questa ritrattazione, secondo l’azienda, non è altro che un tentativo di ostacolare l’accertamento della verità, una condotta sleale che mina il rapporto di fiducia. Di conseguenza, l’azienda commina al dipendente una sanzione disciplinare consistente in dieci giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Il lavoratore impugna la sanzione, sostenendo che le prove a suo carico fossero inesistenti, ma il Tribunale di primo grado respinge la sua domanda. Il caso approda così in Corte d’Appello.

La Decisione della Corte e le dichiarazioni mendaci del lavoratore

La Corte d’Appello ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando integralmente la sentenza di primo grado e, di conseguenza, la legittimità della sanzione disciplinare. I giudici hanno ritenuto che il comportamento del dipendente costituisse una chiara violazione dell’obbligo di fedeltà sancito dall’art. 2105 del Codice Civile. Secondo la Corte, il cambio di versione non era giustificabile e rappresentava un consapevole tentativo di fuorviare le indagini interne avviate dal datore di lavoro.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni. La Corte ha dato maggior peso alla prima versione fornita dal lavoratore, considerandola più attendibile perché spontanea e resa immediatamente dopo i fatti. Al contrario, la seconda versione, formalizzata per iscritto in un momento successivo, è stata giudicata inverosimile e palesemente costruita per conformarsi alla difesa del collega. Questo passaggio da accusatore a difensore è stato interpretato come una condotta attiva e ‘artificiosa’, finalizzata a ingannare il datore di lavoro.

I giudici hanno sottolineato che il dovere di salvaguardare gli interessi aziendali impone al dipendente di collaborare lealmente per l’accertamento di eventuali illeciti. Fornire dichiarazioni mendaci, in questo contesto, non è un comportamento meramente reticente, ma un’azione che ostacola attivamente l’azienda e viola il vincolo fiduciario. La sanzione di 10 giorni di sospensione è stata quindi ritenuta proporzionata alla gravità della condotta, considerando l’intensità dell’elemento psicologico (la volontà di mentire) e il carattere deliberato della falsa dichiarazione scritta.

Conclusioni

Questa sentenza offre un importante monito: il rapporto di lavoro si fonda su un patto di fiducia che va oltre la mera esecuzione della prestazione lavorativa. La lealtà verso il datore di lavoro include il dovere di riferire la verità, specialmente durante indagini interne relative a comportamenti illeciti. Coprire un collega fornendo dichiarazioni false è una condotta che può costare cara, esponendo il lavoratore a sanzioni disciplinari pienamente legittime. La decisione riafferma che la protezione degli interessi aziendali prevale su un malinteso senso di solidarietà tra colleghi quando questo si traduce in un comportamento disonesto e sleale.

Un lavoratore può essere sanzionato se cambia la sua versione dei fatti per proteggere un collega?
Sì, la Corte ha confermato che fornire dichiarazioni mendaci per coprire un collega costituisce una violazione del dovere di fedeltà e lealtà, poiché ostacola l’accertamento della verità da parte del datore di lavoro, giustificando una sanzione disciplinare.

Quale versione dei fatti viene considerata più attendibile in caso di dichiarazioni contrastanti?
Secondo la sentenza, la prima dichiarazione, resa spontaneamente e più vicina ai fatti, è stata ritenuta più attendibile rispetto alla successiva ritrattazione, considerata come un tentativo artificioso di allinearsi alla difesa del collega coinvolto.

La sanzione della sospensione per 10 giorni è stata considerata proporzionata per aver fornito dichiarazioni mendaci?
Sì, la Corte ha ritenuto la sanzione proporzionata alla gravità della condotta. Ha tenuto conto dell’intenzionalità del dipendente nel mentire, della natura attiva e ingannevole della sua condotta e del pregiudizio arrecato agli interessi del datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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