Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2228 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2228 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23219/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocata COGNOME NOME, difeso personalmente ex art. 86 c.p.c. nonché dall’avvocata COGNOME NOME ;
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME elettivamente domiciliato a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di TRANI n. 1082/2021 depositata il 29/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
L’avvocato NOME COGNOME ha proposto ricorso, notificato in data 1° settembre 2021, avverso la sentenza n. 1082/2021 del Tribunale di Trani del 29 maggio 2021.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Le parti hanno depositato memorie.
Il ricorrente ha espressamente allegato in ricorso che l’impugnata sentenza pubblicata in data 29 maggio 2021 gli è stata ‘notificata in data 4 giugno 2021’, ma si è limitato a produrre una copia della stessa, priva della relata di notificazione, in violazione dell’art. 369, comma 1 e comma 2, n. 2, c.p.c., i quali contemplano l’onere di depositare la copia autentica della sentenza impugnata e la relativa relata di notificazione entro il termine fissato.
Neppure ha provveduto al deposito di copia della sentenza corredata della relata di notifica il controricorrente (il quale ha parimenti dichiarato che la sentenza impugnata per cassazione fosse stata ‘notificata il 04/06/2021’), sicché la stessa non risulta comunque acquisita nella disponibilità della Corte (Cass. Sez. Unite, n. 10648 del 2017.
Non rileva la mancata contestazione dell’omesso deposito della relazione di notificazione ad opera del controricorrente.
Il Consigliere delegato, ravvisata la improcedibilità del ricorso per cassazione, aveva proposto la definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Il ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
Nella istanza di decisione depositata il 13 dicembre 2023, il ricorrente ha affermato che ‘essuna delle due parti nei propri atti ha mai affermato di aver notificato la sentenza di secondo grado alla sua controparte al fine della decorrenza dei termini brevi di impugnazione
ex artt. 325 e 326 c.p.c., quindi nel caso di specie la Corte non poteva presupporre l’esistenza della detta notifica’ e ‘IL RICORRENTE NON DOVEVA E/O NON POTEVA DEPOSITARE ALCUNA RELATA DI NOTIFICA’. Nella stessa istanza si sostiene che il 4 giugno 2021 era piuttosto avvenuto l’invio tramite PEC ‘della notifica ( rectius comunicazione ex art. 133, co. 2 c.p.c.) del biglietto di cancelleria con allegato il testo integrale della sentenza’ e che la proposta di definizione aveva ‘frainteso la dicitura presente nell’epigrafe del ricorso e del controricorso, in quanto la dicitura generica ‘notificata in data 04/06/2021’ era inerente alla comunicazione eseguita dalla cancelleria tramite PEC.
Nella stessa istanza del 13 dicembre 2023 si sostiene che ‘a sentenza nativa telematica di secondo grado veniva redatta ed inviata’ dal giudice in data 29/05/2021 (come previsto dall’art. 132 cpc comma II n°5) ma non veniva ritualmente pubblicata in quanto non vi è nel file la firma digitale del cancelliere che attesta la data in cui gli veniva consegnata ed il numero di repertorio (come richiesto dall’art. 133 cpc comma II ); evidentemente il cancelliere, all’atto dell’inserimento nel polisweb del file contenente la sentenza inviatogli telematicamente dal giudice, dimenticava di apporre la sua firma digitale con la quale avrebbe ‘pubblicato’ la sentenza attestandone la relativa data…. Il cancelliere del Tribunale di Trani NON HA FIRMATO DIGITALMENTE LA SENTENZA d’appello , quindi, ivi non è presente né il numero di repertorio né l’attestazione della data di pubblicazione richiesta dall’art. 133 c .p.c., che pertanto va intesa come attuata SUCCESSIVAMENTE, ovvero nel momento in cui il cancelliere ha eseguito l’atto che la presuppone, da ritenersi equipollente’.
Identiche allegazioni difensive sono svolte nella memoria ex art. 380.bis.1 c.p.c. depositata dal ricorrente, recante tra l’altro, in caratteri maiuscoli, grassetto ed evidenziati in giallo, la precisazione
che la sentenza del Tribunale di Trani era stata ‘NOTIFICATA CON BIGLIETTO DI CANCELLERIA IN DATA 04/06/2021’ e che ‘la Corte ha frainteso la dicitura presente nell’epigrafe del ricorso e del controricorso, in quanto la dicitura generica ‹‹notificata in data 04/06/2021›› ERA INERENTE ALLA COMUNICAZIONE ESEGUITA DALLA CANCELLERIA TRAMITE PEC’.
Al riguardo, va detto che, essendo nella specie ratione temporis consentito il deposito di copia analogica del provvedimento impugnato, redatto come documento informatico nativo digitale, trattandosi di copia analogica ricavata dal duplicato informatico depositato nel fascicolo informatico, il difensore del ricorrente avrebbe dovuto assolvere l’onere di cui all’art. 369, comma 2 n. 2, c.p.c. tramite l’attestazione di conformità della copia al duplicato (cfr. Cass. n. 12971 del 2024).
Non vi è peraltro qui questione sulla verifica della tempestività dell’impugnazione, per cui non risulta dirimente la circostanza relativa alla data della pubblicazione della sentenza impugnata. Potrebbe venire in rilevo la data della effettiva pubblicazione del provvedimento impugnato solo per verificare se il ricorso risulti comunque proposto entro il termine di sessanta giorni da essa, ma è stata prodotta una copia della sentenza del Tribunale di Trani (priva di attestazione di conformità della copia analogica apposta dal difensore) che reca la stampigliatura dei dati esterni di pubblicazione come numero cronologico 1082/2021 e data ’29/05/2021′.
La dichiarazione del ricorrente che l’impugnata sentenza del Tribunale di Trani ‘del 29/05/ 2021’ è stata ‘notificata in data 04/06/2021’ si legge in caratteri maiuscoli e grassetto nell’epigrafe del ricorso.
La dichiarazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, contenuta nel ricorso per cassazione, costituisce l’attestazione di un “fatto processuale” e, in quanto manifestazione della
“autoresponsabilità” della parte, la impegna a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere, in capo ad essa, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., l’onere di depositare, nel termine ivi previsto, copia della sentenza munita della relata di notifica, non potendosi d’altro canto ammettere che il ricorrente possa revocare o correggere la dichiarazione di avvenuta notifica della sentenza impugnata (Cass., Sez. Unite, n. 21349 del 2022; Cass. n. 15832 del 2021).
Neppure le considerazioni svolte dal ricorrente in relazione all’art. 6 CEDU e ai supposti eccessi di formalismo hanno fondamento, atteso che la stessa sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 28 ottobre 2021 – Ricorso n. 55064/11 e altri -, invocata a sostegno di tali doglianze, ha richiamato la giurisprudenza della medesima Corte EDU sui principi applicabili alle limitazioni del diritto di accesso a una giurisdizione superiore, rammentando in particolare che il modo in cui l’articolo 6 § 1 si applica alle corti d’appello o di cassazione dipende dalle peculiarità del procedimento in questione, e aggiungendo che ‘il procedimento dinanzi alla Corte di cassazione prevede l’assistenza obbligatoria di un avvocato che deve essere iscritto in un albo speciale, sulla base di alcune competenze richieste, che garantiscano la qualità del ricorso e il rispetto di tutte le necessarie condizioni formali e sostanziali’. A ciò si unisca quanto affermato nella sentenza n. 10648 del 2017 resa dalle Sezioni Unite civili di questa Corte proprio in riferimento all’onere posto dall’art. 369, comma 2, c.p.c., in ragione delle esigenze contemplate dall’articolo 6 § 1 CEDU e dall’art. 47 CDFUE: ‘i tratta di attività elementare, che risale ad esigenza obbiettiva della gestione del processo di cassazione, che non pone soverchi oneri alle parti, che è stata mantenuta dal legislatore e la cui razionalità è stata verificata dalla giurisprudenza di legittimità anche nell’ottica dei principi costituzionali’.
Il ricorso è perciò improcedibile.
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta di definizione anticipata, trovano applicazione il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., ai sensi dell’art. 380 -bis, comma 3, c.p.c. L’integrale conformità dell’esito decisorio alla proposta ex art. 380 -bis c.p.c. costituisce, invero, indice della colpa grave della condotta processuale del ricorrente, per lo svolgimento di un giudizio di cassazione rivelatosi del tutto superfluo, con conseguente condanna dello stesso al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore del controricorrente, nonché di somma in favore della cassa delle ammende, negli importi indicati in dispositivo (Cass., Sez. Unite, sentenza n. 9611 del 2024; Cass., ordinanze n. 36069, n. 27195, n. 28540 e n. 27433 del 2023).
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per l’impugnazione dichiarata improcedibile, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 1.000,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., al pagamento in favore del controricorrente della ulteriore somma di € 800,00 ed al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 500,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione