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Decadenza pubblico impiego: sì alla retribuzione

Un docente, dichiarato decaduto dal servizio per incompatibilità, si è visto negare le retribuzioni arretrate dalla Corte d’Appello, nonostante l’illegittimità del provvedimento. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che la decadenza dal pubblico impiego, se illegittima, è equiparabile al licenziamento ingiustificato. Pertanto, si applica la tutela reintegratoria che prevede il risarcimento del danno, comprensivo delle retribuzioni perse, senza necessità per il lavoratore di una formale offerta della prestazione lavorativa.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Decadenza Pubblico Impiego: Illegittima? Spettano le Retribuzioni Arretrate

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16636/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di decadenza pubblico impiego. Quando un provvedimento di decadenza viene dichiarato illegittimo, il dipendente ha diritto non solo alla reintegrazione, ma anche al pagamento di tutte le retribuzioni non percepite, equiparando di fatto la decadenza illegittima al licenziamento ingiustificato. Analizziamo la vicenda.

I Fatti di Causa

Un docente di ruolo, anche dottore commercialista, veniva dichiarato decaduto dal servizio per aver mantenuto l’incarico di curatore fallimentare in due procedure, attività ritenuta incompatibile con il suo impiego pubblico. Il docente impugnava il provvedimento, chiedendone l’annullamento e la condanna dell’Amministrazione scolastica al pagamento delle retribuzioni non percepite dal momento della cessazione del rapporto.

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda. Successivamente, la Corte d’Appello, pur riconoscendo l’illegittimità della decadenza, respingeva la richiesta di pagamento degli arretrati. La motivazione dei giudici di secondo grado si basava sull’assunto che, in assenza di una formale offerta della prestazione lavorativa da parte del docente, non fosse dovuto alcun corrispettivo, né a titolo di retribuzione né di risarcimento del danno.

La Questione Giuridica: Decadenza Pubblico Impiego e Diritto alla Retribuzione

Il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che, in caso di interruzione del rapporto di lavoro per una decisione unilaterale ed illegittima del datore di lavoro, non è necessaria una formale offerta della prestazione. La semplice impugnazione del provvedimento di decadenza sarebbe sufficiente a manifestare la volontà di proseguire il rapporto lavorativo. Secondo la difesa, la nullità del provvedimento di decadenza avrebbe dovuto comportare la ricostituzione del rapporto ex tunc, con il conseguente obbligo per l’amministrazione di corrispondere tutte le retribuzioni maturate.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza d’appello e affermando principi di grande rilevanza.

I giudici hanno chiarito che, nel contesto del lavoro pubblico contrattualizzato, l’illegittimità di un provvedimento che causa la cessazione del rapporto, come la decadenza per incompatibilità, deve essere trattata alla stregua di un licenziamento illegittimo. Questo comporta l’applicazione della cosiddetta “tutela reale”, prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (nella versione applicabile al caso), richiamato dall’art. 51 del D.Lgs. 165/2001.

La tutela reale prevede, come conseguenza dell’illegittimità del recesso, la reintegrazione del lavoratore e la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno. Tale risarcimento è commisurato proprio alle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione. La Corte ha specificato che questa forma di risarcimento del danno, prevista da una disciplina speciale e derogatoria rispetto al diritto comune delle obbligazioni, assorbe la questione della retribuzione. Di conseguenza, non è richiesto al lavoratore di costituire in mora il datore di lavoro tramite una formale offerta delle proprie energie lavorative. L’interruzione del rapporto è avvenuta per una scelta esclusiva del datore di lavoro, e l’impugnazione di tale atto è prova sufficiente della volontà del dipendente di riprendere servizio.

Conclusioni

La sentenza consolida un importante orientamento a tutela dei dipendenti pubblici. La Corte di Cassazione stabilisce che la decadenza dal pubblico impiego per incompatibilità, se ritenuta illegittima, non può essere considerata una semplice interruzione del rapporto, ma un atto datoriale illecito con conseguenze equiparabili a quelle del licenziamento ingiustificato. Il dipendente illegittimamente allontanato ha quindi diritto al risarcimento del danno, che include tutte le retribuzioni perse dal momento della cessazione del rapporto fino alla reintegra. Questo diritto sorge dalla semplice impugnazione del provvedimento, senza che sia necessario alcun ulteriore atto formale di messa a disposizione delle proprie energie lavorative.

In caso di decadenza dal pubblico impiego dichiarata illegittima, il dipendente ha diritto alle retribuzioni arretrate?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la decadenza illegittima è equiparabile a un licenziamento ingiustificato e, pertanto, si applica la tutela reintegratoria che prevede un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perse dal giorno della cessazione del rapporto fino alla reintegrazione.

È necessario che il dipendente pubblico, dichiarato decaduto, faccia una formale offerta della prestazione lavorativa per ottenere gli stipendi non percepiti?
No. Secondo la sentenza, nel rapporto di impiego pubblico privatizzato, l’impugnazione del recesso datoriale è sufficiente a dimostrare la volontà del lavoratore di proseguire l’attività. Non è richiesta una formale offerta della prestazione, poiché il pagamento degli arretrati rientra nel risarcimento del danno previsto dalla disciplina speciale sui licenziamenti illegittimi.

La decadenza per incompatibilità nel pubblico impiego è equiparabile a un licenziamento?
Sì, quanto agli effetti. La Corte ha chiarito che, sebbene la decadenza per incompatibilità non abbia natura disciplinare, essendo riconducibile a un’iniziativa datoriale che pone fine al rapporto di lavoro, la sua illegittimità produce effetti parificabili a quelli di un licenziamento illegittimo, attivando le tutele previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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