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Demansionamento pubblico impiego: la prova del danno

Un dipendente pubblico ha citato in giudizio un Comune per demansionamento pubblico impiego a seguito della revoca della sua posizione organizzativa. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. Ha stabilito che nel pubblico impiego l’equivalenza delle mansioni è formale, basata sulla categoria contrattuale, e non sulla professionalità acquisita. Fondamentalmente, la Corte ha ribadito che il danno da demansionamento non è automatico (in re ipsa) ma deve essere specificamente allegato e provato dal lavoratore, cosa che in questo caso non è avvenuta.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Demansionamento nel Pubblico Impiego: Non Basta Dirsi Demansionati, Bisogna Provarlo

Il demansionamento nel pubblico impiego è un tema delicato che tocca la dignità e la professionalità dei lavoratori. Tuttavia, la percezione di essere stati dequalificati non è sufficiente per ottenere un risarcimento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini tra la legittima riorganizzazione datoriale e l’illecito svuotamento delle mansioni, sottolineando il ruolo cruciale dell’onere della prova a carico del dipendente. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La Revoca dell’Incarico e l’Accusa di Ritorsione

Un funzionario di un Comune, dipendente dal 1982 e titolare dal 2000 di una posizione organizzativa nell’area economico-finanziaria, si vedeva revocare tale incarico nel 2013. A suo dire, la revoca era ingiustificata e aveva una finalità puramente ritorsiva. Il dipendente lamentava di essere stato vittima di una serie di comportamenti volti a marginalizzarlo, come il trasferimento presso una struttura museale inesistente o l’assegnazione a un nuovo servizio senza gli strumenti per operare. Sostenendo di aver subito un grave demansionamento, chiedeva al Tribunale la condanna dell’Ente a un cospicuo risarcimento danni.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, però, respingevano la sua domanda, ritenendo legittimo l’operato del Comune. I giudici di merito avevano concluso che la revoca della posizione organizzativa e l’assegnazione a nuove funzioni non costituivano demansionamento, in quanto i nuovi compiti erano formalmente equivalenti alla sua categoria di inquadramento.

L’Analisi della Corte sul demansionamento nel pubblico impiego

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando il ricorso del dipendente. Le motivazioni della Corte offrono spunti fondamentali per comprendere la disciplina del demansionamento nel pubblico impiego.

Il Principio dell’Equivalenza Formale

Il punto centrale della decisione risiede nell’applicazione dell’art. 52 del D.Lgs. 165/2001. A differenza del settore privato, dove vige un criterio di equivalenza sostanziale che tiene conto del bagaglio professionale acquisito dal lavoratore, nel pubblico impiego privatizzato il criterio è puramente formale. Ciò significa che il datore di lavoro può assegnare il dipendente a qualsiasi mansione riconducibile alla stessa area e categoria di inquadramento previste dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare la natura e il contenuto delle nuove attività.

Nel caso specifico, essendo il dipendente inquadrato in categoria D5, l’assegnazione a compiti diversi da quelli legati alla posizione organizzativa è stata ritenuta legittima perché rientrante nel perimetro formale della sua qualifica.

Il Danno da Demansionamento Non è Automatico

La Corte ha ribadito un principio consolidato: il danno da demansionamento non è in re ipsa, ovvero non si può presumere automaticamente dall’inadempimento del datore di lavoro. Il lavoratore che chiede il risarcimento ha l’onere di allegare e dimostrare in modo specifico la natura e le caratteristiche del pregiudizio subito.

Il semplice riferimento a un “trentennale rapporto di lavoro e relativa esperienza professionale” è stato giudicato insufficiente. Il dipendente avrebbe dovuto fornire elementi concreti (anche tramite presunzioni) per dimostrare il danno, quali la frustrazione di aspettative di carriera, gli effetti negativi sulle abitudini di vita o il pregiudizio all’immagine professionale. In assenza di una specifica allegazione e prova, la domanda risarcitoria non può essere accolta.

L’Inammissibilità per “Doppia Conforme”

Infine, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il terzo motivo del ricorso, relativo all’omesso esame di un fatto decisivo, applicando il principio della “doppia conforme”. Poiché le sentenze di primo e secondo grado erano giunte alla medesima conclusione basandosi sulla stessa ricostruzione dei fatti, il ricorso in Cassazione per vizi di motivazione era precluso, a meno che il ricorrente non avesse evidenziato specifiche divergenze fattuali tra le due decisioni, cosa che non è avvenuta.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su tre pilastri giuridici. Primo, la prevalenza del criterio di equivalenza formale delle mansioni nel pubblico impiego, che limita la discrezionalità del giudice nel valutare la dequalificazione. Secondo, il rigoroso onere della prova a carico del lavoratore, che deve dimostrare non solo il demansionamento ma anche il danno concreto che ne è derivato. Terzo, l’applicazione di principi processuali come la “doppia conforme”, che limitano l’accesso al giudizio di legittimità quando i giudici di merito hanno concordato sulla ricostruzione dei fatti.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per i dipendenti pubblici. La percezione soggettiva di essere stati dequalificati, anche a seguito della revoca di un incarico prestigioso come una posizione organizzativa, non è sufficiente per ottenere tutela legale. È indispensabile costruire un solido quadro probatorio che dimostri, in modo specifico e circostanziato, sia la dequalificazione rispetto alla categoria di appartenenza (un’ipotesi difficile data l’equivalenza formale), sia e soprattutto le conseguenze dannose sul piano professionale, personale e biologico. Senza questa prova, anche la condotta datoriale più discutibile rischia di non trovare sanzione in sede giudiziaria.

Nel pubblico impiego, la revoca di una posizione organizzativa è sempre demansionamento?
No. Secondo la Corte, la revoca di una posizione organizzativa non integra di per sé un demansionamento se al dipendente vengono assegnate altre funzioni riconducibili al medesimo livello di inquadramento formale previsto dal contratto collettivo.

Per ottenere un risarcimento per demansionamento, è sufficiente dimostrare di essere stati assegnati a compiti meno prestigiosi?
No, non è sufficiente. Il dipendente deve allegare e provare in modo specifico la natura e le caratteristiche del pregiudizio subito. Il semplice svuotamento di mansioni o l’assegnazione a compiti diversi, anche se percepiti come meno qualificanti, non genera un diritto automatico al risarcimento.

Cosa significa che il danno da demansionamento non è “in re ipsa”?
Significa che il danno non si considera automaticamente esistente per il solo fatto che si sia verificato l’inadempimento del datore di lavoro (il demansionamento). Il lavoratore che si ritiene danneggiato deve fornire la prova concreta del pregiudizio subito alla sua professionalità, alla sua immagine o alla sua salute, anche attraverso presunzioni basate su elementi precisi e concordanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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