Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24133 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24133 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10040-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 70/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 04/02/2022 R.G.N. 1071/2019;
Oggetto
Dequalificazione
Risarcimento
danni
R.G.N.10040/2022
COGNOME
Rep.
Ud 04/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Bari, in parziale accoglimento dell’appello proposto da COGNOME NOME COGNOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 773/2019, e in altrettanto parziale riforma di detta sentenza, condannava la Telecom Italia s.p.a. al pagamento, in favore del COGNOME, della somma di € 53.557,00 per danno da dequalificazione professionale, perpetratasi dall’1.5.2009 al 30.4.2010, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale – dopo aver dato conto in dettaglio: – di quanto dedotto e richiesto dal lavoratore nel ricorso introduttivo del giudizio; – di quello che aveva considerato il primo giudice nel rigettare integralmente la domanda proposta dal lavoratore; dell’unico artico lato motivo di gravame di quest’ultimo ; e riesaminate le risultanze processuali – confermava il rigetto di detta domanda con riferimento al primo arco temporale di dedotto demansionamento (dall’agosto 2000 all’aprile 2009).
La stessa Corte, invece, in relazione al secondo periodo di dedotto demansionamento (dall’1.5.2009 al 30.4.2010), giudicava l’appello del lavoratore parzialmente fondato, vale a dire, limitatamente al danno alla professionalità, disattendendolo in ordine a tutte le altre voci di danno allegate.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Ha resistito l’intimato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo ex art. 360 n. 3) c.p.c. la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. per aver ritenuto provata la dequalificazione subita dal lavoratore’ ‘nel momento in cui lo stesso è stato assegnato al settore info rmatico con decorrenza dal 1° maggio 2009’.
Con il secondo motivo ex art. 360 n. 3) c.p.c. denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1224, 2103, 2697, 2727 e 2729 c.c. Carenza di allegazione e prova del danno professionale subito dal lavoratore derivante dal demansionament o’.
Con il terzo motivo ex art. 360 n. 3) c.p.c. denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. Mancato rispetto e motivazione dei criteri di liquidazione equitativa del danno professionale derivante dal demansionamento’.
I riassunti motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, sono infondati.
Nota il Collegio che la parte di motivazione (che si apre con l’affermazione: ‘Risulta, pertanto, fornita la prova della dequalificazione subita dal Matassa in questo secondo arco temporale …’) che la ricorrente dichiara di censurare nel primo motivo (cfr. pag. 14 del ricorso) costituisce in realtà la
conclusione di un più ampio ragionamento decisorio della Corte territoriale (cfr. in extenso pagg. 13-14 della sua sentenza).
5.1. Diversamente da quanto opina la ricorrente (v. pagg. 14-15 del ricorso), la Corte territoriale nella propria valutazione del caso ha ben tenuto conto del fatto che: ‘Nell’anno 2009 la Società ha avviato una ulteriore complessa attività di riorganizzazione e rimodulazione del numero dei dipendenti assegnati alle c.d. Aree di Staff per indirizzarle nei settori aziendali più vicine alle attività afferenti al core business dell’impresa; …’ (v. pag. 13 della sentenza).
La stessa Corte, tuttavia, ha disatteso l’eccezione della società ‘di avere, al fine di garantire il pieno inserimento nella nuova Funzione, affiancato al Matassa persone più esperte -inquadrate sempre nei livelli direttivi -onde consentire una adeguata formazione diretta a trasmettere il necessario know how da utilizzare nell’ambito del nuovo settore’.
Difatti, ha motivatamente accreditato quanto all’opposto sostenuto dal lavoratore in base sia ‘alla documentazione versata in atti’ che a talune deposizioni testimoniali.
5.2. Risulta, pertanto, meramente assertivo l’assunto della ricorrente secondo cui ‘il dott. COGNOME ha conservato il medesimo livello inquadramentale e le mansioni affidate nel settore informatico, pur risultando difformi da quelle precedentemente svolte, costituiscono un possibile sviluppo della professionalità del lavoratore’.
5.3. La Corte, per contro, ha argomentatamente concluso che ‘Le espletate prove orali sul punto e la documentazione versata in atti, consentono di affermare, senza dubbi di sorta,
che le mansioni da ultimo assegnate al COGNOME esulassero del tutto dal bagaglio professionale posseduto, implementato per anni e anni, sviluppatosi nel settore delle Risorse Umane, dell’organizzazione del lavoro, delle relazioni sindacali intessute a livello territoriale e centrale e che mai, invece, fosse stato investito il lavoratore di compiti involgenti il differente settore Informatico, nel quale peraltro è stato impegnato, senza motivazione alcuna, in compiti modesti, assai lontani dal profilo di inq uadramento (Quadro Q7)’, dopo aver evidenziato che tanto era avvenuto ‘senza alcuna formazione diretta ad una riqualificazione nel settore informatico’ (v. in extenso pagg. 1415 dell’impugnata sentenza).
Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo.
La ricorrente vi assume che il Collegio d’appello ‘ha riconosciuto al lavoratore il risarcimento del danno alla professionalità benché quest’ultimo non avesse allegato in ricorso i fatti costitutivi ( causa petendi ) della pretesa esercitata e cioè le concrete circostanze dalle quali fosse dato desumere l’esistenza del pregiudizio alla professionalità; ed ancora non ha provato l’ an di siffatto pregiudizio, né ha provato il nesso eziologico tra il danno asseritamente patito e l’illegittima condotta del datore (inadempimento contrattuale sub specie di violazione dell’art. 2103 c.c.)’ (v. pagg. 19 -21 del ricorso).
7.1. Non considera la ricorrente che, in punto di allegazione, la Corte territoriale, prima, aveva diffusamente dato conto di quanto dedotto dal lavoratore nel ricorso introduttivo del giudizio (v. pagg. 3-4 della sua sentenza, limitatamente al periodo dal l’1.5.2009 che qui rileva), e, poi, come si è visto, aveva considerato quello che più
specificamente in relazione al medesimo periodo 1.5.200930.4.2010 aveva sostenuto il lavoratore anche in contrasto con quello che aveva eccepito la datrice di lavoro (v. di nuovo pag. 13); deduzioni, queste ultime, che la Corte stessa ha giudicato anche provate.
Giova evidenziare, poi, che la Corte territoriale nella propria motivazione ha fatto riferimento a precedenti di legittimità, in tema di prova del danno derivante da demansionamento, espressivi del medesimo indirizzo cui si riferisce anche la ricorrente (cfr. pagg. 15-17 della sua sentenza).
In particolare, ha richiamato Cass. n. 21/2019, secondo la quale il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma può essere provato dal lavoratore, ai sensi d ell’art. 2729 c.c., attraverso l’allegazione di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, potendo a tale fine essere valutati la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.
E non è in discussione che, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, espresso più volte anche a Sezioni unite (cfr. Sez. un., 22.2.2010, n. 4063; id., n. 6572/2006), ed anche di recente confermato (cfr. Cass., sez. lav., 11.11.2022, n. 33427), in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale,
che asseritamente ne deriva -non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale -non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo, dovendo il danno non patrimoniale essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto), si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno.
Inoltre, è pressoché costante nei precedenti di legittimità, con precipuo riferimento al danno alla professionalità, il riferimento ad elementi presuntivi utilizzabili, quali la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione (cfr., tra le altre, più di recente, Cass. n. 34073/2021); ma non si è mancato di includere tra tali elementi anche l’anzianità di servizio (cfr. Cass. n. 3822/2021; n. 4652/2009; n. 15955/2004).
10. Assume la ricorrente che: ‘Nella sentenza della Corte d’Appello si ripropone, sotto ‘ mentite spoglie ‘, l’orientamento del danno in re ipsa giustamente abbandonato dalla giurisprudenza, secondo cui il mancato svolgimento di una attività determina la perdita automatica di professionalità in
ragione, con il trascorrere del tempo, del deterioramento delle conoscenze professionali’.
10.1. Ma anche tale generico assunto non risulta aderente alla motivazione in proposito resa dalla Corte territoriale.
Quest’ultima, la quale, peraltro, neppure per implicito ha espresso di aver fatto ricorso ad un ragionamento presuntivo, ha formato il proprio convincimento in base alle prove documentali e orali specificate.
E, mentre ha escluso un danno da perdita da chance , ha ritenuto dimostrato il ‘pregiudizio derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità’ (cfr. in particolare pag. 16 della sentenza).
In precedenza, infatti, la Corte aveva ben spiegato ‘la marginalità dei compiti assegnati al Matassa a decorrere dal 1°.05.2009’, ‘oltre che non rispondenti alla professionalità posseduta anche di minore pregnanza’, nonché svolti in ‘dislocazione anche logistica e di isolamento dai colleghi’, e ‘senza alcuna formazione diretta ad una riqualificazione nel settore informatico’, a fronte del ‘bagaglio professionale maturato in 26 anni di esercizio presso il diverso settore Risorse Umane’ (v. di nuovo pag. 14 dell’impugnata sentenza).
Infine, con precipuo riferimento al terzo motivo, la valutazione equitativa del danno in questione, cui la Corte territoriale ha fatto esplicitamente riferimento (cfr. pagg. 1516 della sua sentenza), si sottrae a qualsiasi rilievo in questa sede di legittimità, essendo congruamente motivato.
La stessa Corte, in particolare, ha individuato un periodo di demansionamento di 1 anno, delimitato, ma senz’altro apprezzabile.
Inoltre, l’ ‘accertato stato di demansionamento totale del COGNOME in tale arco temporale’, di cui ha parlato la Corte, dev’essere inteso come espressione di sintesi, volta, cioè, a mettere in luce non un’assoluta inattività del dipendente, ma appunto un ‘demansionamento totale’ rispetto alla professionalità acquisita.
A fronte di tale argomentato accertamento, allora, il ricorso al parametro del 100% della retribuzione risulta incensurabile.
La ricorrente, in quanto soccombente dev’essere condannata al pagamento, in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge, e distrae in favore del difensore del controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 4.6.2025.
La Presidente NOME COGNOME