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Dichiarazione mendace: revoca del beneficio sociale

Un comune ha revocato un beneficio sociale a una cittadina per una dichiarazione mendace sui redditi familiari. La Corte d’Appello aveva dato ragione alla cittadina, ma la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione. La Suprema Corte ha chiarito che una dichiarazione mendace presentata al momento della domanda iniziale per ottenere un beneficio ne causa la revoca totale, a differenza della semplice mancata comunicazione di variazioni successive, che può portare a sanzioni più lievi come la sospensione.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Dichiarazione Mendace e Benefici Sociali: Quando Scatta la Revoca

L’accesso a benefici e sussidi sociali si fonda su un patto di fiducia tra il cittadino e lo Stato, basato sulla correttezza delle informazioni fornite. Ma cosa accade se questa fiducia viene tradita da una dichiarazione mendace? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulle conseguenze, distinguendo nettamente tra una falsa attestazione iniziale e una successiva omissione. La sentenza chiarisce che mentire sui requisiti al momento della domanda non è una semplice irregolarità, ma un vizio che porta alla revoca totale del beneficio.

I Fatti di Causa: Dalla Domanda al Ricorso in Cassazione

Il caso ha origine dalla decisione di un Comune di escludere una cittadina dal beneficio dell’inserimento in un cantiere di servizio. Il motivo era una dichiarazione mendace relativa alla situazione reddituale del suo nucleo familiare, in quanto non era stato comunicato il reddito percepito dal figlio.

La lavoratrice si era opposta a questa decisione, ottenendo una vittoria in secondo grado. La Corte d’Appello, infatti, aveva riqualificato l’irregolarità come una semplice ‘mancata comunicazione’ di una variazione reddituale, ritenendo che la sanzione appropriata fosse una riduzione o sospensione del beneficio, e non la revoca. Il Comune, non accettando tale interpretazione, ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Distinzione Chiave: Dichiarazione Mendace e Mancata Comunicazione

Il cuore della controversia risiede nella differenza tra due fattispecie normative distinte, entrambe previste dal D.Lgs. n. 237 del 1998, che istituiva il reddito minimo di inserimento.

1. Mancata comunicazione di variazioni (art. 10, commi 1 e 2): Questa norma si applica ai soggetti già ammessi al beneficio. Se, dopo l’ammissione, la loro situazione economica cambia e non lo comunicano, il Comune può sospendere o ridurre le prestazioni.
2. Dichiarazioni mendaci (art. 10, comma 3): Questa norma si applica ai casi in cui i beneficiari abbiano presentato dichiarazioni false fin dall’inizio per ottenere l’ammissione. La sanzione qui è molto più severa: la revoca della prestazione e la restituzione delle somme percepite.

La Corte d’Appello aveva erroneamente applicato la prima ipotesi, considerandola una semplice omissione successiva. La Cassazione, invece, ha ricondotto il caso alla seconda e più grave fattispecie.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello, accogliendo il ricorso del Comune. I giudici hanno chiarito che il controllo sui requisiti per l’ammissione al beneficio è un momento fondamentale e preliminare. La cittadina, presentando la domanda, aveva allegato un’autocertificazione non veritiera sulla composizione del reddito familiare. Questo non era un aggiornamento mancato, ma una carenza originaria dei requisiti necessari per essere ammessi al beneficio.

Secondo la Corte, la fattispecie non poteva essere derubricata a una semplice omissione informativa. La dichiarazione mendace all’atto della domanda vizia l’intero procedimento di ammissione, rendendolo illegittimo fin dal principio. La consapevolezza, da parte del Comune, degli elementi non dichiarati avrebbe dovuto comportare l’esclusione dall’ammissione al beneficio, a prescindere dal fatto che la richiedente ne avesse già goduto in passato.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione stabilisce un principio fondamentale: la veridicità delle dichiarazioni rese per accedere a prestazioni sociali è un requisito imprescindibile. Una dichiarazione mendace sui presupposti di ammissione non è una violazione sanabile con una semplice riduzione del sussidio, ma un atto che inficia la legittimità stessa della concessione. Di conseguenza, l’unica sanzione applicabile è la revoca del beneficio e il recupero delle somme indebitamente percepite. Questa ordinanza serve da monito sull’importanza della correttezza e della trasparenza nelle richieste di aiuti pubblici, sottolineando che le false attestazioni hanno conseguenze severe e non possono essere considerate semplici ‘dimenticanze’.

Cosa succede se si presenta una dichiarazione mendace per ottenere un beneficio sociale?
Secondo la Corte, una dichiarazione mendace sui requisiti di ammissione comporta la revoca del beneficio e la restituzione delle somme già percepite.

Qual è la differenza tra una dichiarazione mendace iniziale e la mancata comunicazione di una successiva variazione di reddito?
La dichiarazione mendace all’atto della domanda vizia l’ammissione stessa e porta alla revoca. La mancata comunicazione di una variazione successiva, per chi è già stato legittimamente ammesso, può comportare sanzioni più lievi come la riduzione o la sospensione della prestazione.

Essere già stati beneficiari di un reddito minimo in passato dà diritto a continuare a riceverlo?
No. La Corte ha chiarito che i requisiti di reddito devono essere posseduti e dichiarati in modo veritiero ogni anno. La condizione di ex fruitore non è sufficiente se i requisiti non sussistono più al momento della nuova domanda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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