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Demansionamento: risarcimento anche senza prova diretta

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un’azienda di trasporti al risarcimento del danno per demansionamento nei confronti di un proprio dipendente, un avvocato. Il lavoratore era stato progressivamente privato di ogni mansione fino alla completa inattività. La Corte ha stabilito che la prova del danno alla professionalità può essere raggiunta tramite presunzioni e che la liquidazione basata sull’intera retribuzione mensile è un parametro valido in casi di inattività totale.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Demansionamento: Quando l’Inattività Forzata Giustifica il Pieno Risarcimento

Il demansionamento rappresenta una delle violazioni più gravi degli obblighi del datore di lavoro, ledendo la dignità e la professionalità del dipendente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia, confermando il diritto al risarcimento del danno per un lavoratore lasciato in completa inattività, e chiarendo come tale danno possa essere provato e quantificato.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda un avvocato dipendente di una grande società di trasporti. Al rientro da un periodo di distacco, il professionista ha subito una progressiva e drastica riduzione delle pratiche assegnate, fino a trovarsi in una condizione di totale inattività e isolamento professionale. Sentendosi dequalificato e danneggiato, ha intentato una causa per demansionamento, chiedendo il risarcimento dei danni subiti. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore, riconoscendo la violazione da parte dell’azienda e liquidando un risarcimento.

L’azienda ha quindi proposto ricorso in Cassazione, articolando cinque motivi di contestazione.

L’Analisi della Corte: Il Demansionamento e la Prova del Danno

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la decisione dei giudici di merito. L’analisi della Corte tocca punti cruciali relativi alla definizione di demansionamento, alla prova del danno e alla sua liquidazione.

La Violazione dell’Art. 2103 c.c.

L’azienda sosteneva che il confronto delle mansioni non dovesse essere fatto con quelle, più complesse, svolte durante il distacco. La Corte ha respinto questa tesi, chiarendo che il parametro di riferimento è il profilo professionale e il livello di inquadramento del dipendente. I giudici hanno accertato che il lavoratore era stato adibito a mansioni di livello inferiore e, soprattutto, che l’inattività forzata costituiva un palese “depauperamento professionale”, violando l’articolo 2103 del Codice Civile che tutela la professionalità del lavoratore.

La Prova del Danno da Demansionamento attraverso Presunzioni

Uno dei punti più interessanti della decisione riguarda la prova del danno. L’azienda lamentava la mancanza di prove concrete del danno alla professionalità e all’immagine. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il danno da demansionamento, soprattutto quello non patrimoniale, può essere provato anche attraverso presunzioni. Nel caso specifico, il danno era chiaramente desumibile da una serie di elementi:

* Il depauperamento professionale causato dalla lunga inattività.
* La mancanza di rapporti con colleghi avvocati e magistrati.
* La situazione umiliante di avere una scrivania vuota e svolgere attività prive di rilievo.
* Il disagio psicologico derivante da tale condizione di emarginazione.

Questi elementi, nel loro complesso, sono stati ritenuti sufficienti a dimostrare l’esistenza di un danno risarcibile senza la necessità di ulteriori prove dirette.

La Liquidazione del Danno

Infine, la Corte ha validato il metodo di liquidazione del danno utilizzato dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva usato come parametro l’intera retribuzione mensile del lavoratore per il periodo del demansionamento. Secondo la Cassazione, questo criterio è legittimo e congruo, specialmente in un caso di inattività totale. Il riferimento all’intera retribuzione trova giustificazione nella gravità della violazione, che ha privato il lavoratore non di una parte, ma della totalità delle sue funzioni lavorative.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano sulla tutela della dignità e della professionalità del lavoratore, beni protetti dall’articolo 2103 c.c. I giudici hanno sottolineato che il datore di lavoro non ha solo l’obbligo di pagare la retribuzione, ma anche quello di adibire il dipendente a mansioni conformi alla sua qualifica. Lasciare un lavoratore inattivo costituisce una violazione di questo obbligo. La Corte ha ritenuto che la prova del danno non patrimoniale possa legittimamente basarsi su fatti noti (l’inattività, l’isolamento) per inferire l’esistenza del pregiudizio (danno alla professionalità, alla salute, all’immagine). La scelta di liquidare il danno basandosi sull’intera retribuzione è stata considerata una modalità equitativa corretta, proporzionata alla gravità del comportamento del datore di lavoro che ha azzerato completamente la prestazione lavorativa del dipendente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela dei lavoratori contro il demansionamento. Le conclusioni pratiche sono significative:

1. La prova del danno può essere presuntiva: il lavoratore non deve necessariamente fornire prove mediche o testimonianze dirette del suo malessere, potendo il giudice dedurre il danno dalle circostanze oggettive della dequalificazione.
2. L’inattività totale è demansionamento: la completa inattività è una delle forme più gravi di demansionamento e giustifica un risarcimento significativo.
3. La retribuzione come parametro: l’utilizzo dell’intera retribuzione come base per il calcolo del danno è un criterio valido e legittimo, che riflette la gravità della privazione delle mansioni.

È necessario provare con testimoni o perizie il danno alla professionalità in caso di demansionamento?
No. Secondo la Corte, la prova dei danni alla professionalità e all’immagine può essere raggiunta anche con presunzioni, basandosi su elementi oggettivi come il depauperamento professionale, l’inattività forzata, la mancanza di rapporti professionali e il disagio psicologico che ne deriva.

Come viene calcolato il risarcimento per demansionamento?
La liquidazione del danno può essere effettuata utilizzando come parametro la retribuzione. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto legittimo e congruo l’utilizzo dell’intera retribuzione mensile, in considerazione della totale inattività del lavoratore per un lungo periodo.

L’assegnazione anche di un solo incarico importante interrompe il periodo di demansionamento?
No. La Corte ha chiarito che la valutazione del demansionamento è complessiva. L’attribuzione di un singolo incarico, anche se rilevante, non è sufficiente a escludere la violazione dell’art. 2103 c.c. se, nel contesto generale, il lavoratore continua a essere dequalificato o privato delle sue mansioni principali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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