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Demansionamento: quando la prova spetta al lavoratore

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando il ricorso di un lavoratore che chiedeva un risarcimento per demansionamento, straining e perdita di chance. La Corte ha ribadito che l’onere di provare concretamente il demansionamento spetta al dipendente, non essendo sufficienti affermazioni generiche. Anche la contestazione sul calcolo del TFR per il periodo estero è stata respinta, in quanto basata su una specifica e accettata previsione contrattuale.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Demansionamento e Onere della Prova: La Cassazione Chiarisce

Il tema del demansionamento sul posto di lavoro è una questione delicata e spesso oggetto di contenzioso. Un lavoratore che si sente dequalificato professionalmente può richiedere un risarcimento, ma cosa deve dimostrare esattamente in tribunale? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un punto cruciale: l’onere della prova. Vediamo insieme i dettagli di un caso che ha visto un dipendente di una grande società energetica perdere la sua battaglia legale proprio per non aver fornito prove sufficienti.

I Fatti del Caso

Un lavoratore ha citato in giudizio la sua azienda, una nota società del settore energetico, lamentando di aver subito un grave danno professionale. Le sue richieste erano articolate su più fronti:
1. Risarcimento per straining: Sosteneva di essere stato vittima di azioni ostili isolate che gli avevano causato un forte stress.
2. Risarcimento per perdita di chance: Affermava di aver perso l’opportunità di diventare dirigente a causa di una politica aziendale che privilegiava candidati più giovani.
3. Risarcimento per demansionamento: Denunciava di essere stato adibito a mansioni inferiori rispetto al suo livello.
4. Ricalcolo del TFR: Contestava il metodo di calcolo del Trattamento di Fine Rapporto per il periodo di lavoro svolto all’estero.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano già respinto le sue domande. I giudici di merito avevano concluso che il lavoratore non era riuscito a provare né lo svolgimento di mansioni rilevanti per una promozione a dirigente, né gli episodi di straining, né un effettivo demansionamento. Riguardo al TFR, la Corte d’Appello aveva ritenuto valida la clausola contrattuale che stabiliva un calcolo basato sulla retribuzione che avrebbe percepito in Italia. Insoddisfatto, il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte sul demansionamento

La Corte di Cassazione ha analizzato i tre motivi di ricorso presentati dal lavoratore e li ha respinti tutti, confermando la sentenza della Corte d’Appello. La decisione si fonda su principi consolidati in materia di onere della prova e interpretazione contrattuale.

Il Primo Motivo: Mancata Prova del Demansionamento

Il punto centrale della sentenza riguarda proprio il demansionamento. La Corte ha sottolineato che il ricorrente si è limitato a richiamare massime giurisprudenziali in modo generico, senza però fornire alcuna prova concreta della dequalificazione subita. Non basta affermare di essere stato demansionato; è necessario dimostrare in modo specifico quali mansioni inferiori siano state assegnate e come queste abbiano impoverito la propria professionalità. La Cassazione ha evidenziato che, dalle stesse affermazioni del lavoratore, non emergeva alcun demansionamento, ma solo la mancata promozione a dirigente, che è una questione diversa e non provata.

Il Secondo Motivo: La Questione del TFR Estero

Anche sul calcolo del TFR, la Corte ha dato torto al lavoratore. La sentenza impugnata aveva chiarito che il dipendente aveva espressamente accettato una comunicazione aziendale che legava il calcolo del TFR alla retribuzione italiana. Questa pattuizione individuale è stata considerata legittima, anche alla luce del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di settore, che esclude dalla “retribuzione globale” elementi come l’indennità estera, l’alloggio e altri benefit legati al disagio del lavoro all’estero.

Il Terzo Motivo: La Condanna alle Spese

Infine, il lavoratore contestava la condanna al pagamento delle spese legali. La Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse applicato correttamente il principio della soccombenza, secondo cui chi perde la causa paga le spese, non ravvisando motivi validi per derogare a tale regola.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si concentrano sul principio fondamentale dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 del Codice Civile. Chi intende far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nel caso del demansionamento, questo significa che il lavoratore ha il dovere di fornire elementi concreti e specifici che dimostrino la dequalificazione. Non è sufficiente una sterile elencazione di principi giuridici o un generico malcontento per una mancata promozione. La Corte ha ribadito che le esperienze lavorative passate, se non provate come riconducibili a un livello superiore, non possono fondare una richiesta di risarcimento per demansionamento. Allo stesso modo, la validità di una clausola contrattuale, se liberamente sottoscritta e non in contrasto con norme imperative, deve essere rispettata.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre importanti implicazioni pratiche sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Per i lavoratori, emerge la necessità di raccogliere e presentare prove documentali e testimoniali dettagliate e specifiche per sostenere qualsiasi accusa di demansionamento o straining. Le semplici affermazioni non bastano. Per i datori di lavoro, la sentenza conferma l’importanza di redigere contratti e accordi chiari e specifici, specialmente per quanto riguarda aspetti economici complessi come la retribuzione per il lavoro all’estero e il calcolo del TFR. Una pattuizione chiara e accettata dalle parti è la migliore difesa contro future contestazioni.

Chi deve provare il demansionamento in una causa di lavoro?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova del demansionamento spetta interamente al lavoratore. Egli deve dimostrare in modo concreto e specifico la dequalificazione subita, non essendo sufficiente una generica elencazione di massime giurisprudenziali o il semplice richiamo a esperienze lavorative passate.

È possibile accordarsi per un calcolo del TFR diverso da quello standard per il lavoro svolto all’estero?
Sì, è possibile. La Corte ha ritenuto valida la pattuizione individuale con cui il lavoratore aveva accettato che il suo TFR fosse calcolato sulla base della retribuzione che avrebbe percepito in Italia. Tale accordo è legittimo se non contrasta con norme imperative di legge e se è chiaramente specificato nel contratto o in comunicazioni accettate dal dipendente.

Cosa si intende per ‘straining’ e perché la richiesta di risarcimento è stata respinta in questo caso?
Lo ‘straining’ è una forma di stress lavorativo forzato causato da azioni ostili isolate. In questo caso, la richiesta di risarcimento è stata respinta perché il lavoratore non ha fornito alcuna prova degli episodi lamentati, che sono stati ritenuti non significativi dai giudici di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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