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Demansionamento: quando è escluso il risarcimento?

Un dipendente di un ente pubblico ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro per demansionamento a seguito di un cambio di mansioni. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La richiesta è stata rigettata poiché le nuove mansioni, sebbene diverse, rientravano nella medesima area funzionale di inquadramento del lavoratore. Inoltre, la Corte ha sottolineato che specifiche allegazioni sul livello inferiore dei compiti erano state presentate tardivamente, solo in appello. Di conseguenza, in assenza della prova del demansionamento, è stata esclusa anche ogni forma di risarcimento del danno.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Demansionamento: Niente Risarcimento se le Mansioni sono nella Stessa Area Contrattuale

Il demansionamento è una delle questioni più delicate nel diritto del lavoro, poiché tocca la dignità e la professionalità del lavoratore. Ma cosa succede se un dipendente viene spostato a compiti diversi, percepiti come meno qualificanti, ma formalmente rientranti nella stessa area di inquadramento? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, stabilendo chiari limiti alla richiesta di risarcimento danni e sottolineando l’importanza di una corretta impostazione processuale fin dal primo grado.

I Fatti del Caso: da Mansioni di Coordinamento all’Ufficio Relazioni con il Pubblico

Un dipendente di un importante ente pubblico, inquadrato nella terza area funzionale, lamentava di aver subito un demansionamento. In precedenza, svolgeva compiti di coordinamento e di elevata valenza professionale. Successivamente, a seguito di un ordine di servizio, era stato assegnato all’Ufficio Relazioni con il Pubblico. A suo dire, le nuove mansioni non solo erano prive del precedente contenuto di coordinamento, ma erano riconducibili a un’area funzionale inferiore (la seconda anziché la terza), comportando un impoverimento della sua professionalità.

Per questo motivo, aveva avviato una causa per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Tuttavia, sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto la sua domanda, ritenendo che i compiti svolti rientrassero sempre nella sua area di appartenenza. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte: il Ricorso viene Rigettato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei giudici di merito. La Suprema Corte ha basato la sua decisione su una serie di principi giuridici e processuali, offrendo importanti chiarimenti in materia di demansionamento nel pubblico impiego.

Le Motivazioni della Corte sul Demansionamento

L’ordinanza affronta diversi motivi di ricorso, rigettandoli tutti sulla base di argomentazioni precise.

Il Principio della “Doppia Conforme” e i Limiti del Ricorso

In primo luogo, la Corte ha applicato il principio della cosiddetta “doppia conforme”. Poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano ricostruito i fatti nello stesso modo, escludendo il demansionamento, al ricorrente era preclusa la possibilità di contestare in Cassazione la valutazione dei fatti e delle prove, come le testimonianze. Il ricorso in Cassazione, infatti, serve a controllare la corretta applicazione del diritto, non a riesaminare il merito della vicenda.

L’Importanza dell’Area di Inquadramento nel Demansionamento

Il punto centrale della decisione riguarda il concetto di equivalenza delle mansioni. La Corte ha ribadito un principio consolidato: nel pubblico impiego contrattualizzato, il demansionamento è escluso se le nuove mansioni, pur diverse, rientrano nella medesima area di inquadramento prevista dal contratto collettivo. I giudici di merito avevano accertato che i compiti svolti dal lavoratore presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico erano coerenti con la terza area funzionale. Di conseguenza, non si poteva parlare di dequalificazione professionale.

Onere della Prova e Tardività delle Allegazioni

Un altro aspetto cruciale è stato di natura processuale. Il lavoratore sosteneva che i suoi nuovi compiti fossero di tipo “semplice”, tipici di un’area inferiore. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ritenuto questa specifica allegazione tardiva, in quanto introdotta per la prima volta solo in secondo grado, violando il divieto di “ius novorum” (nuove domande o prove in appello). La Cassazione ha confermato questa impostazione, sottolineando che il ricorrente non aveva dimostrato di aver sollevato tale questione fin dal ricorso iniziale. Questo evidenzia l’importanza di articolare in modo completo e specifico tutte le proprie difese sin dal primo atto del giudizio.

Nessun Danno Risarcibile senza Demansionamento

Infine, la Corte ha affrontato la richiesta di risarcimento del danno alla professionalità e alla vita di relazione. L’argomentazione è stata netta: il diritto al risarcimento sorge solo in presenza di un fatto illecito. Poiché i giudici hanno escluso l’esistenza del demansionamento (il fatto illecito generatore del danno), la domanda di risarcimento non poteva che essere respinta. In altre parole, senza la prova della dequalificazione, non ha senso discutere della quantificazione di un danno che non ha una causa giuridicamente rilevante.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza offre insegnamenti preziosi per lavoratori e datori di lavoro del settore pubblico. Per il lavoratore che si ritiene dequalificato, emerge la necessità di:
1. Analizzare attentamente il contratto collettivo: La riconducibilità delle mansioni all’area di inquadramento è il primo e fondamentale criterio di valutazione.
2. Impostare correttamente il ricorso iniziale: Tutte le contestazioni, incluse quelle sulla natura qualitativamente inferiore dei compiti, devono essere allegate e provate fin dal primo grado di giudizio. Le omissioni non possono essere sanate in appello.
3. Provare il fatto illecito: La richiesta di risarcimento è una conseguenza diretta della prova del demansionamento. Senza questa, la domanda accessoria è destinata a fallire.

È possibile ottenere un risarcimento se le nuove mansioni rientrano nella stessa area contrattuale di quelle precedenti?
No, secondo la Corte, se viene accertato che le mansioni svolte dal ricorrente, seppur diverse, rientrano nella stessa area di inquadramento, il demansionamento va automaticamente escluso e, di conseguenza, non spetta alcun risarcimento.

Cosa succede se le prove del demansionamento vengono presentate per la prima volta in appello?
Le allegazioni e le prove relative al demansionamento devono essere presentate fin dal primo grado di giudizio. Introdurle per la prima volta in appello le rende tardive e inammissibili per la violazione del principio del ‘ius novorum’, che vieta di presentare nuove domande o prove in secondo grado.

Senza la prova del demansionamento, è possibile chiedere il risarcimento per altri danni, come quello alla professionalità?
No. La Corte chiarisce che il risarcimento del danno (alla professionalità, esistenziale, ecc.) è una conseguenza della prova di un fatto illecito, che in questo caso è il demansionamento. Se non si prova l’esistenza del demansionamento, viene a mancare il presupposto per qualsiasi richiesta risarcitoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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