Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26140 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 26140 Anno 2025
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10362-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale PEC come da registri di giustizia;
– ricorrente –
contro
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale PEC come da registri di giustizia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2070/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/10/2020 R.G.N. 3695/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/09/2025 dal Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME.
Oggetto
Demansionamento -Risarcimento danni anche da perdita di chance.
R.G.N. 10362/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 09/09/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Latina, in funzione di giudice del lavoro, COGNOME NOME esponeva che in virtù di precedente sentenza n. 2254/2007 del medesimo Tribunale era stata accertata l’illegittimità del suo trasferimento dalla Regione di Lazio al Comune di Cisterna di Latina e disposta la reintegrazione presso la Regione nel medesimo posto di lavoro prima ricoperto, rimarcava che tale riammissione avveniva solo all’esito di azione esecutiva in data 19.10.2007. Alla luce di tale premessa rappresentava che l’illegittimo trasferimento era stato causa del suo demansionamento, impedendogli di svolgere le pregresse mansioni di responsabilità e coordinamento per il programma regionale triennale per il miglioramento della produzione oleica, in quanto gli venivano assegnate le mere mansioni di addetto allo sportello.
Sottolineava che l’ingiustificato lasso di tempo intercorso tra la notificazione della sentenza e l’effettiva riammissione presso la Regione palesava un comportamento illegittimo e mobbizzante e concludeva, quindi, chiedendo la condanna della Regione al risarcimento del danno esistenziale, morale, professionale, alla carriera e da perdita di chance , oltre che del biologico, da liquidarsi nella misura richiesta o in quella quantificata previa CTU.
Nella resistenza della Regione, che eccepiva in primo luogo il proprio difetto di legittimazione passiva, il Tribunale rigettava ogni domanda e la sentenza di primo grado veniva integralmente confermata in appello.
Propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, il lavoratore.
Resiste con controricorso la Regione Lazio.
Il ricorrente in cassazione deposita altresì memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.
Nel mezzo viene rimarcato che la sentenza di appello non avrebbe tenuto in debito conto che il lavoratore non ha chiesto di percepire una retribuzione economica superiore al suo inquadramento, né ha dedotto di essere stato adibito presso il Comune di Cisterna di Latina, dove era stato illegittimamente trasferito, a mansioni e funzioni non riconducibili al suo inquadramento professionale, quanto piuttosto la perdita di chance cagionata dall’illegittimo trasferimento, dovuta alla perdita del ruolo svolto presso la Regione Lazio di incaricato, in qualità coordinatore tecnico di zona, dei controlli, nell’ambito del Reg. CE n. 528 del 1999, relativi al miglioramento della produzione oleica (ruolo che giammai poteva essere svolto presso un Comune, non essendo delegabile dalla Regione al Comune).
La particolarità della prestazione resa dal lavoratore -viene ulteriormente rimarcato nel motivo -rende evidente il demansionamento dallo stesso subito in virtù del trasferimento disposto dalla Regione Lazio, atteso che presso il Comune di Cisterna di Latina è stato destinato ad attività di sportello.
Con il secondo mezzo è denunziata ancora la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360 n. 3, comma 1, c.p.c., sebbene sotto altro profilo.
Il ricorrente evidenzia di non aver intentato alcun giudizio di dequalificazione professionale contro il Comune di Cisterna di Latina, lamentando, invece, il demansionamento posto in essere dalla Regione che, nel trasferirlo presso l’Ente locale innanzi indicato, gli sottraeva le mansioni in precedenza espletate.
Rappresenta ancora di non aver mai denunziato di non essere stato adibito funzioni e mansioni equivalenti al suo inquadramento e profilo professionale, poiché il Comune di Cisterna ha rispettato l’inquadramento di provenienza, lamenta, tuttavia, la mancata attribuzione delle medesime mansioni e funzioni svolte presso la Regione Lazio (che, in ragione di quanto innanzi dedotto, non potevano essergli conferite).
2.1. I primi due motivi che possono essere esaminati congiuntamente in quanto involgono profili della medesima questione, sebbene, come anticipato, sotto angoli prospettici diversi, sono, prima ancora che infondati, inammissibili.
2.2. Nella sentenza di appello ( cfr. pag. 3 della pronunzia impugnata) è dato atto e l’affermazione è ribadita nel ricorso per cassazione – che il lavoratore non è mai stato adibito a funzioni e mansioni non riconducibili al suo inquadramento e profilo professionale, perché il Comune ha rispettato il suo profilo di provenienza.
2.3. Ebbene, proprio in tema di demansionamento, questa Corte ha anche di recente di rimarcato che ‘ in tema di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice
possa sindacare la natura equivalente della mansione, non potendosi avere riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 c.c.’ ( cfr. Cass. n. 1665/2024).
2.4. Dunque, come già sottolineato ampiamente nella sentenza di appello ( cfr. in particolare pag. 3 in fondo e pag. 4) l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 assegna rilievo al solo criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, da valutarsi con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, prescindendo dagli specifici contenuti professionali, sicché il giudice non può in alcun modo sindacare sotto tale profilo la natura equivalente delle mansioni assegnate, non trovando applicazione la norma generale di cui all’art. 2103 c.c. ( cfr. Cass. n. 22026/2022 e la giurisprudenza di questa Corte ivi richiamata).
Quindi, il giudice deve arrestarsi di fronte alle scelte delle parti contrattuali di collocare nella medesima area i diversi profili professionali.
2.5. Alla luce di tali principi, incontestato come evidenziato in premessa, che il lavoratore non sia mai stato adibito a mansioni o funzioni non riconducibili al suo inquadramento professionale (rispettato, quindi, l’inquadramento in cat. C4), ecco che le prime due doglianze, prima ancora che infondate, sono, come già anticipato, inammissibili in quanto con detto tratto della motivazione non si confrontano affatto.
A tanto va aggiunto, breviter, che una volta che le ragioni del rigetto profilato in sentenza si incentrano sulla mancanza del dedotto comportamento illegittimo (il demansionamento) resta del tutto irrilevante che esso sia (nella prospettazione della parte ricorrente) addebitato alla Regione Lazio o al Comune di Cisterna di Latina.
2.6. Il Collegio evidenzia inoltre, sempre sulla scorta del consolidato insegnamento di questa S.C., che in tema di lavoro pubblico negli enti locali, al conferimento dell’incarico di posizione organizzativa in favore di un dipendente (nella specie veniva in rilievo la posizione di un lavoratore inquadrato nella posizione D3 del c.c.n.l. del 31 marzo 2009 comparto Regioni ed Autonomie locali) non può attribuirsi alcun rilievo di apicalità in termini di mansioni.
Il conferimento di posizione organizzativa si differenzia, infatti, dalle altre posizioni della categoria D, non caratterizzate dallo svolgimento di compiti di responsabilità di un servizio, solo sotto il profilo economico. Detto incarico non determina, infatti, un mutamento di profilo professionale, bensì soltanto di funzioni, comportanti unicamente l’attribuzione di una posizione di responsabilità con correlato beneficio economico, funzioni che cessano alla naturale scadenza dell’incarico, di modo che, il mancato rinnovo dello stesso costituisce una facoltà del datore di lavoro pubblico e non può dar luogo a demansionamento (così, tra le altre, Cass. n. 22405/2022).
Conclusivamente, quanto al dedotto demansionamento ed al preteso risarcimento del danno conseguenziale a detta condotta, le doglianze sono del tutto inammissibili non confrontandosi con la motivazione della Corte territoriale che, in conformità con i principi di cui innanzi, rigettava ogni domanda.
Nei primi due motivi di ricorso, come si è innanzi già illustrato, il lavoratore si limita, infatti, a reiterare la domanda di risarcimento da demansionamento sostenendo -di fatto -che il demansionamento è stato cagionato dal mero trasferimento dalla Regione al Comune di Cisterna di Latina,
perché, pur essendogli stati attribuiti compiti riconducibili al suo inquadramento professionale di provenienza – C4 – la mancata attribuzione delle mansioni svolte presso la Regione Lazio di ‘responsabile del programma regionale per il miglioramento della produzione oleica’, aveva comportato l’attribuzione di compiti demansionanti.
Tale argomento viene ulteriormente sostenuto anche nella memoria di discussione depositata dal ricorrente in cui si argomenta che -nel caso di specie l’equivalenza delle mansioni deve sussistere ‘in concreto’ a prescindere dalle valutazioni convenzionali e che la relativa indagine va effettuata, non in base ad un criterio formalistico, ma al contenuto delle prestazioni svolte.
E’ evidente, dunque, l’inammissibilità delle doglianze articolate nei primi due motivi che non si confrontano affatto con la motivazione della sentenza di appello e con i principi in essa espressi, in conformità con l’insegnamento della S.C. in tema di equivalenza delle mansioni (innanzi richiamato).
Con la terza ed ultima doglianza è lamentata la violazione del diritto al risarcimento da perdita di chance e la violazione dell’art. 1226 c.c.
Premesso che la prova del danno da perdita di chance si rinviene nella dimostrazione delle concrete possibilità di conseguire l’utilità finale che è sfumata a causa di un illecito o di un inadempimento, si sostiene che, nel caso che ci occupa, detto danno è stato determinato dalla Regione Lazio in conseguenza del trasferimento illegittimo che ha provocato al dipendente la perdita della chance di conseguire un’alta professionalità nel campo oleico a livello europeo, danno che il giudice di merito ben avrebbe potuto liquidare ai sensi dell’art. 1226 c.c.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Dalla lettura della sentenza di appello emerge che il risarcimento del danno da perdita di chance dedotto dal dipendente era ancorato alla allegazione della mancata partecipazione ad un concorso cat. D. 1.
L’annullamento di detto concorso, accertato in sede di merito, per la Corte territoriale consentiva di escludere in radice vi fosse un danno da perdita di chance ( cfr. sentenza di appello pag. 4 in fondo).
Il danno da perdita di chance rivendicato nel ricorso per cassazione, invece, muove da premesse diverse ed attiene, invece, ad un differente profilo, ovvero l’impossibilità per il ricorrente in cassazione, in conseguenza del trasferimento presso il Comune di Cisterna, di conseguire un ‘alta professionalità nel campo oleico a livello europeo.
Detta domanda si profila allora nuova, non risultando l’esame della stessa nella sentenza di appello.
Ne consegue, si osserva breviter, che il motivo è, in primo luogo inammissibile, in quanto, al fine del rispetto del principio di autosufficienza, la parte ricorrente in cassazione avrebbe dovuto dedurre ove nel ricorso ex art. 414 c.p.c. detta domanda era stata formulata e poi reiterata in appello. È altresì inammissibile, perché non si confronta affatto con le ragioni di rigetto poste a fondamento della decisione dalla Corte territoriale che, come si è innanzi illustrato ( cfr. punti da 2.3 in poi), nel solco dell’insegnamento di questa S.C. ha escluso del tutto una condotta illecita di demansionamento, di modo che alcun risarcimento del danno può essere evidentemente essere maturato.
L’assenza di un danno risarcibile rende altresì inconferenti, non cogliendo il decisum, le doglianze svolte nel mezzo in
relazione alla mancata attivazione dei poteri di liquidazione officiosa.
Conclusivamente il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, negata, tuttavia, la richiesta di liquidazione da parte della Regione Lazio degli oneri riflessi (fatta propria dal nuovo difensore nel richiamare i precedenti scritti difensivi) , perché detti oneri contributivi sono posti a carico dei dipendenti cui vengono distribuiti gli importi riconosciuti a titolo di rimborso spese, sicché trattandosi di somme che attengono al rapporto retributivo del difensore con il proprio ente, è evidentemente infondata la pretesa di ottenerne la restituzione a carico della parte soccombente (in tal senso cfr. la recentissima Cass. n. 4399/2025, nonché Cass. n. 3242/2024 e ancora Cass. n. 7499/2023).
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione Lavoro il 9 settembre 2025.
La Presidente NOME COGNOME