Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12138 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12138 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18975/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO AVEZZANO SULMONA L’AQUILA – rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e COGNOME;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 91/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 21.1.2021, R.G.N. 101/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
IMPIEGO
PUBBLICO
–
INFERMIERI
–
MANSIONI
INFERIORI
–
ILLEGITTIMITA’ PRINCIPIO.
– CRITERI –
RILEVATO CHE
1.
la Corte d’Appello di L’Aquila, riformando la sentenza del Tribunale Doriana – di L’Aquila, ha ritenuto illegittimità dell’adibizione di COGNOME, infermiera presso l’Azienda Sanitaria Locale N. 1 Avezzano Sulmona L’Aquila (di seguito, ASL), ad attività proprie degli operatori sociosanitari (di seguito, OSS), attribuendo un risarcimento per danno alla dignità professionale ed all’immagine lavorativa liquidato in via equitativa in misura pari al 6 % della retribuzione del periodo in cui si erano verificate le vicende di causa;
la Corte territoriale escludeva che potesse ritenersi legittima un’assegnazione di mansioni inferiori che facesse svolgere « ordinariamente e stabilmente tutte le mansioni che sono proprie della figura dell’operatore socio -sanitario» , ascritte alla inferiore categoria B e ciò in ragione del non essere disponibile personale ausiliario a sufficienza per garantire le esigenze primarie dei pazienti;
la Corte d’Appello rilevava che ciò fosse invece emerso dalla prova per testi e stabiliva quindi il risarcimento in via equitativa, ritenendo la prova del pregiudizio sulla base della lunga durata di svolgimento dell’attività di rango inferiore, della natura prettamente manuale dei compiti in tal modo imposti, a fronte del carattere intellettuale, per il livello di conoscenze richiesto, della professione dell’infermiere ed infine per il verificarsi di tutto ciò alla presenza dei pazienti;
2.
la ASL ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti da controricorso della lavoratrice;
entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva;
CONSIDERATO CHE
1.
il primo motivo adduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d. lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 1 del D.M. n. 739/1994, degli artt. 3, 4 e 5 dell’Accordo Stato -Regioni del 22.2.2001, dell’art. 6 d.p.r. n. 225 del 1974 e dell’art. 49 del Codice Deontologico degli Infermieri;
il motivo evidenzia come l’assegnazione al lavoratore di mansioni inferiori a quelle proprie della qualifica di appartenenza è consentita, sulla base della giurisprudenza della Suprema Corte, se l’attività prevalente ed assorbente svolta dal lavoratore sia costituita da mansioni previste dalla propria qualifica di appartenenza, se tali mansioni inferiori non siano completamente estranee alla professionalità propria del dipendente e se sussista un’esigenza organizzativa del datore di lavoro pubblico;
nel caso di specie – proseguiva la ricorrente – è emerso che la lavoratrice svolgeva in maniera prevalente ed assorbente le mansioni proprie della qualifica di appartenenza, mentre era indubbio che le attività di OSS non potevano considerarsi estranee alla professionalità dell’infermiere;
del resto, assume la ricorrente -in presenza di esigenze organizzative della ASL, non si potrebbe parlare di demansionamento, in quanto il Codice Deontologico degli infermieri – all’art. 49 – prevede che gli stessi siano tenuti a compensare i disservizi che possano eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui operano, oltre comunque a svolgere le mansioni accessorie e nel caso di specie era risultato che gli infermieri svolgevano i lamentati compiti inferiori essenzialmente in caso di assenza o carenza di OSS;
il secondo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e con esso si assume che la Corte territoriale non
avrebbe accertato le effettive mansioni svolte dal dipendente e dunque lo svolgimento reale delle attività di livello inferiore;
la Corte territoriale – si assume nel motivo – aveva richiamato le testimonianze che avevano riferito sulle mansioni degli infermieri ed aveva fatto leva sulla carenza di personale ausiliario ed allo svolgimento che si dice nel motivo essere stato « sporadico e occasionale », di mansioni proprie di qualifiche inferiori;
in tal modo era però mancato proprio lo sviluppo di un iter logico finalizzato a far constare la sussistenza del fatto costitutivo del diritto azionato;
2.
i due motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la loro connessione logico -giuridica;
3.
sul piano giuridico, non vi è dubbio che la richiesta agli infermieri di attività proprie degli OSS non sia a priori illegittima, in quanto essa trova fondamento nei doveri di flessibilità del lavoratore rispetto all’utilità della controparte, oltre che di leale collaborazione nella tutela dell’interesse pubblico sotteso all’esercizio della sua attività (Cass. 17 settembre 2020, n. 19419; v. anche l’art. 49 del Codice Deontologico citato dalla ricorrente, secondo cui « l’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera »);
ciò però solo a ben determinate condizioni;
3.1
intanto, deve trattarsi appunto di attività che non esprimano contenuti professionali del tutto estranei rispetto ai compiti propri dell’infermiere, ma ciò non è nel caso di specie, ove è evidente che le incombenze richieste riguardavano comunque la cura della persona, che è tratto comune alle due professionalità (Cass. 19419/2020 cit.);
è poi indubbio che la richiesta di tali prestazioni deve rispondere ad un’esigenza organizzativa, operativa o di sicurezza concreta e non dunque a scelte estemporanee o a pretese di lavoro di livello inferiore pur in presenza di disponibilità del personale della categoria pertinente (ancora Cass. 19419/2020), ma anche questo non è quanto emerge come controverso nel caso di specie;
3.2
ulteriori requisiti individuati dalla giurisprudenza di questa S.C. sono che le mansioni inferiori siano richieste « incidentalmente o marginalmente » (Cass. 7 agosto 2006, n. 17774; Cass. 21 luglio 2022, n. 22901; v. anche Cass. 29 marzo 2019, n. 8910, quest’ultima in tema di lavoro privato, ma con principi riguardanti fattispecie anteriori alle modifiche apportate all’art. 2103 c.c. dal d. lgs. n. 81 del 2015 e quindi del tutto riferibili anche all’impiego pubblico), dal che si è escluso che sia legittima la loro pretesa « non in via occasionale, ma in maniera programmata » (Cass. 8910/2019, cit., in massima);
tali affermazioni di principio si accompagnano alla reiterata affermazione, nel contesto dei medesimi precedenti, della necessità che vi sia adibizione alle mansioni di appartenenza in modo « prevalente e assorbente » (Cass. 19419/2020; Cass. 17774/2006);
le affermazioni di principio di cui sopra vanno intese in modo nel loro insieme coerente;
3.3
deve allora dirsi che le mansioni inferiori sono sempre legittime se ‘marginali’, ovverosia di scarso e limitato rilievo quantitativo rispetto alle mansioni di effettiva pertinenza;
quando invece tale marginalità non ricorra e dunque la consistenza delle attività di livello inferiore sia più ampia -ferma restando la necessità, per la legittimità del comportamento datoriale, che vi sia prevalenza delle mansioni qualificanti dell’inquadramento – deve
riscontrarsi il carattere occasionale della richiesta di mansioni inferiori;
il ricorso sistematico e non marginale alle mansioni inferiori viola infatti in sé, sul piano qualitativo che è quello che rileva, il diritto del lavoratore al rispetto della propria professionalità e ciò anche se sia rispettato il parametro di prevalenza nello svolgimento delle attività proprie dell’inquadramento;
ciò proprio perché, se è consentito chiedere lo svolgimento di attività proprie di mansioni inferiori, ciò non può che avvenire non solo assicurando la prevalenza delle attività pertinenti all’inquadramento, ma anche in via del tutto accessoria oppure per periodi di tempo contenuti;
altrimenti ne resta svilita la stessa regola sulla coerenza tra inquadramento e mansioni sancita dall’art. 52 del d. lgs. n. 165 del 2001 e ne resta lesa la professionalità e l’immagine lavorativa del dipendente;
3.4
può anche esprimersi il seguente principio: « nel pubblico impiego privatizzato il lavoratore, venendo in rilievo il suo dovere di leale collaborazione nella tutela dell’interesse pubblico sotteso all’esercizio dell’attività, può essere adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle di assegnazione, ma ciò a condizione che tali mansioni non siano completamente estranee alla sua professionalità, che ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro e che inoltre la richiesta di tali mansioni inferiori avvenga in via marginale rispetto alle attività qualificanti dell’inquadramento professionale del prestatore o che, quando tale marginalità non ricorra, fermo lo svolgimento prevalente delle menzionate attività qualificanti, lo svolgimento di mansioni inferiori sia meramente occasionale ‘;
4.
su tali premesse, la Corte territoriale ha ritenuto, in fatto, che alla lavoratrice « negli anni » erano state chieste le prestazioni proprie degli OSS, anche secondo le corrispondenti declaratorie collettive, quali « il rifacimento dei letti, l’igiene personale del malato, il rispondere ai campanelli, l’imboccare i pazienti » e ciò « ordinariamente e stabilmente »;
4.1
la coerenza tra quanto accertato e i principi che regolano la materia è evidente e ciò comporta il rigetto del primo motivo; 5.
quanto ai profili che riguardano le modalità di tale accertamento in fatto, la Corte territoriale ha verificato sulla base dell’istruttoria testimoniale lo svolgimento di talune mansioni proprie degli OSS (risposta ai campanelli, cambio letti, cura dell’igiene personale del malato) ed ha rimarcato come ciò fosse conseguenza della carenza di personale ausiliario sufficiente;
le critiche in proposito mosse con il secondo motivo di ricorso non hanno la consistenza della denuncia dell’omessa considerazione di fatti decisivi, quale declinata dal testo vigente dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e si traducono in realtà nella manifestazione di difformità rispetto al valore ed al significato attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento giudiziale tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; ora anche Cass. 22 novembre 2023, n. 32505);
6.
il terzo motivo assume la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 115, 116 c.p.c. e degli artt. 2059 e 2697 c.c., il motivo è sviluppato rimarcando come il danno da demansionamento impone la ricorrenza di una lesione ad un
« interesse non patrimoniale risarcibile » ed il nesso causale tra la condotta datoriale e la lesione;
nel caso di specie – sostiene la ricorrente -il dipendente si era limitato ad affermare genericamente il realizzarsi di una « mortificazione sul piano professionale e dell’immagine e, di conseguenza, di lesioni alla dignità del lavoratore » e dunque era mancata un’idonea allegazione del pregiudizio, che comunque non era stata in alcun modo dimostrato e viceversa ritenuto dalla Corte d’Appello automaticamente sussistente;
6.1 il motivo è infondato;
6.2
già quanto riferisce la ASL con il ricorso per cassazione – nel passaggio appena trascritto -evidenzia l’esistenza di allegazioni sul pregiudizio subito all’immagine ed alla dignità professionale, che sono componenti non patrimoniali della posizione personale e lavorativa del dipendente subordinato (Cass. 8 marzo 2006, n. 4975; Cass. 26 maggio 2004, n. 10157)
la Corte territoriale ha poi esplicitamente individuato gli elementi da cui desumere i pregiudizi di cui sopra (lunga durata dello svolgimento di mansioni inferiori; natura prettamente manuale delle attività inferiori fatte svolgere; svolgimento alla presenza di tutti i pazienti), con ragionamento presuntivo non implausibile e destinato ad integrare come tale una non sindacabile valutazione del merito (Cass. 2 ottobre 2019, n. 24585; Cass. 3 gennaio 2019, n. 21; Cass. 15 ottobre 2018, n. 25743);
evidentemente, poi, sono tali elementi di fatto ad avere sorretto anche la stima, inevitabilmente equitativa, del pregiudizio riscontrato ed anche da questo punto di vista il criterio utilizzato (attribuzione di una percentuale calcolata sulla retribuzione) è consono al corretto intento di porre in relazione la misura del
ristoro anche al valore della prestazione, di cui la retribuzione è elemento di riscontro;
al rigetto del ricorso per cassazione segue la regolazione secondo
soccombenza delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 3.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione