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Demansionamento: risarcimento confermato dalla Cassazione

Un lavoratore di un’azienda di telecomunicazioni ha ottenuto il risarcimento per demansionamento dopo essere stato assegnato a mansioni inferiori al suo livello. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando l’illegittimità della condotta e la correttezza della quantificazione equitativa del danno professionale, basata su presunzioni come la durata del demansionamento e la qualità dell’attività lavorativa.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Demansionamento: La Cassazione Conferma il Diritto al Risarcimento del Danno Professionale

Il demansionamento rappresenta una delle problematiche più sentite nel diritto del lavoro, incidendo direttamente sulla dignità e sulla professionalità del lavoratore. Si verifica quando il datore di lavoro adibisce il dipendente a mansioni inferiori rispetto al suo livello contrattuale, causando un impoverimento del suo bagaglio di esperienze. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia, chiarendo i criteri per la prova e la liquidazione del danno. Analizziamo questa importante decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un dipendente di una nota azienda di telecomunicazioni, inquadrato nel VI livello del contratto collettivo nazionale. A partire dal 2012, il lavoratore lamentava di essere stato progressivamente privato delle sue mansioni originarie, che includevano compiti amministrativi, di vendita e di marketing con autonomia decisionale, per essere relegato a svolgere attività meramente ripetitive e formali, riconducibili a un livello contrattuale inferiore. Sentendosi professionalmente svuotato, il dipendente ha adito il Tribunale per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del demansionamento e il conseguente risarcimento del danno professionale.

La Decisione della Corte

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore, accertando l’effettivo impoverimento delle mansioni e condannando l’azienda al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno. La società ha quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando la valutazione delle prove e i criteri di liquidazione del danno.
La Suprema Corte, con la sentenza in esame, ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la condanna. I giudici di legittimità hanno ritenuto infondate le censure della ricorrente, validando l’iter logico-giuridico seguito dai giudici di merito sia nell’accertamento dei fatti sia nella determinazione del risarcimento.

Le Motivazioni della Cassazione sul Demansionamento

Le motivazioni della Corte offrono spunti cruciali per comprendere la disciplina del demansionamento.
In primo luogo, la Corte ha sottolineato che l’accertamento dei fatti, basato sulle deposizioni testimoniali, aveva correttamente evidenziato il passaggio da compiti complessi e autonomi a funzioni puramente esecutive e compilative. Non si trattava di una semplice “mobilità orizzontale”, come sostenuto dall’azienda, ma di una dequalificazione sostanziale.
In secondo luogo, la Cassazione ha affrontato il tema della prova del danno. Richiamando un orientamento consolidato, ha ribadito che il danno da demansionamento non è in re ipsa, cioè non si presume automaticamente dalla sola condotta illecita del datore di lavoro. Il lavoratore ha l’onere di allegare e provare, anche tramite presunzioni, il pregiudizio subito. Elementi presuntivi rilevanti includono:
* La durata e la gravità della dequalificazione.
* La qualità e la quantità dell’attività lavorativa precedentemente svolta.
* L’anzianità di servizio e le aspettative di progressione di carriera frustrate.
* Gli effetti negativi sulla vita professionale e personale del soggetto.

Le Motivazioni sul Criterio di Liquidazione del Danno

Infine, la Corte ha ritenuto corretto il criterio equitativo utilizzato per quantificare il danno. I giudici di merito avevano liquidato una somma pari a un terzo della retribuzione mensile per tutto il periodo del demansionamento. Questo parametro è stato considerato congruo perché, pur essendo inferiore alla richiesta del lavoratore (che aveva chiesto il 50%), teneva conto dell’intensità dello svuotamento professionale, bilanciando l’assenza di privazioni salariali dirette.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida importanti principi in materia di tutela del lavoratore. Per gli impiegati, emerge la necessità di non limitarsi a denunciare il demansionamento, ma di raccogliere elementi, anche presuntivi, per dimostrare il concreto pregiudizio professionale e personale subito. Per i datori di lavoro, la decisione è un monito a gestire le risorse umane nel rispetto della professionalità acquisita, poiché l’assegnazione a mansioni inferiori, se non giustificata e non temporanea, costituisce un inadempimento contrattuale grave, con conseguenze risarcitorie significative, la cui quantificazione è rimessa alla valutazione equitativa del giudice.

Il danno da demansionamento è automaticamente risarcibile una volta provata la dequalificazione?
No, il danno non è automatico (non è “in re ipsa”). Secondo la Corte, il lavoratore deve fornire una specifica allegazione e prova del pregiudizio subito, anche se tale prova può essere data attraverso presunzioni, basate su elementi come la durata, la gravità della dequalificazione e l’impoverimento della professionalità.

Come viene calcolato il risarcimento per il danno professionale da demansionamento?
Quando è difficile quantificare con precisione il danno, il giudice può utilizzare un criterio equitativo. Nel caso di specie, è stato ritenuto congruo un risarcimento pari a un terzo del trattamento retributivo mensile per ogni mese di demansionamento, tenendo conto dell’intensità dello scadimento professionale.

Quali elementi considera il giudice per valutare l’esistenza del demansionamento?
Il giudice confronta le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore prima e dopo il presunto demansionamento. Si basa su prove concrete, come le deposizioni dei testimoni e l’analisi delle declaratorie contrattuali, per accertare se vi sia stato un reale impoverimento qualitativo dei compiti assegnati, privandoli di autonomia, iniziativa e contenuto professionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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