Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27367 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 27367 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14508-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 574/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 29/10/2018 R.G.N. 1014/2016;
Oggetto
Demansionamento
–
Risarcimento
danni.
R.G.N. 14508/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/09/2024
CC
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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che
La Corte di Appello di Salerno, confermando la decisione del Tribunale della stessa città, ha rigettato la domanda dell’epigrafato lavoratore volta ad ottenere la condanna del proprio datore, RAGIONE_SOCIALE, al risarcimento del danno patito in conseguenza del demansionamento dedotto nel ricorso ex art. 414 c.p.c.
La sentenza della Corte territoriale ha negato il demansionamento affermando che il lavoratore aveva sempre svolto compiti e mansioni afferenti all’area funzionale di inquadramento, la terza (precedentemente area C); del pari, ha escluso la rilevanza, ai fini del dedotto demansionamento, della sottrazione RAGIONE_SOCIALE funzioni di coordinamento in precedenza espletate; infine, ha ritenuto tardiva, in quanto svolta solo in appello, l’allegazione, di svolgimento, in virtù dell’ordine di servizio n. 29 del 2012, di mansioni afferenti alla seconda, anziché alla terza aerea funzionale.
3.Propone ricorso per cassazione articolato in sei motivi il lavoratore indicato in epigrafe.
4.Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
La parte ricorrente in cassazione deposita memorie.
Considerato che
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Con il primo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Nella censura si insiste che la sentenza di appello ha erroneamente ritenuto le mansioni assegnate all’epigrafato ricorrente con l’ordine di servizio n. 29 del NUMERO_DOCUMENTO equivalenti a quelle di coordinamento e di alta valenza svolte in precedenza e ricadenti nella Terza Area Funzionale.
In particolare la censura ruota attorno alla considerazione che, nel negare il demansionamento, il giudice non abbia adeguatamente tenuto in conto né le risultanze RAGIONE_SOCIALE prove testimoniali, in particolare di quelle desumibili dalle dichiarazioni di NOME COGNOME (la dichiarazione del quale è riportata quasi pedissequamente nel corpo del motivo) dalle quali emerge(rebbe) l’assegnazione all’Ufficio RAGIONE_SOCIALE e quindi l’avvenuto demansionamento del lavoratore, né le risultanze dell’ordine di servizio innanzi richiamato n. 29 del 2012.
Il motivo è inammissibile per una pluralità di concorrenti ragioni.
In primo luogo perché invoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non considerando che quest’ultima disposizione, per i giudizi di secondo grado instaurati dopo il trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può essere denunciata, rispetto ad un appello promosso dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito negli stessi termini dai giudici di prime e di seconde cure (art. 348 ter, c.p.c., in base al quale il vizio di cui all’art.
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360, co. 1, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014; negli stessi termini, all’esito RAGIONE_SOCIALE modifiche apportate dal d.lgs. n. 149/2022, il comma 4 del riformulato art. 360 c.p.c.).
La doppia conforme e la complessiva sovrapponibilità RAGIONE_SOCIALE motivazioni di primo grado e di appello (che a quella di prime cure ampiamente si riporta) comportano, quindi, nel caso in esame l’inammissibilità del mezzo.
In secondo luogo, perché quella che viene richiesta non è la valutazione di un fatto omessa dal giudice di merito, quanto piuttosto la (ri)valutazione del materiale probatorio (testimonianza e documenti innanzi indicati) evidentemente non più ammissibile in sede di legittimità.
In terzo luogo, perché non si confronta con la ratio decidendi della decisione di appello nella parte in cui ha escluso dal thema decidendum, per tardiva allegazione solo in appello, le condotte di demansionamento promananti dall’applicazione dell’ordine di servizio n. 29 del 2012.
Con il secondo motivo viene denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 437, comma 2, c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. 10. Si insiste che, fin dal ricorso ex art. 414 c.p.c., la parte ricorrente aveva dedotto la sussistenza di un’ipotesi di demansionamento a far tempo dal giugno 2012, sicché il giudice di appello erroneamente aveva ritenuto l’allegazione della condotta di demansionamento relativa all’ordine di servizio n. 29 del 2012 tardiva. L’aver erroneamente ritenuto la violazione del cd. ius novorum ha altresì comportato – si aggiunge – la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte territoriale pronunziato su tutta la domanda.
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Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la duplice ratio decidendi posta alla base della decisione da parte del Giudice di appello che, oltre ad affermare la violazione del cd. ius novorum quanto al riferimento all’ordine di servizio n. 29 del 2012, si riporta alla decisione di prime cure, quanto agli argomenti ivi spesi affermando l’insussistenza di una ipotesi di demansionamento.
Con la terza censura, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. viene denunziata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., dell’art. 437, comma 2, c.p.c., dell’art. 111, comma 6, della Costituzione.
La parte ricorrente si duole, nella sostanza, del mancato ricorso da parte del giudice di merito ai propri poteri officiosi in materia istruttoria e della erroneità della decisione della Corte di appello nella parte in cui ha rigettato le richieste istruttorie formulate dal lavoratore, ritenendole irrilevanti ai fini della decisione. Insiste che la sentenza impugnata è priva di motivazione (o comunque reca una motivazione apparente) quanto a detto aspetto.
Il motivo non può essere accolto.
Quanto al mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio qui lamentato, come pure quanto alla doglianza relativa alle ulteriori istanze istruttorie formulate dalle parti ed alle quali non è stato dato accesso nel processo, va evidenziato quanto segue.
Il raggiungimento di un risultato probatorio ritenuto dall’organo giudicante certo (nella specie, la negazione RAGIONE_SOCIALE avvenute condotte di demansionamento) esclude che debba procedersi all’assunzione di ulteriori prove, evidentemente ininfluenti (come peraltro motivato in sentenza), così come esclude che debba farsi ricorso ai poteri istruttori d’ufficio che
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possono essere attivati per consolidare, sulla base di una cd. pista probatoria già segnata i risultati raggiunti, ma non certo per scardinare gli esiti certi di una prova già raggiunta (cfr. Cass. n. 26597/2020, rv. 659626-01).
Con il quarto mezzo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’allegato A del c.c.n.l. Comparto Agenzie fiscali del 28.5.2004 e dell’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 30.3.2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
La censura si incentra sul seguente argomento: costituisce violazione e/o falsa applicazione dell’Allegato A del c.c.n.l. Comparto Agenzie Fiscali del 28.5.2004, la valutazione di equivalenza RAGIONE_SOCIALE mansioni di assegnazione all’ufficio RAGIONE_SOCIALE con il pubblico con quelle di coordinamento del personale e di alta valenza fiscale in precedenza svolte dal lavoratore.
Si insiste, inoltre, che l’assegnazione all’ufficio RAGIONE_SOCIALE con il pubblico con diretto contatto con il pubblico stesso va ricondotta non alla terza, ma alla seconda area funzionale. A fondamento dell’assunto nel corpo del motivo vengono riportate le declaratorie contrattuali.
Il mezzo è del tutto infondato laddove si pone in contrasto con i principi generali che regolamentano il pubblico impiego contrattualizzato retto dal cd. principio dell’equivalenza contrattuale, sicché una volta accertato, come accaduto nel caso di specie, anche con ampio rinvio alla sentenza di prime cure, che le mansioni ed i compiti svolti dal ricorrente ricadano nella stessa area, la terza, di inquadramento del ricorrente, il demansionamento va automaticamente escluso.
Ciò posto, va esaminato l’ulteriore profilo di doglianza contenuto nel mezzo: la riconducibilità alla seconda e non alla terza area RAGIONE_SOCIALE mansioni assegnate al ricorrente in quanto i compiti svolti presso l’ufficio RAGIONE_SOCIALE con il pubblico
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presupponevano una relazione con l’utenza di tipo elementare e non complesso, quale quelle relativo alla terza area.
Ebbene, in disparte la possibilità o meno di distinguere effettivamente sulla scorta del dato contrattuale tra RAGIONE_SOCIALE con il pubblico di tipo semplici e complesso, afferenti rispettivamente alla seconda ed alla terza area, il motivo è inammissibile perché avrebbe dovuto indicare dove nel ricorso ex art. 414 c.p.c. il lavoratore aveva dedotto di essere stato destinato all’ufficio RAGIONE_SOCIALE al pubblico, ma con compiti semplici a diretto contatto con l’utenza. Tale profilo non emerge dalla sentenza di appello che fa rinvio alla sentenza del Tribunale della quale, tuttavia, non viene illustrato e riportato il contenuto, almeno nei suoi elementi essenziali, rilevanti per quel che qui interessa.
Conseguentemente, in carenza RAGIONE_SOCIALE deduzioni di cui innanzi, il motivo difetta ex art. 366 c.p.c. di specificità, sub specie di autosufficienza, tanto ridondando in inammissibilità della doglianza (cfr. al riguardo, quanto all’onere di specificazione che deve essere assolto in caso di rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, Cass. S.U. n. 7074/2017).
Con la quinta censura viene denunziato ancora, ai sensi del n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ravvisato nella allegazione di fatti idonei a provare in via presuntiva il danno lamentato.
Con il residuo censorio viene lamentata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727, 2729, 1226 c.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
In estrema sintesi, nei due motivi si rileva che il danno lamentato e di cui il lavoratore ha chiesto il risarcimento (danno alla professionalità o identità professionale, danno
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esistenziale o alla vita di relazione, etc.) derivanti dal demansionamento potevano essere provati anche a mezzo presunzioni, gravi precise e concordanti.
I motivi non possono essere accolti.
Ribadite in premessa, per i motivi già espressi al punto n.
5, le ragioni di inammissibilità del quinto mezzo formulato ai sensi del comma 1, n. 5, del c.p.c., va a valle rilevata – in ogni caso – l’inammissibilità di entrambe le doglianze.
Non vi è dubbio, infatti, che i danni da demansionamento (alla professionalità, etc.) possano essere provati anche a mezzo di presunzioni, sempre che a monte sia stata offerta prova del fatto generatore del danno stesso: nella specie il demansionamento.
E’ pur vero che il danno alla professionalità può essere generato anche da altre condotte (e non dal solo demansionamento) e tuttavia ciò che nella specie rileva è che la domanda proposta nel presente giudizio è una domanda di risarcimento del danno cagionata dalla condotta di demansionamento, sicché in assenza della prova del fatto illecito generatore, non assume alcun rilievo discutere della possibilità di quantificare un ipotetico danno (non provocato dalla condotta datoriale asseritamente illecita) a mezzo presunzioni.
A tanto va aggiunto che dall’esame della pronunzia qui impugnata emerge che il giudice di appello ha fondato il rigetto della pretesa risarcitoria su due rationes decidendi, così motivando sul punto: ‘ dal rigetto RAGIONE_SOCIALE richieste di declaratoria di demansionamento non può che derivare il rigetto anche della domanda risarcitoria, neppure dimostrata o chiesta idoneamente di dimostrare con il ricorso di primo grado’.
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In disparte ogni altra considerazione già innanzi svolta, quindi, va evidenziato che dal mancato accoglimento RAGIONE_SOCIALE prime quattro censure sull’esistenza del danno non può che derivare anche l’inammissibilità dei motivi inerenti la quantificazione dello stesso. Ciò in applicazione del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, la sentenza risulti sorretta da due diverse rationes decidendi , distinte ed autonome, ciascuna RAGIONE_SOCIALE quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’inammissibilità o l’infondatezza del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o rigettata
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, liquidate in €. 4.000 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 25.9.2024