LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Demansionamento pubblico impiego: Cassazione chiarisce

Un dirigente della Polizia Municipale, rimosso dal suo incarico, ha citato in giudizio il Comune per demansionamento. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 7103/2024, ha respinto il ricorso, chiarendo i criteri per valutare il demansionamento pubblico impiego. La Corte ha stabilito che l’equivalenza delle mansioni va valutata secondo un criterio ‘formale’, basato sulla categoria contrattuale, e non sulla professionalità acquisita. Inoltre, la revoca di un incarico dirigenziale a termine non costituisce automaticamente demansionamento, ma rientra nel principio di turnazione degli incarichi.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Demansionamento nel Pubblico Impiego: Limiti e Criteri secondo la Cassazione

Il tema del demansionamento pubblico impiego è una questione delicata che tocca i diritti dei lavoratori e le prerogative della Pubblica Amministrazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 7103/2024) offre importanti chiarimenti su come valutare l’equivalenza delle mansioni e quali sono i limiti del datore di lavoro pubblico. Questo provvedimento analizza il caso di un dirigente di Polizia Municipale rimosso dal suo incarico, fornendo principi guida fondamentali per casi simili.

Il Caso: Dalla Dirigenza a Mansioni Ridotte

Un dipendente di un Comune, inquadrato in una categoria elevata e dirigente della Polizia Municipale, veniva rimosso dall’incarico. Al suo posto, l’Amministrazione conferiva la dirigenza a un soggetto esterno. L’ex dirigente, ritenendo di essere stato dequalificato e di aver subito un danno professionale e psicologico, si rivolgeva al Tribunale per chiedere il ripristino delle sue funzioni, il pagamento delle differenze retributive e il risarcimento del danno. Le sue richieste venivano respinte sia in primo grado sia in appello, portando la questione fino alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso e le Argomentazioni Difensive

Il ricorrente basava il suo appello in Cassazione su due argomenti principali:

1. L’illegittimità della nomina del successore: Sosteneva che l’affidamento dell’incarico a un soggetto esterno fosse avvenuto senza rispettare le procedure concorsuali previste, rendendo di conseguenza illegittima la sua rimozione.
2. L’errata valutazione del demansionamento: Contestava la decisione della Corte d’Appello, la quale aveva ritenuto irrilevanti i motivi legati alla dequalificazione professionale, senza analizzare nel merito la differenza tra le mansioni dirigenziali precedentemente svolte e quelle, a suo dire inferiori, successivamente assegnate.

Demansionamento pubblico impiego: l’analisi della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, giudicando infondati entrambi i motivi. Per quanto riguarda il primo punto, i giudici hanno chiarito che l’eventuale illegittimità della nomina del nuovo dirigente avrebbe dovuto essere contestata in un giudizio separato e in contraddittorio con il diretto interessato. Tale illegittimità, anche se accertata in via incidentale, non comporta automaticamente l’illegittimità della revoca dell’incarico precedente.

La Valutazione dell’Equivalenza delle Mansioni nel Lavoro Pubblico

Il punto cruciale della decisione riguarda il secondo motivo, relativo alla valutazione del demansionamento pubblico impiego. La Corte ha ribadito un principio consolidato, basato sull’art. 52 del D.Lgs. 165/2001, che disciplina il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Secondo la Cassazione, nel pubblico impiego privatizzato, l’equivalenza delle mansioni deve essere valutata secondo un criterio di equivalenza formale. Questo significa che il giudice deve limitarsi a verificare che le nuove mansioni rientrino nella medesima area o categoria professionale prevista dal contratto collettivo nazionale. Non è rilevante, a differenza del settore privato (regolato dall’art. 2103 c.c.), la professionalità specifica acquisita dal lavoratore o il mantenimento delle competenze pregresse.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la revoca di una posizione organizzativa o di un incarico dirigenziale a termine non costituisce di per sé demansionamento. Tali incarichi sono soggetti al principio di turnazione e, alla loro scadenza, il dipendente torna semplicemente a essere inquadrato nella sua categoria di appartenenza, con il relativo trattamento economico. L’Amministrazione ha quindi il diritto di assegnare al dipendente qualsiasi mansione riconducibile alla sua categoria contrattuale, senza che ciò possa essere considerato una dequalificazione professionale. La censura del ricorrente, basata sull’idea che le nuove mansioni dovessero essere aderenti alla sua specifica competenza per garantirne l’accrescimento, è stata giudicata fondata su un presupposto errato, poiché tale principio non si applica al pubblico impiego secondo le normative vigenti.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le sentenze dei gradi precedenti. La decisione rafforza il principio secondo cui, nel settore pubblico, la mobilità del personale all’interno della stessa categoria contrattuale è ampiamente permessa. La perdita di un incarico dirigenziale non è sinonimo di demansionamento se le nuove mansioni assegnate rientrano formalmente nel perimetro della categoria di appartenenza del dipendente. Questa ordinanza rappresenta un punto di riferimento importante per comprendere i confini dello ius variandi del datore di lavoro pubblico e i diritti dei dipendenti.

È possibile contestare il proprio demansionamento basandosi sull’illegittimità della nomina del proprio successore?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’eventuale illegittimità della nomina di un nuovo dirigente deve essere accertata in un giudizio specifico che coinvolga il diretto interessato. Non può essere usata come prova automatica per dimostrare l’illegittimità della revoca di un incarico precedente.

Come si valuta il demansionamento pubblico impiego?
Nel pubblico impiego, la valutazione si basa su un criterio di ‘equivalenza formale’. Ciò significa che si verifica unicamente se le nuove mansioni rientrano nella stessa categoria professionale definita dal contratto collettivo, indipendentemente dalla professionalità specifica acquisita in precedenza dal lavoratore.

La revoca di un incarico dirigenziale in un ente locale costituisce sempre demansionamento?
No. Secondo l’ordinanza, la revoca di un incarico dirigenziale o di una posizione organizzativa non è demansionamento, ma rientra nel normale principio di turnazione degli incarichi. Al termine dell’incarico, il dipendente torna alla sua categoria contrattuale di appartenenza, senza che ciò configuri una dequalificazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati