Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30480 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 30480 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1626/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Ministro pro tempore , domiciliato ope legis in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME , elettivamente domiciliate in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che l e rappresenta e difende
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato -Demansionamento -Assistenti fascia F3 presso Galleria Uffizi
R.G.N. 1626/2020
Ud. 07/11/2024 CC
-controricorrenti –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 296/2019 depositata il 03/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 07/11/2024 dal AVV_NOTAIO
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 296/2019, depositata in data 3 luglio 2019, la Corte d’appello di Firenze ha accolto l’appello principale proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME mentre ha respinto l’appello incidentale proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 661/2017, pubblicata in data 6 luglio 2017.
Quest’ultima aveva accertato che le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato del RAGIONE_SOCIALE con funzioni ‘assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza’, di seconda Area fascia economica F3 erano state adibite sin dall’assunzione a mansioni corris pondenti alla qualifica inferiore di ‘operatore alla custodia, vigilanza ed accoglienza’, di seconda Area, fascia economica F1, ed aveva, conseguentemente, condannato l’Amministrazione ad assegnare alle lavoratrici mansioni confacenti alla qualifica rivestita ed a risarcire loro il danno sofferto, liquidato equitativamente nel 10% delle retribuzioni dell’intero periodo.
La Corte territoriale ha esaminato in primo luogo l’appello incidentale del RAGIONE_SOCIALE e, dopo avere richiamato l’Accordo OO.SS. del 20 dicembre 2010 e l’Accordo locale Amministrazione -Sindacato dell’8 aprile 2011, ha condiviso le conclusioni del giudice di prime cure in ordine alla diversità delle due figure professionali di ‘assistente alla fruizione, accoglienza e vigilanza’, da un lato, e ‘operatore alla
custodia, vigilanza ed accoglienza’, dall’altro, osservando che le stesse si differenziano non solo per i compiti più qualificati affidati alla prima figura ma anche perché per nell’ambito degli stessi compiti di vigilanza, il ruolo della prima figura è diverso rispetto a quello della seconda, atteso che quest’ultima svolge compiti meramente esecutivi, mentre gli assistenti svolgono anche una serie di compiti non esecutivi con profili anche di organizzazione e salvaguardia di edifici, personale e visitatori.
Ritenuto provato il fatto che le due lavoratrici sin dall’assunzione nel maggio 2010 avessero svolto compiti propri della qualifica inferiore e solo in via marginale i compiti della qualifica di spettanza, la Corte d’appello ha escluso che l’accordo sindacale decentrato dell’8 aprile 2011 potesse derogare alla norma imperativa di cui all’art. 52, D. Lgs. n. 165/2001, e quindi autorizzare la sistematica attribuzione di mansioni inferiori, e che simili esiti potessero trovare giustificazione in superiori interessi di natura pubblica.
Disatteso l’appello incidentale relativo all’ an della pretesa delle lavoratrici, la Corte d’appello ha invece accolto l’appello incidentale concernente il quantum del risarcimento spettante alle lavoratrici medesime, ritenendo, anche sulla scorta di propri precedenti in similari controversie, che la durata pluriennale del demansionamento e la deprivazione pressoché totale delle mansioni di qualifica giustificassero la commisurazione del danno al 25% – anziché al 10% – della retribuzione percepita.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Firenze ricorre ora il RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le controricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’unico motivo di ricorso il RAGIONE_SOCIALE deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 2103, cod. civ., nonché dell’art. 1 del d.l. n. 146 de l 2015, conv., con mod., con legge n. 182 del 2015, dell’art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990.
Argomenta, in particolare, il ricorso che le mansioni svolte dalle lavoratrici, in prevalenza ma non in via esclusiva, sono ricomprese nel loro profilo professionale, come espressamente previsto dall’Accordo RAGIONE_SOCIALE-OO.SS del 20 dicembre 2010, concernente l ‘individuazione dei nuovi profili professionali.
Deduce che le attività inerenti ad ogni specifica professionalità, per come definita in sede di contrattazione tra il Ministero e le organizzazioni sindacali, rappresentano in verità solo il perimetro all’interno del quale il datore di lavoro può muoversi nell’assegnazione delle specifiche mansioni ad ogni singolo dipendente, le quali sono attribuite normalmente con un ordine di servizio.
A rilevare, quindi, secondo il ricorso, sarebbe la circostanza che le mansioni in concreto conferite a un lavoratore siano previste all’interno dello specifico profilo professionale di appartenenza, mentre non sarebbe necessario che al dipendente vengano attribuite tutte le competenze del profilo medesimo.
Argomenta, conseguentemente, il RAGIONE_SOCIALE che non vi sarebbe stato demansionamento poiché le mansioni svolte dalle
lavoratrici erano previste nel profilo professionale e non vi era il diritto delle lavoratrici medesime a vedersi assegnate mansioni ulteriori del proprio profilo professionale.
Il ricorso invoca criteri di funzionalità dell’azione amministrativa e obiettivi di efficienza ed efficacia (artt. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 e art. 1 della legge n. 241 del 1990) che portano a ritenere ragionevole il principio che tutti non possono fare tutto, e che possano essere assegnate solo alcune delle mansioni del profilo di appartenenza.
Con riferimento ai compiti di sorveglianza, custodia e protezione degli ambienti, il RAGIONE_SOCIALE evidenzia che l’art. 1, D.L. n. 146/2015, attribuisce priorità all’attività di sorveglianza, custodia e protezione degli ambienti museali e delle opere d’arte in essi contenuti, su qualsiasi diversa attività dell’Amministrazione, e che solo una volta garantita questa priorità istituzionale gli assistenti possono essere adibiti ad attività ulteriori e diverse dall’apertura dei musei, secondo una specifica intesa tra Amministrazione e OO.SS. del 2 aprile 2011.
Il ricorrente, infine, rileva che -secondo il sistema classificatorio delineato dall’art. 6, CCNL Comparto ministeri 2006 -2009 del 14 settembre 2007 – gli operatori di vigilanza appartengono alla medesima Area II in cui sono inquadrati gli assistenti; e che, ai sensi del medesimo art. 6 CCNL, ogni dipendente è tenuto a svolgere le mansioni considerate professionalmente equivalenti all’interno dell’Area, salve quelle per il cui espletamento sono richieste specifiche competenze, con la conseguenza che, propr io ai sensi dell’art. 52, D. Lgs. n. 165/2001, non potrebbe sussistere demansionamento.
In conclusione -come chiarito dalla sintesi del motivo di ricorso offerta dallo stesso RAGIONE_SOCIALE l’Amministrazione censura la sentenza di appello per aver considerato come sussistente un demansionamento delle lavoratrici, per essere state le stesse adibite a
mansioni che, pur essendo appartenenti anche a un diverso profilo inferiore, fanno comunque parte del loro stesso profilo per essere comuni alla medesima Area di appartenenza, senza necessità che in ogni caso sia obbligo del datore di lavoro pubblico adibire il lavoratore a tutte le mansioni contenute nello specifico profilo di appartenenza
2. Le controricorrenti, sia nel controricorso sia nella memoria ex art. 380bis. 1 c.p.c. contestano la fondatezza del motivo di ricorso, argomentando che lo stesso CCNL viene ad escludere la omogeneità tra i profili compresi nella II Area del medesimo CCNL, evidenziando, in particolare, l’Accordo Allegato A, del medesimo CCNL, delinea due tipologie di lavoratori ben distinte tra loro – il profilo F3 ed il profilo F2 – con requisiti culturali e professionali sensibilmente diversi (F1 con titolo di accesso consistente nel diploma di scuola media; F3 con titolo di accesso consistente nel diploma di scuola superiore) al punto che anche all’interno della medesima Area il passaggio da un profilo all’altro può realizzarsi solo in presenza dei requisiti culturali e professionali previsti dall’Allegato A .
Assumono le originarie ricorrenti che, alla luce della oggettiva diversità che caratterizza le due suindicate ‘categorie’ di lavoratori, che ha condotto le parti sociali a rendere ben marcate, a livello sistematico, le differenze tra essi esistenti, il principio di equivalenza formale delle mansioni invocato dal ricorrente Ministero potrebbe trovare applicazione unicamente tra profili professionali ricompresi nella medesima ‘categoria’, in quanto tra loro ‘omogenei o affini’ nell’accezione di cui all’art. 6 , comma 3, CCNL Ministeri 2007.
Ad avviso delle lavoratrici, pertanto, il suindicato principio di equivalenza formale non potrebbe essere invocato nella specie con riferimento a profili professionali appartenenti alle due diverse
‘categorie’ suindicate, stante la non omogeneità tra le tipologie di lavoratori appartenenti a ciascuna di esse.
Nella memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., le ricorrenti, consapevoli degli orientamenti già espressi da questa Corte in materia, si diffondono in una critica degli orientamenti medesimi, in via subordinata sollecitando questa Corte a sollevare questione di l egittimità costituzionale dell’art. 52, D. Lgs. n. 165/2001 .
3. Il ricorso è fondato.
Questa Corte intende dare continuità all’orientamento recentemente espresso con una serie di decisioni (Cass. Sez. L Ordinanza n. 1665 del 16/01/2024 e le successive Cass. Sez. L, Ordinanza n. 1669 del 2024; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 19990 del 2024; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 26084 del 2024), riproponendo anche nella presente sede le argomentazioni poste alla base di tale orientamento.
Il CCNL 16 febbraio 1999, nel disegnare un nuovo sistema di classificazione del personale del comparto Ministeri, aveva accorpato le nove qualifiche funzionali nelle tre aree A, B e C e aveva previsto la collocazione all’interno di ciascuna area di profili professionali, che potevano essere ricondotti a posizione economiche diverse se «caratterizzati da mansioni e funzioni contraddistinte da differenti gradi di complessità e di contenuto» (art. 13 comma 3).
L’art. 13 del CCNL stabiliva che l’inquadramento dovesse avvenire nell’area e nella posizione economica, secondo le corrispondenze previste dalle parti collettive, e aggiungeva, al comma 4, che ogni dipendente era tenuto a svolgere «tutte le mansioni considerate equivalenti nel livello economico di appartenenza nonché le attività strumentali e complementari a quelle inerenti lo specifico profilo attribuito» .
In quel sistema solo le posizioni ‘super’ costituivano meri sviluppi economici all’interno delle aree (art. 17) e, pertanto, non venivano prese in considerazione ai fini dello svolgimento di mansioni superiori che, secondo la disciplina dettata dall’art. 2 4, si configurava in caso di assegnazione al dipendente di compiti che, all’interno della stessa area, erano riconducibili «alla posizione di livello economico immediatamente superiore a quella in cui egli è inquadrato, secondo la declaratoria riportata nell’allegato A», e, per i lavoratori inquadrati nell’ultima posizione economica dell’area di appartenenza, in relazione allo svolgimento di mansioni proprie della «posizione economica iniziale dell’area immediatamente superiore».
Il CCNL 14 settembre 2007 ha ridisegnato il sistema di classificazione del personale confermando le tre aree di inquadramento, nelle quali sono confluite le ex posizioni economiche (art. 6, comma 1), e, al fine di realizzare l’obiettivo della massima flessibilità nella gestione delle risorse umane (art. 5), ha previsto che le aree «corrispondono a livelli omogenei di competenze, conoscenze e capacità necessarie per l’espletamento di una vasta e diversificata gamma di attività lavorative» (art. 6, comma 2), con la conseguenza che «ogni dipendente è tenuto a svolgere le mansioni considerate professionalmente equivalenti all’interno dell’area, fatte salve quelle per il cui espletamento siano richieste specifiche abilitazioni professionali» (art. 6, comma 5).
All’interno delle tre aree sono collocati profili professionali definiti in base ai settori di attività, secondo le indicazioni contenute nell’art. 8, ispirato al «superamento dell’eccessiva parcellizzazione del precedente sistema, attraverso la costituzione di profili che comprendano al proprio interno attività tra loro simili e riconducibili ad
una tipologia lavorativa comune, pur nel rispetto della differenziazione dei contenuti tecnici» (art. 8, comma 2, n. 1).
L’esigenza di semplificazione viene assicurata attraverso l’individuazione di «profili unici con riferimento ai contenuti delle mansioni» (art. 8, comma 2, n. 2) che, a differenza del regime previgente, ricomprendono «sia il profilo di base che quello o quelli più evoluti comunque appartenenti ad una medesima famiglia professionale o riconducibili ad una stessa tipologia lavorativa» (art. 8, comma 3).
In ragione dell’affermata omogeneità delle competenze, conoscenze e capacità richieste per l’inquadramento in ciascuna area, la declaratoria allegata al contratto descrive le specifiche e i contenuti professionali per l’accesso alle tre aree, superando le precedenti diversificazioni all’interno dell’area stessa, con la conseguenza che nel nuovo sistema le fasce retributive rappresentano mere progressioni economiche riconosciute «in relazione all’arricchimento professionale conseguito dai dipendenti nello svolgimento della propria attività» (art. 6, comma 8) e, quindi, non implicano una diversità di contenuto delle mansioni assegnate.
In tal modo, le parti collettive, in ragione degli obiettivi dichiarati nell’art. 5, hanno disegnato, nel rispetto della competenza alle stesse attribuita dagli artt. 2, 40 e 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2009, un sistema di inquadramento, non dissimile da quello previsto per il comparto degli enti pubblici non economici (in relazione al quale si rimanda a Cass., Sez. L, n. 29624 del 14 novembre 2019), improntato al criterio della massima flessibilità all’interno dell’area, ritenuta espressiva di livelli omogenei di competenze, conoscenze e capacità, e
ciò giustifica la diversità della formulazione dell’art. 6, comma 5, del CCNL 2007 rispetto all’art. 13, comma 4, del CCNL 1999.
Se si compara il testo originario dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 con quello risultante all’esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2009, si può dire che la tornata contrattuale 2006/2009 ha anticipato la riscrittura della norma di legge, che, nella versione aggiornata, fa esclusivo riferimento all’area e considera qualifica superiore acquisita dopo l’originario inquadramento solo quella ottenuta a seguito del superamento delle procedure di cui all’art. 35, comma 1, lett. a), «non già quella, valorizzata dal testo originario della norma, conseguente allo ‘sviluppo professionale’ » .
L’art. 10 del CCNL ha, poi, dettato una complessa disciplina del passaggio dall’uno all’altro sistema e ha previsto, innanzitutto, al comma 1, che già dalla data di entrata in vigore del contratto «il personale in servizio … è inquadrato nel nuovo sistema di classificazione con effetto automatico dalla stessa data mediante il riconoscimento all’interno di ciascuna area della posizione economica già conseguita nell’ordinamento di provenienza e la collocazione nella fascia retributiva corrispondente secondo la tabella di trasposizione B» .
Si prevede, altresì, che le procedure di selezione in corso saranno portate a compimento sulla base del regime previgente e, all’esito, il nuovo inquadramento avverrà tenendo conto delle corrispondenze indicate al comma 1 (commi 2 e 4) e, quanto alle dotazioni organiche, si stabilisce che «i contingenti delle originarie posizioni economiche di cui al precedente sistema di classificazione, sono portati alla posizione di accesso in ogni profilo in applicazione dell’art. 6, comma 6» .
Infine, si legittimano le amministrazioni ad effettuare, in via prioritaria e con le procedure previste dal CCNL per il passaggio di area,
«la ricomposizione dei processi lavorativi per i profili della medesima tipologia lavorativa articolati su aree diverse» .
La tabella B allegata al contratto, in armonia con la declaratoria delle aree (che accorpa le posizioni di livello economico A, A1, A1S B1, B2, B3, B3S – C1, C1S, C2, C3 e C3S) prevede la corrispondenza fra aree e posizioni economiche del precedente sistema di classificazione, da un lato, e, dall’altro, aree e ‘fasce retributive all’interno delle aree’, corrispondenza evidentemente realizzata tenendo conto di quegli stessi obiettivi imposti alla contrattazione integrativa dall’art. 8, comma 2, n. 5, ossia della necessità di «garantire il rispetto dell’inquadramento già acquisito nel sistema di classificazione, nonché di evitare che il personale appartenente ad una posizione giuridico-economica inferiore venga inquadrato in una posizione retributiva più elevata con conseguente aggravio di spesa» .
Dal complesso delle disposizioni contrattuali sopra richiamate e, in particolare dal chiaro tenore dell’art. 10, comma 1, si desume che le parti collettive hanno ritenuto pienamente operante il nuovo sistema di classificazione sin dalla data di entrata in vigore del contratto, tanto che hanno ancorato a quella data la trasposizione di cui alla tabella B.
La disposizione finale posta in calce all’allegato A, contenente la descrizione delle specifiche professionali e dei contenuti di base delle tre aree, secondo cui «sino all’applicazione dell’art. 7 (profili professionali), i dipendenti rimangono inquadrati nei profili professionali previsti dalla contrattazione integrativa ai sensi dell’art. 13 del CCNL del 16 febbraio 1999, oppure, qualora la contrattazione integrativa non vi abbia ancora provveduto, quelli di cui al DPR del 29 dicembre 1984, n. 1219 e dal DPR 17 gennaio 1990, n. 44, allegati 1, 2 e 3.» , deve essere interpretata alla luce della disciplina dettata dal richiamato art. 10 e sulla stessa non si può fare leva per sostenere
l’ultrattività del precedente sistema, e, a maggior ragione, di quello fondato sulle qualifiche funzionali.
La disposizione, infatti, pur valorizzando i precedenti profili in attesa di una nuova definizione, non incide sul principio, di immediata applicazione, secondo cui i profili collocati nella medesima area esprimono livelli omogenei di competenze, conoscenze e capacità, con la conseguenza che, per i profili in precedenza collocati in posizione economiche diverse, ferma restando la conservazione del livello economico acquisito assicurata dalle tabelle di corrispondenza, non è più configurabile una differenziazione qualitativa fra il profilo base e quello superiore.
Né si può sostenere l’illegittimità del nuovo sistema classificatorio, che comporta evidenti ricadute sulla disciplina dell’assegnazione a mansioni superiori, perché valgono al riguardo i medesimi principi affermati da questa Corte, anche a Sezioni Unite, in relazione al passaggio dall’inquadramento per qualifiche funzionali a quello per aree, in ordine al quale fu precisato che «la materia degli inquadramenti del personale contrattualizzato è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di contrattazione collettiva del settore pubblico, che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme in materia di mansioni concernenti il lavoro subordinato privato. Ne consegue che le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale…» (Cass., SU, n. 16038 del 7 luglio 2010).
Non rileva neppure che la nuova disciplina contrattuale, potenziando l’ambito dello ius variandi attraverso un’estensione dell’equivalenza, riferita all’area anziché alla posizione economica, produca quale effetto che il dipendente possa essere legittimamente
assegnato, senza diritto a maggiorazioni retributive, a svolgere mansioni che nel precedente sistema, in quanto superiori a quelle del livello di inquadramento, avrebbero potuto fondare la richiesta delle differenze economiche fra i due livelli.
Risulta essere principio generale, recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, quello secondo cui «nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei singoli lavoratori, solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non, invece, in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi» (Cass., SU, n. 21972 del 21 settembre 2017 e, negli stessi termini in motivazione, Cass., SU, n. 19164 del 4 luglio 2017).
In relazione allo svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, si è evidenziato che la modificazione della contrattazione è idonea a imporsi anche rispetto alla qualificazione come superiori di determinate mansioni che lo fossero secondo il sistema collettivo previgente, ponendosi quale limite, nonostante la ricorrenza di un rapporto di durata, alla efficacia verso il futuro del pregresso giudicato, perché il diritto deve essere verificato de die in diem e sulla base della contrattazione collettiva vigente nel momento in cui la prestazione viene resa.
Pertanto, la Corte di cassazione ha enunciato il principio per cui «nell’impiego pubblico contrattualizzato, nel quale ai sensi dell’art. 52
d.lgs. n. 165 del 2001 l’assegnazione a mansioni superiori non comporta la definitiva acquisizione della qualifica corrispondente, la materia della classificazione del personale è rimessa alla contrattazione collettiva, alla quale compete anche l’individua zione delle mansioni esigibili da parte del datore di lavoro perché equivalenti a quelle di inquadramento.
Il CCNL 14 settembre 2007 per il personale non dirigenziale del comparto Ministeri ha previsto un nuovo sistema di classificazione improntato a criteri di flessibilità, fondato, da un lato, sulla previsione di aree esprimenti livelli omogenei di competenze, conoscenze e capacità e, dall’altro, sulla sostituzione delle posizioni economiche, che esprimevano un diverso livello di professionalità connesso all’espletamento delle mansioni proprie del profilo, con le fasce retributive, volte a compensare l’arricch imento conseguito dal dipendente nello svolgimento della propria attività.
Nel nuovo sistema, di immediata applicazione, tutte le mansioni all’interno dell’area sono considerate professionalmente equivalenti e sono esigibili dal datore di lavoro ex art. 52 del d.lgs. n. 165/2001» (Cass., Sez. L, n. 29624 del 14 novembre 2019; Cass., Sez. L, n. 33141 del 16 dicembre 2019).
Coerentemente la S.RAGIONE_SOCIALE. ha chiarito che il CCNL del 1° ottobre 2007 per il personale non dirigenziale del comparto enti pubblici non economici, di immediata efficacia, ha previsto un nuovo sistema di inquadramento nel quale tutte le mansioni all’interno dell a medesima area sono considerate professionalmente equivalenti e costituisce esercizio di mansioni superiori solo lo svolgimento di mansioni proprie dell’area immediatamente superiore; ai sensi del CCNL del 16 febbraio 1999 la posizione C5 individua una posizione di mero sviluppo economico all’interno dell’area C che, pertanto, non rileva ai fini dello
svolgimento di mansioni superiori (Cass., Sez. L, n. 21485 del 6 ottobre 2020).
Di recente, in un caso analogo, la cui motivazione qui integralmente si richiama, questa Sezione ha affermato che, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale dell e mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare la natura equivalente della mansione, non potendosi avere riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 c.c. (Cass., Sez. L, n. 1665 del 16 gennaio 2024).
Per l’esattezza, la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato l’illegittimità dell’assegnazione ai dipendenti del RAGIONE_SOCIALE -assunti con il profilo di ‘assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza’ – di mansioni di vigilanza e apertura e chiusura di sale, ambienti, bagni, rientranti nella stessa area di inquadramento del CCNL 2006-2009 del Comparto Ministeri.
Sulla base dei principi esposti deve essere accolto il ricorso proposto.
Non ha pregio alcuno la difesa delle controricorrenti, secondo le quali l’attività di vigilanza ad esse assegnata era meramente esecutiva, come previsto per gli operatori F1, e non qualificata, come stabilito per gli assistenti F3.
Esse affermano che fra le due categorie di lavoratori sarebbe rimasta una differenza sostanziale di mansioni e di titolo di studio, nonostante fossero state entrambe inserite nella stessa area e che, quindi, verrebbero in rilievo due categorie distinte.
Si tratta di considerazioni che, però, contrastano espressamente con i principi sopraenunciati e con la chiara volontà del legislatore di
rimettere alla contrattazione collettiva in via esclusiva la valutazione di omogeneità delle mansioni da ricondurre alle varie aree.
Non avrebbe senso discutere, allora, di categoria, perché ciò riporterebbe alla situazione preesistente e alle ormai superate qualifiche funzionali.
Manifestamente priva di fondatezza è la contestazione della non conformità del diritto vivente di questa Corte in materia all’art. 97 Cost., atteso che, nella specie, si avrebbe un non ottimale utilizzo delle risorse a disposizione della P.A.
Infatti, è proprio tramite la razionalizzazione delle varie prestazioni all’interno di aree più ampie in accordo con la contrattazione collettiva che si evita una diseconomica ripartizione delle qualifiche che ostacola l’efficiente gestione delle risorse.
Le conclusioni in questa sede riproposte non solo replicano già alle deduzioni svolte dalle ricorrenti in memoria 380bis .1 c.p.c. ma valgono anche a palesare la manifesta infondatezza ex art.23 Legge n.87/1953 della questione di legittimità costituzionale sollecitata dalle ricorrenti con riferimento agli artt. 3, 36, 97 e – con riferimento alla Carta Sociale Europea – 117 Cost.
Come in parte già osservato da questa Corte, infatti, in proprio recente provvedimento (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 26084 del 2024):
-c on riferimento al paventato contrasto con l’art.97 Cost., giova richiamare l’interpretazione della disposizione sospetta di incostituzionalità -e dunque: la norma giuridica -compiuta dalle ordinanze sin qui richiamate, ed in particolare dalla interpretazione di sistema compiuta da Cass. 19990/2024 , interpretazione all’esito della quale deve ritenersi che l’art.52 d.lgs. 165/2001, così come interpretato da Cass. 1669/2024 e Cass. 1665/2024 sia funzionale proprio
al perseguimento del principio del buon andamento dell’azione amministrativa, ex art.97 comma primo Cost., in quanto espressione dell’obiettivo di massima flessibilità nella gestione delle risorse umane, ed al tempo stesso della necessità del superamento d ell’eccessiva parcellizzazione del sistema di classificazione del personale antecedente al C.C.N.L. del 2007, in ragione dell’affermata omogeneità delle competenze, conoscenze e capacità richieste per l’inquadramento in ciascuna area.
-con riguardo al dedotto contrasto con l’art. 3 Cost., si deve rilevare che l’interpretazione sin qui tratteggiata dell’art. 52 D. Lgs. n. 165/2001 e videnzia l’assenza di qualunque irragionevole diversità di trattamento, essendo, semmai rimesso alla contrattazione collettiva in via esclusiva il compito di valutare l’ omogeneità delle mansioni da ricondurre alle varie aree;
-con riguardo al dedotto contrasto con l’art. 36 Cost. è sufficiente osservare che nella presente sede non viene in alcun modo in rilievo l’adeguatezza della remunerazione percepita dalle ricorrenti in relazione alla qualifica da esse rivestita, pacifico essendo che la remunerazione da esse percepita risulta corrispondente alla qualifica e ponendosi, semmai, il ben diverso tema -in questa sede escluso -dell’eventuale assegnazione a mansioni inferiori, a retribuzione immutata;
-con riferimento all’ipotizzato contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., avuto riguardo al parametro interposto della Carta Sociale Europea (riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996 e ratificata con legge
n.30/1999), va osservato che il riferimento al lavoro «liberamente intrapreso» -di cui alla Parte I, § 1 ed all’art.1 § 2 della Parte II della Carta -deve interpretarsi solo nel senso del divieto del lavoro forzato o del lavoro coattivo, mentre non può intendersi quale riconoscimento del diritto a svolgere una attività lavorativa gradita al lavoratore, conforme ai suoi desideri ed alle sue aspettative.
Il ricorso deve quindi essere accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, respingendo le domande proposte dalle controricorrenti.
Quanto alle spese del giudizio, si rileva che questa Corte ha enunciato i principi richiamati anche nella presente sede da pochi mesi.
Questa considerazione, unitamente alla constatazione dell’esito favorevole che le ricorrenti avevano avuto nei due gradi di merito, vale a giustificare la compensazione delle spese dell’intero processo.
P. Q. M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., respinge le domande proposte da NOME COGNOME e NOME COGNOME,
c
ompensa integralmente le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione