Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29044 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29044 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6730-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 114/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/09/2023 R.G.N. 716/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Risarcimento danni
Dequalificazione
R.G.N.6730/2024 Cron. Rep. Ud 04/06/2025 CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 2586/2021, con la quale, in accoglimento per quanto di ragione del ricorso proposto da NOME COGNOME nei confronti di detta società, accertata l’illegittimità della condotta di demansionamento dedotta dal lavoratore, il quale dipendente della resistente dall’aprile 1986 era inquadrato nel VI livello del RAGIONE_SOCIALE per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazioni, aveva condannato la datrice di lavoro ad assegnare all’attore mansioni corrispondenti all’inquadramento rivestito ed aveva condannato la convenuta al risarcimento, in favore del ricorrente, del danno professionale nella misura di € 50.022,14, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, dopo aver riferito quanto considerato e deciso dal primo giudice e i motivi d’appello formulati dalla datrice di lavoro, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, considerava che: ( i ) l’accertamento di fatto sull’impoverimento delle mansioni denunciato dal lavoratore era stato compiuto dal primo giudice, alla luce della declaratoria dettata per il VI livello, con un rigore dimostrativo che aveva riscontro nell’analisi delle risultanze delle deposizi oni testimoniali, per cui mentre prima del 2012 il COGNOME era direttamente coinvolto nell’espletamento di (incontestati) compiti amministrativi, di vendita e di marketing disimpegnati avvalendosi di facoltà decisionali autonome e così pure libertà di iniziativa (nei limiti delle direttive e del livello posseduto),
dal 2012 in poi -come riferito anche dalla teste COGNOME quando ha narrato le interviste eseguite su traccia preimpostata -il mansionario praticato dall’allora appellante si era qualitativamente ristretto ad operazioni ripetitive di verifica che risentivano dell’influenza di oneri esclusivamente formali; ( ii ) per le ragioni indicate dal Tribunale e per le considerazioni formulate nel passo precedente, ciò aveva comportato uno svilimento delle attribuzioni che il COGNOME già possedeva stabilmente dandosi luogo ad un pregiudizio di portata certa e pregno di una vasta gamma di risvolti; ( iii ) i suoi riflessi non patrimoniali erano stati riconosciuti assecondando precisamente i rilievi segnalati dalla giurisprudenza di legittimità richiamata in sentenza; ( iv ) l’impiego del criterio equitativo volto alla determinazione del quantum risarcibile era stato effettuato dal primo giudice circoscrivendo opportunamente a un terzo del trattamento retributivo attuale il metro risarcitorio confacente alla fattispecie (per via dell’intensità stessa dello scadimento professionale non accompagnato, d’altro canto, da privazioni salariali né da ingenti mortificazioni).
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi e successiva memoria.
Ha resistito l’intimato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., nonché degli
artt. 115 e 116 c.p.c., nonché del RAGIONE_SOCIALE in ordine al riconoscimento dell’asserito demansionamento subito dal sig. COGNOME (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’.
Con il secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., con riferimento all’insussistenza e alla mancata prova dei danni asseritamente lamentati (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)’.
Il primo motivo è infondato.
La ricorrente dichiara di censurare una parte di motivazione presente alle pagg. 56 dell’impugnata sentenza (cfr. pagg. 12-13 del ricorso).
4.1. Ebbene, in primo luogo la ricorrente trascura di considerare che quei passaggi argomentativi, di essenziale condivisione di quanto già accertato e valutato dal Tribunale, sono da leggersi ed intendersi alla luce di parte precedente della stessa motivazione, nella quale la Corte aveva dato conto in dettaglio di quanto accertato dal primo giudice in riferimento, tra l’altro, alla declaratoria del VI livello del RAGIONE_SOCIALE, in cui era inquadrato il lavoratore, ed a quella dell’inferiore III livello, cui erano state ricondotte dal Tribunale le attività demandate al lavoratore nella nuova destinazione (cfr. in extenso pagg. 23 dell’impugnata sentenza).
Assume la ricorrente che ‘tanto la Corte territoriale quanto il Tribunale di prima istanza hanno ritenuto, del tutto erroneamente, di basare il proprio convincimento -unicamente -sulla (del tutto lacunosa) ricostruzione dei fatti fornita dal Sig. COGNOME, giungendo alla conclusione che le mansioni allo stesso assegnate in ambito CDA a decorrere dal
mese di settembre/ottobre del 2012 non sarebbero riconducibili al 6° livello del ccnl RAGIONE_SOCIALE dallo stesso formalmente posseduto’.
5.1. Non considera la ricorrente che la Corte distrettuale, come già il Tribunale, ha fondato il proprio convincimento certamente, non solo su quanto allegato dal lavoratore (che è stato comunque riferito), bensì, oltre che sulle declaratorie del RAGIONE_SOCIALE ritenute pertinenti (secondo quanto già evidenziato), sulle testimonianze assunte in primo grado.
Infatti, la Corte ha ribadito che ‘il COGNOME si era trovato a eseguire incombenze puramente esecutive nel senso precisato dai testimoni sentiti convergenti nel notare che si trattava di funzioni tutto sommato compilative, tali da richiedere alcuna particolare pregevole forma di apporto autonomo/discrezionale’.
La ricorrente sostiene, poi, che ‘come contestato nel precedente grado e senza che sul punto la Corte d’appello abbia fornito riscontro, risultano evidenti vizi sull’istruttoria svolta in primo grado, che in alcun modo si è rivelata adeguata al tenore della causa e, comunque, non è stata valutata correttamente: ne è derivato che la decisione in questa sede impugnata si fonda esclusivamente sulle strumentali -doglianze di controparte, nonché sulle generiche affermazioni dei testimoni escussi’.
6.1. Queste asserzioni, di per sé generiche quanto direttamente riferite all’apprezzamento probatorio riservato ai giudici di merito, sono comunque fondate su una lettura appunto di talune deposizioni testimoniali, diversa da quella fornita dalla Corte di merito che, come ora si è rilevato, ha
giudicato convergenti tutte le deposizioni assunte (cfr. pagg. 14-16 del ricorso).
Deduce, ancora, la ricorrente che: ‘dal momento che il sig. COGNOME ha fatto decorrere il presunto demansionamento sin dal 2012, e dovendo dunque trovare applicazione, ratione temporis, almeno per una parte del periodo dedotto in causa, l’art. 2103 c.c. nella formulazione vigente prima del d.lgs. 81/2015, tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello avrebbero dovuto estendere l’esame della fattispecie alla verifica dell’uguaglianza sostanziale tra le mansioni disimpegnate dal Sig. COGNOME prima e dopo il 2012, non potendosi limitare, invece, alla mera comparazione tra le attività da ultimo assegnate al lavoratore e la declaratoria contrattuale del livello di inquadramento dallo stesso posseduto (verifica che può ritenersi sufficiente solo con riferimento all’art. 2103 c.c. come novellato, appunto, dall’art. 3 del d.lgs. 81/2015)’.
Ma si tratta di punto di censura non aderente alla motivazione resa dalla Corte di merito, in via di motivata conferma della sentenza di primo grado.
Nota, innanzitutto, il Collegio che analoga doglianza era stata già formulata rispetto alla sentenza del Tribunale.
In particolare, la Corte ha dato conto che l’allora appellante ‘critica, inoltre, la scelta del Giudice di non procedere ad una più approfondita indagine istruttoria poiché, ad avviso di RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale avrebbe dovuto ampliare l’analisi della fattispecie includendo la verifica dell’uguaglianza sostanziale tra le mansioni disimpegnate prima e dopo il 2012, senza limitarsi alla comparazione tra le attività da ultimo
assegnate al COGNOME e la declaratoria contrattuale del suo livello di inquadramento’ (così alla pag. 4 dell’impugnata sentenza).
Ebbene, come ben risulta dalla sintesi del proprio ragionamento decisorio proposta dalla stessa Corte di merito (già riferita al § 2. della narrativa in fatto che precede), questa ha senz’altro motivatamente disatteso quella doglianza (v. più estesamente sull’aspetto specifico le già richiamate pagg. 5 -6 della sua sentenza), non riscontrando la benché minima uguaglianza sostanziale tra le mansioni disimpegnate dal lavoratore prima del 2012 (che sono state appurate ed erano corrispondenti al VI livello d’ inquadramento) e quelle successivamente svolte per l’intero periodo dedotto in causa, anche anteriore alla novella del 2015.
La ricorrente, inoltre, torna ad invocare la previsione di cui all’art. 23, lettera D), punto 3, del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEunicazioni in tema di ‘mobilità orizzontale’ (deduzione già rappresentata ai giudici di secondo grado: cfr. pag. 4 dell’impugnata sentenza).
10.1. Ma si tratta, ancora una volta, di assunto non pertinente rispetto alla ratio decidendi in fatto, prima che in diritto, della Corte d’appello.
Invero, la norma collettiva che richiama la ricorrente prevede che ‘ in relazione alle esigenze tecnico-produttive, organizzative e di mercato, il lavoratore può essere adibito a tutte le mansioni relative al livello nel quale risulta inquadrato, anche in ambienti organizzativi diversi da quello di provenienza ‘.
10.2. I giudici del doppio grado di merito, tuttavia, come già evidenziato, non hanno assolutamente riscontrato che il lavoratore dal 2012 fosse stato impiegato in mansioni diverse da quelle svolte in precedenza, ma pur sempre rientranti nel VI livello di inquadramento (raggiunto già nel 2007); all’opposto, hanno riscontrato l’assegnazione di compiti specificati in dettaglio riconducibili a livelli contrattuali parecchio inferiori; il che esclude in radice qualsiasi scenario di ‘mobilità orizzontale’ nei te rmini di nuovo sostenuti dalla ricorrente.
11. Dunque, risultano inconferenti, prima che infondate, anche le residuali considerazioni che la ricorrente propone sulla base dell’art. 2103 c.c. come novellato nel 2015 (v. pagg. 19-21 del ricorso).
12. Parimenti infondato è il secondo motivo.
13. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, espresso più volte anche a Sezioni unite (cfr. Sez. un., 22.2.2010, n. 4063; id., n. 6572/2006), ed anche di recente confermato (cfr. Cass., sez. lav., 11.11.2022, n. 33427), in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva -non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale -non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo, dovendo il danno non patrimoniale essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova
per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto), si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno.
Inoltre, è pressoché costante nei precedenti di legittimità, con precipuo riferimento al danno alla professionalità, il riferimento ad elementi presuntivi utilizzabili, quali la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione (cfr., tra le altre, più di recente, Cass. n. 34073/2021); ma non si è mancato di includere tra tali elementi anche l’anzianità di servizio (cfr. Cass. n. 3822/2021; n. 4652/2009; n. 15955/2004).
14. Ebbene, la Corte territoriale aveva premesso: a) che il primo giudice, ‘a titolo di ristoro del pregiudizio professionale patito negli anni dal 2012 all’attualità’, aveva quantificato ‘la somma di € 50.022,14 desunta in via equitativa prendendo come base, anziché l’importo mensile di € 1.501,73 proposto dal lavoratore in domanda, la maggiorazione di un terzo della retribuzione di cui all’ultima busta paga prodotta in atti (febbraio 2020), maggiorata degli accessori del credito’ (così a pag. 2 della sent enza); b) che: ‘In ordine al danno patito, il Tribunale, nel richiamare la giurisprudenza di legittimità sulle tipologie di pregiudizio patrimoniale non patrimoniale risarcibile e sui loro criteri di verificazione al cospetto degli
oneri probatori e di motivazione, ha osservato che nella vicenda in cognizione il ricorrente era stato oltretutto privato di quelle opportunità di maturazione professionale che gli avrebbero offerto gli aggiornamenti contrattualmente previsti, potendosi pertanto stimare equa l’attribuzione del rimedio riparatorio dianzi indicato, in senso più circoscritto rispetto a quello postulato in ricorso’ .
14.1. La Corte territoriale, nel rispondere alla censura dell’allora appellante sul riconosciuto danno da dequalificazione, aveva diffusamente spiegato perché quest’ultima fosse priva di fondamento e perché, in particolare, nella specie non si era individuato un pregiudizio in re ipsa , come tendeva ad affermare RAGIONE_SOCIALE (v. in extenso pag. 6 dell’impugnata sentenza) e tuttora sostiene.
A fronte di tale valutazione, la ricorrente apoditticamente assume che ‘in nessun modo il Sig. COGNOME ha fornito la prova degli elementi richiesti dalla giurisprudenza per la dimostrazione del pregiudizio sofferto in conseguenza di una dequalificazione professionale, ed in concreto: a) dell’esistenza di un comportamento illecito dell’azienda; b) dell’esistenza di un danno; c) del nesso eziologico fra il presunto comportamento aziendale e l’asserito danno’.
15.1. Rileva, infatti, il Collegio che in parte qua la censura si risolve e si esaurisce in una serie di richiami giurisprudenziali (cfr. pagg. 23-26 del ricorso).
In definitiva, la critica a riguardo difetta di specificità, non spiegando come e perché la sentenza impugnata non sarebbe conforme a detti principi.
Infine, la ricorrente deduce che: .
16.1. Ma anche tali generiche deduzioni non si confrontano con la specifica motivazione resa dalla Corte territoriale che circa il parametro utilizzato dal Tribunale per la quantificazione del risarcimento del danno alla professionalità (un terzo, e non l’indicato 50%, del trattamento retributivo attuale del lavoratore) ha spiegato perché esso, inferiore a quello proposto dall’attore, fosse nella fattispecie congruo.
17 . La ricorrente, in quanto soccombente dev’essere condannata al pagamento, in favore dei difensori del controricorrente, dichiaratisi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge, e distrae in favore dei difensori del controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 4.6.2025.
La Presidente NOME COGNOME