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Demansionamento pubblico impiego: la decisione chiave

Un dipendente pubblico, trasferito illegittimamente e poi reintegrato, ha citato in giudizio l’ente per demansionamento pubblico impiego, lamentando l’assegnazione a compiti meno qualificanti. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che nel pubblico impiego rileva solo l’equivalenza formale delle mansioni, ovvero l’inquadramento contrattuale, e non la professionalità concreta acquisita. Di conseguenza, non essendoci un illecito, è stata negata anche la richiesta di risarcimento per perdita di chance.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Demansionamento Pubblico Impiego: Conta Solo l’Inquadramento Formale

Il tema del demansionamento pubblico impiego è cruciale per migliaia di lavoratori statali e degli enti locali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per valutare un’eventuale dequalificazione professionale, l’unico criterio valido è quello dell’equivalenza formale delle mansioni, basato sulla classificazione prevista dai contratti collettivi. La professionalità acquisita sul campo, per quanto specifica e di alto livello, non assume rilievo. Vediamo nel dettaglio i fatti e le motivazioni di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Un dipendente di un ente regionale, con un ruolo di responsabilità e coordinamento tecnico in un programma per la produzione oleica, veniva trasferito presso un Comune. Il trasferimento veniva successivamente dichiarato illegittimo da un tribunale, che ne ordinava la reintegrazione presso l’ente di provenienza. Nonostante la reintegrazione, il lavoratore lamentava di essere stato adibito a semplici mansioni di sportello, ben lontane dalle sue precedenti responsabilità.

Per questo motivo, avviava una nuova causa per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal demansionamento pubblico impiego, inclusi il danno esistenziale, morale, professionale e da perdita di chance. Tuttavia, sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello respingevano le sue richieste. Il lavoratore decideva quindi di ricorrere in Cassazione.

Demansionamento Pubblico Impiego: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito. Il cuore della decisione si basa sulla netta distinzione tra lavoro pubblico e privato in materia di mansioni.

La Corte ha sottolineato che, nel settore del pubblico impiego privatizzato, l’articolo 52 del D.Lgs. 165/2001 assegna rilievo esclusivamente al criterio dell’equivalenza formale. Questo significa che il giudice deve limitarsi a verificare se le nuove mansioni rientrano nella stessa categoria e area professionale previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) di riferimento. Nel caso specifico, il lavoratore non era mai stato adibito a mansioni non riconducibili al suo inquadramento (categoria C4).

Non è possibile, quindi, per il giudice sindacare il contenuto concreto delle prestazioni o la perdita della professionalità specifica acquisita nel tempo, a differenza di quanto avviene nel settore privato, dove l’articolo 2103 del Codice Civile protegge anche il bagaglio professionale del lavoratore.

La Questione della Perdita di Chance

Anche la domanda di risarcimento per perdita di chance è stata respinta. La Cassazione ha rilevato due profili di inammissibilità. In primo luogo, la richiesta avanzata in Cassazione (perdita della possibilità di acquisire un’alta professionalità a livello europeo nel campo oleico) era diversa da quella originaria (mancata partecipazione a un concorso, peraltro poi annullato).

In secondo luogo, e in modo ancora più decisivo, la Corte ha stabilito che, non essendo stata ravvisata alcuna condotta illecita da parte dell’amministrazione (poiché non c’è stato demansionamento), non può sussistere alcun danno risarcibile. Senza un comportamento illegittimo a monte, non può esserci una conseguenza dannosa da liquidare.

Le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il principio cardine è che, nel pubblico impiego, le parti contrattuali (sindacati e amministrazione) hanno già definito, tramite i contratti collettivi, quali profili professionali sono da considerarsi equivalenti collocandoli nella medesima area. Il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella delle parti sociali, sindacando la natura equivalente della mansione.

L’ordinanza ha inoltre chiarito che il conferimento di un incarico di posizione organizzativa non modifica il profilo professionale del dipendente, ma rappresenta solo l’attribuzione temporanea di funzioni di responsabilità con un correlato beneficio economico. La mancata riconferma di tale incarico, pertanto, rientra nella facoltà del datore di lavoro pubblico e non costituisce demansionamento.

Le conclusioni

La decisione riafferma una regola chiara per il demansionamento pubblico impiego: un lavoratore può lamentare una dequalificazione solo se viene assegnato a compiti appartenenti a un’area contrattuale inferiore. Qualsiasi variazione di mansioni all’interno della stessa categoria, anche se comporta la perdita di compiti di responsabilità o di elevata specializzazione, è considerata legittima. Questa pronuncia conferma la minore tutela della professionalità acquisita nel settore pubblico rispetto a quello privato, con importanti implicazioni per le eventuali richieste di risarcimento danni da parte dei dipendenti.

Nel pubblico impiego, come si valuta se un lavoratore ha subito un demansionamento?
Si valuta esclusivamente secondo il criterio dell’equivalenza formale, verificando che le mansioni assegnate rientrino nella classificazione prevista in astratto dal contratto collettivo (CCNL) per la categoria di inquadramento del dipendente. Non si tiene conto del contenuto concreto delle mansioni o della professionalità acquisita sul campo.

Un dipendente pubblico può chiedere un risarcimento se gli vengono tolte mansioni di responsabilità per assegnargli compiti più semplici, pur rimanendo nella stessa categoria contrattuale?
No. Secondo la sentenza, finché le nuove mansioni rientrano nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, non si configura un demansionamento illegittimo. La perdita di responsabilità o di incarichi specifici, come una posizione organizzativa, non dà diritto a risarcimento.

Quando è risarcibile la perdita di chance per un dipendente pubblico?
La perdita di chance è risarcibile solo se è la conseguenza diretta di una condotta illecita del datore di lavoro. Se, come nel caso esaminato, la Corte esclude che vi sia stato un demansionamento (e quindi un illecito), non può esserci alcun risarcimento per le opportunità perse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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