Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26710 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 26710 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14141/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO e dai medesimi rappresentato e difeso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 202/2022 della Corte d’Appello di Trento -Sezione distaccata di Bolzano, pubblicata il 23 dicembre 2022; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Udita l’AVV_NOTAIO, per delega, per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
È stato proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, contro la sentenza della Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, la quale ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza di primo grado, che aveva a sua volta rigettato l’opposizione proposta dal medesimo contro il decreto sanzionatorio del 6 novembre 2020, con il quale l’Amministrazione finanziaria gli applicava la sanzione di € 25.370,00 per la violazione dell’art. 3 della legge 195 del 2018. Precisamente, al ricorrente era contestato di avere introdotto nel territorio dello Stato denaro contante superiore al limite consentito, senza avere esibito la prescritta dichiarazione richiesta dalla legge. Il fatto era stato accertato presso la barriera autostradale INDIRIZZO 22 di Vipiteno il 30 novembre 2019 in seguito a un controllo sulla vettura Con il primo motivo il ricorrente sostiene che l’illecito non sussisteva, in quanto, diversamente da quanto affermato dalla sentenza impugnata, è possibile presentare la dichiarazione non necessariamente al momento dell’ingresso, ma anche subito dopo il passaggio della frontiera, presso l’ufficio doganale più vicino. Si sottolinea che il ricorrente aveva spontaneamente ammesso, al momento del controllo, di essere in possesso di denaro contante. Il secondo motivo sostiene che la corte di merito avrebbe dovuto applicare l’esimente della buona fede. Se il ricorrente avesse conosciuto la esistenza della norma violata, si sarebbe uniformato alla prescrizione di legge, rendendo la prescritta dichiarazione. subito dopo il varco della frontiera, raggiugendo gli uffici doganali del Campo di Trens.
L’Amministrazione ha resistito con controricorso.
Fissata l’adunanza innanzi alla Sezione Seconda civile, con ordinanza del 7 novembre 2024, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.
Il ricorrente ha depositato ulteriore memoria in vista della pubblica udienza.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALEA DECISIONE
1. – Il primo motivo è infondato. In caso di importazione o esportazione di denaro contante, l’art. 3, comma 1, del d. lgs. 19 novembre 2008, n. 195, in vigore all’epoca dei fatti, addossa a chiunque entra nel territorio nazionale o ne esce, trasportando denaro contante di importo pari a superiore a dieci mila euro, l’obbligo di dichiarare tale somma all’agenzia delle dogane. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’ infrazione relativa all’ importazione o esportazione di denaro o titoli al portatore per un importo superiore a quello prescritto dall’art. 3 del d.lgs. n. 195 del 2008 ha carattere oggettivo e si perfeziona con la sola omissione della dichiarazione all’ufficio doganale di confine, postulando, sotto il profilo soggettivo, soltanto un comportamento cosciente e volontario, ancorché non preordinato a fini illeciti, o non consapevole dell’illiceità del fatto; si tratta, infatti, di un adempimento che impone l’obbligo di specifici avvisi senza alcun onere finanziario ed è volto alla rilevazione globale dei movimenti di capitali verso le frontiere e non a evitare illeciti trasferimenti di somme (Cass. n. 29236/2019; n. 1939/2024).
La dichiarazione può essere trasmessa telematicamente, prima dell’attraversamento della frontiera, ovvero consegnata in forma scritta, al momento del passaggio, presso gli uffici doganali di confine o limitrofi, che ne rilasciano copia con attestazione del ricevimento da parte dell’ufficio. La norma, di derivazione
comunitaria (art.3 del Regolamento CE N. 1889/2005 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2005) deve essere letta nel senso che l’obbligo insorge nel momento in cui l’interessato attraversa la frontiera. Già in quel momento egli deve essere in possesso del documento scritto previsto dalla norma. La ratio della imposizione del relativo obbligo, «inteso a prevenire, dissuadere ed evitare l’introduzione di proventi di attività illecite nonché il loro investimento» (Così Corte di Giustizia 16 luglio 2005, Causa C-255/14), esclude la possibilità di interpretare la disposizione nel senso proposto dal ricorrente, secondo il quale l’obbligo dichiarativo potrebbe essere assolto attraverso la compilazione del modulo direttamente presso lo sportello dell’ufficio di confine ovvero presso un ufficio limitrofo, non può essere condivisa. Al riguardo il Collegio ritiene di fare proprie le considerazioni proposte dal Procuratore generale nelle conclusioni scritte: « Se così fosse, dunque, l’interessato, fermato dagli agenti ispettivi al momento dell’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero nel tratto intercorrente tra la frontiera e l’ufficio più vicino, avrebbe sempre la possibilità di dichiarare la sua intenzione di assolvere all’obbligo dichiarativo alla prima occasione utile (sfruttando, cioè, la presenza dell’ufficio limitrofo a quello di confine). In tal modo il luogo di perfezionamento dell’illecito dovrebbe sempre individuarsi nell’ultimo spazio utile per svolgere l’adempimento, sicché ove l’interessato venga colto, tra la frontiera e l’ufficio limitrofo, sprovvisto del documento, non potrebbe mai essere sanzionato, potendo validamente opporre la sua intenzione di ottemperare una volta giunto presso l’ufficio limitrofo. E lo stesso, a maggior ragione, dovrebbe accadere ove il controllo venga eseguito nel momento stesso in cui avvenga l’ingresso nel
territorio, potendo l’interessato comunque rappresentare la sua intenzione di eseguire subito l’adempimento proprio presso l’ufficio posto sul confine (o presso quello adiacente). Resta fermo, seguendo tale ragionamento, il rischio che l’obbligo dichiarativo rimanga inevaso, allorché l’interessato, manifestando alla frontiera l’intenzione di produrre la dichiarazione presso l’ufficio limitrofo, poi non dia seguito alle intenzioni, approfittando della mancanza di controlli nel tragitto successivo alla frontiera. Tale interpretazione rischia tuttavia, a nostro avviso, di obliare la ratio sottesa alla normativa richiamata, specie alla luce delle indicazioni provenienti dalla normativa europea. Come si evince dall’art. 2 del citato decreto non bisogna trascurare che lo scopo di tutte le misure previste (ivi comprese quelle dichiarative) risiede nell’accertare l’introduzione dei proventi di attività illecite nel sistema economico e finanziario, e dunque nell’intento di proteggere lo sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche ed il corretto funzionamento del mercato interno. Come espressamente evidenziato dal Regolamento UE n. 1672 del 2018, attesi i progressi registrati per quanto riguarda le conoscenze sui meccanismi utilizzati per trasferire attraverso le frontiere valore ottenuto illecitamente, si è anche reso necessario abrogare il vecchio regolamento n. 1889 del 2005 (di cui proprio il d.lgs. n. 195 del 2008 costituiva attuazione) con un più adeguato sistema di sorveglianza sui movimenti transfrontalieri di denaro contante. Ciò ha comportato, dunque, l’adozione del Regolamento del 2018 che, appunto, amplia ed intensifica le misure volte al monitoraggio del trasporto transfrontaliero di denaro contante, nonché la condivisione e l’utilizzo delle relative informazioni: si pensi all’istituto del trattenimento temporaneo del denaro contante,
qualora l’obbligo di dichiarazione o di informativa non sia stato assolto, in tutto o in parte, o emergano indizi di possibili correlazione del denaro contante ad attività criminose; oppure alla necessità di trasmettere all’UIF, da parte delle competenti autorità, le dichiarazioni relative al trasporto di valori di importo pari o superiore a 10.000 euro, le informazioni relative a casi di sospetto di riciclaggio o finanziamento del terrorismo riscontrati dalle autorità doganali, nonché le ipotesi di violazione dell’obbligo di dichiarazione emerse nel corso dei controlli. Già tali considerazioni dovrebbero indurre di per sé a privilegiare un’interpretazione restrittiva della norma interna».
La sentenza impugnata è in linea con l’interpretazione che il Collegio ritiene corretta, essendo fatto acquisito che, al momento del passaggio della frontiera, il ricorrente non era in possesso della dichiarazione. In verità, secondo Cass. n. 7313 del 2023, si dovrebbe tenere conto del comportamento tenuto dall’interessato al momento del controllo, e cioè se egli abbia non abbia negato il trasporto di denaro. L’assunto, però, non si può condividere: la norma non richiede altro elemento per la consumazione dell’illecito se non il mancato possesso della dichiarazione all’atto del passaggio della frontiera.
2. Il secondo motivo risente dell’errore interpretativo che ispira la censura di cui al primo motivo. Esso è in ogni caso inondato. La sentenza impugnata, allorché ha negato l’esimente della buona fede o dell’errore sul fatto, è in linea con la giurisprudenza della Suprema Corte. Anche nella materia doganale, infatti, vale il principio che ai fini dell’affermazione della responsabilità per l’illecito amministrativo, occorre che l’azione o l’omissione indicata dalla fattispecie sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e
volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza, ma, una volta dimostrata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica, grava sul trasgressore l’onere di prova dell’assenza di colpa, in virtù della presunzione posta dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sicché va esclusa la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa (v. per tutti 23019/2009; n. 14030/2012; n. 33939/2024.
3. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Amministrazione controricorrente, liquidate in € 2.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Suprema Corte di cassazione, il 20/03/2025.
IL giudice estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME