Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21003 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21003 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 37630-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1450/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA depositata il 14/06/2019 R.G.N. 1567/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/05/2024
CC
Fatti di causa
La Corte di appello di Roma, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del tribunale di Latina che aveva accolto il ricorso proposto da NOME COGNOME con il quale chiedeva l’accertamento dell’illegittimità della condotta tenuta da RAGIONE_SOCIALE con condanna alla restituzione delle somme trattenute pari a complessivi euro 1950,88 (maggio € 1326,60 + giugno € 624,28) a seguito della collocazione in aspettativa senza retribuzione.
Il Tribunale aveva ritenuto l’illegittimità delle misure adottate da RAGIONE_SOCIALE alla luce delle previsioni di cui alla contrattazione collettiva di settore e del disposto di cui all’articolo 7 legge 300/70.
La Corte d’appello ha sostenuto in premessa che, a differenza di quanto deciso dal primo giudice, l’articolo 24 del R.D. n. 148/1981, appariva ‘in astratto applicabile’ al caso in esame. La fattispecie risultava sussumibile nel comma 2 della norma predetta che espressamente dispone che l’aspettativa può essere disposta d’ufficio “nei casi di prolungata infermità o di sopraggiunto impedimento all’ulteriore esercizio delle funzioni proprie di ciascuna qualifica, quando l’azienda giudichi conveniente sperimentare l’esenzione della stessa, prima di deliberare l’esonero definitivo dal servizio”.
Tuttavia, nonostante la legittimità del collocamento in aspettativa ai sensi della procedura aziendale e la natura non disciplinare della norma citata, per le modalità anche temporali con cui era stata attuata, risultava senz’altro illegittima la decurtazione delle buste paga dell’COGNOME per le somme corrispondenti al periodo di sospensione dal servizio. Rilevava infatti il Collegio che gli effetti economici del provvedimento con cui il lavoratore era stato posto in aspettativa presentassero una
natura ontologicamente disciplinare o comunque non giustificata dalle norme invocate dallo stesso appellante, integrando in particolare la sanzione della “sospensione dal servizio” espressamente disciplinata dagli art. 37, n. 2 e 42 del regio decreto n. 148/31.
La trattenuta da parte della società appellante della somma di € 1950,88 avrebbe pertanto dovuto essere assistita dalle garanzie di cui all’articolo 7 della legge n. 300/70.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con un unico motivo cui ha resistito NOME COGNOME con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 24, comma secondo, allegato A) del Regio decreto n. 148 del 1931, anche in relazione agli articoli 20 e 41 del decreto legislativo n. 81 del 2008; falsa applicazione dell’articolo 7 della legge n. 300 del 1970, ex articolo 360 n. 3 c.p.c. , in quanto la sentenza impugnata, nonostante fosse partita da una corretta ricostruzione sia dei fatti di causa sia delle norme giuridiche di riferimento, era approdata a conclusioni errate in diritto. Ed invero la Corte aveva sostenuto, da una parte, che si potesse procedere al collocamento in aspettativa d’ufficio per sopraggiunto impedimento per la mancata sottoposizione del lavoratore alla visita medica disposta dal datore di lavoro; tuttavia al tempo stesso, secondo la Corte, non si poteva disporre la decurtazione dalla busta paga delle somme corrispondenti al periodo di sospensione dal servizio.
3.Il motivo presenta profili di infondatezza e profili di inammissibilità posto che non si confronta nemmeno con la reale ratio decidendi della sentenza gravata. Poiché la Corte di appello ha affermato che solo ‘ in astratto ‘ l’art. 24 R.D. sarebbe stato applicabile al caso in esame, a nulla può in effetti rilevare quanto è stato osservato in sentenza sulla portata di tale norma o sulla natura non disciplinare della misura dell’aspettativa ivi prevista.
La stessa Corte di appello ha invero deciso che, ciononostante, nel caso in esame, per le modalità temporali concrete con cui era stata disposta, la decurtazione della retribuzione non fosse legittima in quanto neppure prevista dalle norme indicate dalla datrice di lavoro. Pertanto, il provvedimento rivestiva concreta natura disciplinare ed andava irrogato con il rispetto dell’art. 7.
In particolare, la Corte territoriale ha rilevato a fondamento della decisione che l’art. 3.2.9 rubricato ‘rifiuto – impossibilità del lavoratore di sottoporsi agli accertamenti’ prevede che ‘qualora il lavoratore si rifiutasse di sottoporsi agli acc ertamenti in argomento o non si presenti, senza giustificato motivo , ovvero senza aver prodotto adeguata certificazione che accerti l’impossibilità fisica di sottoporsi alla visita medica/test rapido, verrà dichiarato dal MC (medico competente) in via cautelativa inidoneo temporaneamente alla mansione. Entro cinque giorni lavorativi RAGIONE_SOCIALE riconvocherà i lavoratori……’
Ed ha quindi evidenziato che ‘nel caso in esame, in fatto , non si è in presenza di un caso di rifiuto di sottoporsi al test di cui al comma 3 del puto 3.2.9 a cui conseguirebbe che il lavoratore verrà giudicato temporaneamente inidoneo’.
7.- Il ricorso per cassazione nulla dice invece su questi fatti e sulle modalità temporali decisivi che risultano posti dalla Corte
alla base della propria decisione (a pag. 5 e 6 della sentenza). E nulla dice sulla ratio decidendi ricavata dalla disciplina dell’art. 3.2.9 rubricato ‘rifiuto – impossibilità del lavoratore di sottoporsi agli accertamenti’ che la stessa Corte contrappone alla disciplina dell’art. 24 del R.D. n. 148/1931.
Una disciplina che appare determinante nella soluzione della causa, tanto che la Corte così conclude: ‘Ancora si rileva che le previsioni appena esaminate appaiono poco raccordabili ed integrabili con quanto previsto dal comunicato al personale n. 9 dell’1.9.2010 dove le disposizioni di cui al punto 5 e 6 appaiono operare una mera ed automatica ‘relatio’ a quanto previsto dall’articolo 24 del Regio decreto 148 del 1931 All. A senza tenere in debito conto la tempistica e gli incombenti di cui al comma 3 de l PSO5′
Non esistono, quindi contraddizioni nella sentenza impugnata né, tanto meno, le violazioni di legge denunciate con il motivo di ricorso.
9.- In conclusione il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 2.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.