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Demansionamento: la Cassazione conferma il risarcimento

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di una grande azienda di telecomunicazioni per demansionamento di un dipendente. La Corte ha ritenuto legittima la dequalificazione da un V a un III livello, data la mancanza di autonomia e complessità tecnica nelle nuove mansioni. È stato inoltre confermato il risarcimento del danno alla professionalità, liquidato in via equitativa in 1.000 euro per ogni mese di demansionamento, considerata la durata, la reiterazione della condotta e la rapida obsolescenza delle competenze nel settore tecnologico.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Demansionamento: Quando la Sottrazione di Compiti Diventa un Danno Risarcibile

Il demansionamento è una delle problematiche più delicate nel diritto del lavoro, poiché incide direttamente sulla professionalità e la dignità del lavoratore. Ma come si stabilisce se un cambio di mansioni è illegittimo? E come si quantifica il danno subito? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questi aspetti, confermando la condanna di una nota società di telecomunicazioni a risarcire un proprio dipendente dequalificato. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati.

I Fatti del Caso: Dalle Mansioni Specialistiche al Call Center

Un lavoratore, inquadrato nel V livello del contratto collettivo di settore, ruolo che presuppone elevate conoscenze specialistiche, autonomia e decisionalità, si vedeva assegnato a compiti di minor rilievo. Le nuove attività, secondo la sua prospettiva, non richiedevano le competenze del suo livello, essendo assimilabili a quelle di un operatore di III livello, con procedure standardizzate e privo di qualsiasi autonomia decisionale. I giudici di primo grado e d’appello avevano già dato ragione al dipendente, dichiarando l’illegittimità del demansionamento e condannando l’azienda a reintegrarlo in mansioni equivalenti e a risarcirgli il danno alla professionalità, liquidato in via equitativa in 13.500 euro. L’azienda, non accettando la decisione, ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Principio del Demansionamento

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando integralmente la sentenza d’appello. La decisione si fonda su due pilastri: la corretta valutazione della dequalificazione professionale e la congruità della quantificazione del danno.

La Corte ha ribadito che l’analisi del demansionamento deve seguire un percorso logico-giuridico preciso, non potendo basarsi su mere affermazioni. I giudici hanno quindi analizzato nel dettaglio la differenza tra le mansioni previste dal V livello (caratterizzate da autonomia, gestione di risorse e alta tecnicalità) e quelle concretamente svolte dal lavoratore (procedimentalizzate, basate sull’uso di software standard e prive di coordinamento), concludendo che queste ultime erano del tutto prive degli elementi qualificanti del livello di appartenenza.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte offrono spunti fondamentali per comprendere come viene gestito il contenzioso sul demansionamento.

L’Accertamento del Demansionamento: un Processo a Tre Fasi

Per stabilire se vi è stata una dequalificazione, il giudice deve seguire tre passaggi obbligati:
1. Accertamento in fatto: Analizzare le attività lavorative concretamente svolte dal dipendente.
2. Individuazione delle qualifiche: Esaminare le declaratorie del contratto collettivo nazionale per identificare i gradi e le qualifiche previste.
3. Raffronto: Comparare i risultati della prima indagine con le previsioni contrattuali per verificare se le mansioni svolte corrispondono al livello di inquadramento.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero compiuto questo percorso in modo impeccabile, evidenziando come le mansioni assegnate non richiedessero né elevate conoscenze specialistiche né autonomia, ma si limitassero a seguire un protocollo rigidamente standardizzato.

La Quantificazione del Danno: un Criterio Equitativo

Anche la censura relativa all’ammontare del risarcimento è stata respinta. La Cassazione ha ricordato che il danno da demansionamento non è solo patrimoniale, ma lede anche diritti costituzionalmente tutelati. La prova di tale danno può essere fornita anche tramite presunzioni, basate su elementi quali:
* La qualità e la quantità dell’attività lavorativa precedente.
* La durata del periodo di dequalificazione.
* Le modalità della condotta del datore di lavoro (in questo caso, una reiterazione dopo un precedente ordine del giudice).
* La rapida evoluzione tecnologica del settore, che rende l’inattività professionale particolarmente dannosa.

La liquidazione di 1.000 euro per ogni mese di demansionamento è stata ritenuta congrua e non sproporzionata, poiché ancorata alla differenza oggettiva tra le mansioni e al contesto specifico della vicenda.

Le Conclusioni: Implicazioni per Lavoratori e Aziende

Questa ordinanza rafforza la tutela del lavoratore contro la dequalificazione professionale. Per i lavoratori, essa conferma che è possibile ottenere un risarcimento per il danno alla professionalità anche in assenza di una prova economica diretta, basandosi su elementi presuntivi che dimostrino il pregiudizio subito. Per le aziende, emerge un monito chiaro: le decisioni di modifica delle mansioni devono essere attentamente ponderate e rispettose del bagaglio professionale dei dipendenti. Ignorare questi principi non solo espone a condanne di reintegro, ma anche a risarcimenti economici significativi, soprattutto quando la condotta lesiva è persistente e avviene in settori ad alta innovazione.

Come si accerta un caso di demansionamento?
L’accertamento avviene attraverso un procedimento in tre fasi: 1) si analizzano le attività concrete svolte dal lavoratore; 2) si individuano le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria; 3) si confrontano le attività svolte con le previsioni contrattuali per verificare se corrispondono al livello di inquadramento formale.

Come può il lavoratore provare il danno da demansionamento?
Il lavoratore può provare il danno non patrimoniale allegando elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Questi possono includere la durata della dequalificazione, la qualità e quantità dell’attività lavorativa precedente, la natura della professionalità coinvolta e la sua importanza in un settore in rapida evoluzione tecnologica.

Come viene quantificato il risarcimento per il danno alla professionalità?
La quantificazione avviene in via equitativa da parte del giudice. Tale valutazione non è arbitraria ma si basa su criteri concreti come la differenza oggettiva tra le mansioni, la durata del demansionamento, le modalità dell’inadempimento dell’azienda e il contesto specifico, come una precedente riassegnazione a mansioni inferiori dopo un ordine giudiziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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