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Decreto di estinzione: rimedi e termini perentori

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso presentato come revocazione contro un decreto di estinzione. Il ricorrente non aveva risposto alla proposta di definizione del giudizio, causando l’estinzione. La Corte ha chiarito che l’unico rimedio è l’opposizione, da proporre entro il termine perentorio di 10 giorni, ampiamente superato nel caso di specie. Il mancato rispetto del termine rende il decreto di estinzione definitivo.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Decreto di Estinzione in Cassazione: Attenzione ai Termini e ai Rimedi Corretti

La recente riforma della procedura civile ha introdotto un meccanismo accelerato per definire i ricorsi in Cassazione palesemente inammissibili. Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte offre un importante chiarimento sui rimedi esperibili contro il decreto di estinzione che conclude tale procedura, sottolineando la perentorietà dei termini e l’inammissibilità di strumenti impropri come la revocazione.

I Fatti del Caso

Un cittadino proponeva ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello in una controversia contro un istituto di credito. Nell’ambito della nuova procedura accelerata, il consigliere delegato formulava una proposta di definizione del giudizio per inammissibilità, notificandola alle parti. Il ricorrente, tuttavia, non depositava nei successivi 40 giorni l’istanza con cui manifestare il proprio interesse alla decisione del ricorso. Di conseguenza, il Presidente della Sezione emetteva un decreto con cui dichiarava l’estinzione del giudizio.

Successivamente, il ricorrente impugnava tale decreto chiedendone la revocazione, sostenendo che la proposta di definizione si basasse su un errore di fatto, in quanto fondata su motivi estranei al suo ricorso. L’istituto di credito si opponeva, chiedendo il rigetto della domanda.

La Procedura Accelerata e il Decreto di Estinzione

La riforma, attraverso gli articoli 380-bis e 391 del codice di procedura civile, ha delineato una via rapida per i ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. La procedura prevede i seguenti passaggi:

1. Proposta di definizione: Il presidente della sezione o un consigliere delegato formula una proposta sintetica che evidenzia le ragioni dell’inammissibilità.
2. Comunicazione alle parti: La proposta viene comunicata ai difensori.
3. Istanza di decisione: Entro 40 giorni, la parte ricorrente deve depositare un’apposita istanza per chiedere che il collegio si pronunci sul ricorso.

L’inerzia della parte ricorrente, ovvero la mancata presentazione dell’istanza di decisione, viene interpretata dalla legge come una rinuncia tacita all’impugnazione. Questa inattività porta all’emissione di un decreto di estinzione del giudizio da parte del presidente, che chiude il procedimento in modo monocratico.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso per revocazione inammissibile. I giudici hanno operato una riqualificazione giuridica dell’atto: non si trattava di una revocazione, ma di un’opposizione al decreto di estinzione. Tuttavia, anche in questa nuova veste, il ricorso non poteva essere accolto.

L’articolo 391, terzo comma, c.p.c., stabilisce infatti che l’unico rimedio contro il decreto presidenziale di estinzione è l’opposizione, da proporre nel termine perentorio di dieci giorni dalla sua comunicazione. Nel caso di specie, il decreto era stato comunicato il 28 novembre 2023, mentre il ricorrente aveva notificato il proprio atto solo il 21 febbraio 2024, ben oltre il termine previsto.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la propria decisione sulla base di una rigorosa interpretazione delle nuove norme procedurali. La scelta del legislatore è stata quella di attribuire un significato legale preciso al comportamento omissivo del ricorrente. La mancata richiesta di una decisione entro 40 giorni dalla proposta di inammissibilità non è una semplice dimenticanza, ma una manifestazione di volontà abdicativa, equiparata a una rinuncia tacita.

Di conseguenza, il procedimento si conclude non con una pronuncia nel merito dell’inammissibilità, ma con una declaratoria di estinzione. Contro questo specifico provvedimento, il legislatore ha previsto un unico e specifico rimedio: l’opposizione entro il termine brevissimo di dieci giorni. Tale strumento serve a consentire alla Corte di verificare la correttezza della declaratoria di estinzione, ma non a riaprire la discussione sul merito del ricorso originario. Confondere questo rimedio con la revocazione, prevista per vizi completamente diversi (come l’errore di fatto in una sentenza), costituisce un errore procedurale fatale. La tardività dell’opposizione, una volta riqualificato l’atto, ha reso il decreto di estinzione definitivo, chiudendo ogni possibilità di ulteriore discussione.

Le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un monito fondamentale per gli operatori del diritto. La procedura accelerata in Cassazione impone una vigilanza e una tempestività assolute. L’inerzia a fronte di una proposta di definizione ha conseguenze drastiche e irreversibili, conducendo all’estinzione del giudizio. L’unico spiraglio per contestare il decreto che ne consegue è un’opposizione da presentare entro il termine perentorio di dieci giorni, scaduto il quale ogni doglianza, anche se potenzialmente fondata su errori nella proposta originaria, diventa inammissibile.

Cosa succede se un ricorrente in Cassazione non risponde a una proposta di definizione del giudizio per inammissibilità?
Se il ricorrente non deposita un’istanza per chiedere la decisione del collegio entro 40 giorni dalla comunicazione della proposta, il suo silenzio viene interpretato come una rinuncia tacita. Di conseguenza, il giudizio viene dichiarato estinto con un decreto del presidente della sezione.

Qual è il rimedio corretto contro un decreto di estinzione emesso ai sensi dell’art. 391 c.p.c.?
L’unico rimedio previsto dalla legge è l’opposizione, da proporre ai sensi dell’art. 391, terzo comma, c.p.c. Tale opposizione deve essere presentata nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto di estinzione. Non è ammissibile la revocazione.

Un errore di fatto contenuto nella proposta di definizione può giustificare un’opposizione tardiva al decreto di estinzione?
No. La Corte ha stabilito che il rispetto del termine perentorio di dieci giorni per l’opposizione è un requisito di ammissibilità inderogabile. La tardività dell’opposizione ne determina l’inammissibilità, indipendentemente dai motivi che il ricorrente avrebbe potuto addurre, compreso un presunto errore di fatto nella proposta di definizione che ha originato il procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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