Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20742 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20742 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18099/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 6241/2019 depositata il 31/05/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 27.11.19 la corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza di prime cure, che aveva accolto la domanda del lavoratore in epigrafe di risarcimento danni da demansionamento (quale avvocato delle Ferrovie).
In particolare, valutate le prove, la corte territoriale ha ritenuto dimostrata la riduzione quantitativa e qualitativa delle pratiche assegnate fino alla completa inattività ed all’isolamento del lavoratore; ha ritenuto provato il danno e liquidato lo stesso con utilizzazione come parametro della retribuzione mensile (nel suo valore integrale), in considerazione anche del tempo del demansionamento e della incidenza crescente dello stesso.
Avverso tale sentenza ricorre il datore per cinque motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso il lavoratore.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo deduce violazione dell’articolo 2103 c.c. per aver comparato le mansioni con precedenti svolte in distacco ormai cessato per ragioni oggettive di riduzione del contenzioso seriale e non in relazione alla qualifica.
Il motivo è infondato, alla luce del chiaro disposto dell’art. 2103 c.c. nel testo ratione temporis vigente. Invero la corte territoriale ha accertato che il lavoratore, a seguito del distacco, è stato adibito
a mansioni diverse da quelle svolte in precedenza (per riorganizzazione dell’ufficio e drastica riduzione del contenzioso) ed inoltre non riconducibili al suo profilo professionale.
In altri termini, i giudici di merito (conformi peraltro in tale accertamento) hanno constatato sia l’adibizione del lavoratore a mansioni di livello inferiore rispetto a quelli posseduti dal dipendente, sia l’adibizione a mansioni che, prescindendo dalla riconducibilità al livello di inquadramento attribuito, esprimono un rilevante depauperamento professionale.
Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 2103 c.c. per avere trascurato che vari compiti erano stati assegnati al lavoratore al rientro dopo il distacco e che il lavoratore non aveva provato neppure di averli svolti.
Il motivo è privo di pregio, considerato che il lavoratore aveva diritto ad altri compiti non inferiori alla qualifica, che il datore non ha dimostrato di aver assegnato.
Il terzo motivo lamenta violazione della medesima norma e 360 n. 5 per non aver considerato un incarico rilevante assegnato a dicembre 2012 che ridurrebbe la durata del demansionamento che asseritamente va da ottobre 2011 ad aprile 2013.
Anche tale motivo va disatteso, atteso che la valutazione del demansionamento è complessiva e l’attribuzione di un singolo incarico, pur rilevante, non esclude la violazione dell’art. 2103 c.c.
Il quarto motivo deduce violazione degli articoli 2697, 2729 2050, 1226 c.c. per avere liquidato il danno senza tener conto che non vi era frequentazione di uffici giudiziari, essendo ciò dipeso dal cambiamento dell’incarico per fine distacco, e trascurato l’assenza di prova del danno alla professionalità e all’immagine.
Il motivo è infondato: la sentenza impugnata ha ben motivato sul punto, osservando da un lato che la prova dei danni alla professionalità ed all’immagine può essere raggiunta anche con presunzioni sulla base delle allegazioni della parte e, dall’altro lato, che nel caso il danno emergeva chiaramente in considerazione del depauperamento professionale del lavoratore, della sua completa inattività forzata, dal venir meno di rapporti con avvocati e magistrati, dal fatto che aveva la scrivania libera da documenti e che svolgeva attività priva di rilevo, dimostrando financo un certo disagio psicologico.
Il quinto motivo deduce violazione delle norme ora dette per avere quantificato il danno sulla base della retribuzione, senza considerare una sua percentuale e motivare su di essa.
Occorre considerare che secondo la giurisprudenza di legittimità la liquidazione del danno alla professionalità può ben farsi utilizzando quale parametro la retribuzione unitamente ad altri parametri; per altro verso, il riferimento alla retribuzione nel suo totale ammontare e non in percentuale, come operato dalla corte territoriale, trova giustificazione e risulta congruo in relazione alla totale inattività del lavoratore per buona parte del periodo di lavoro per cui è causa.
Ne segue il rigetto del ricorso.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
p.q.m.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 6000 per compensi professionali ed euro 200 per
esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 aprile 2025.