Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16636 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 16636 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/06/2024
SENTENZA
sul ricorso 10862-2023 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA RAGIONE_SOCIALEA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL VENETO, I.T.E.T. STATALE “L. EINAUDI” DI BASSANO DEL GRAPPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 500/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 09/11/2022 R.G.N. 852/2019;
Oggetto
Cessazione rapporto
pubblico impiego
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/01/2024
PU
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2024 dal AVV_NOTAIO;
udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, dottore commercialista iscritto all’albo professionale, svolgeva le mansioni di docente di ruolo presso l’RAGIONE_SOCIALE dal 1.9.1987 fino al 16.6.2016, data in cui veniva dichiarato decaduto da l servizio per aver mantenuto l’incarico di curatore fallimentare in due procedure fallimentari. Il Tribunale di Vicenza rigettava la domanda del COGNOME -proposta prima con ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. e, dopo la relativa reiezione, con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. -volta ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità della decadenza ex artt. 60 e ss. d.P.R. n. 3/1957 e la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle retribuzioni non percepite dal giugno 2016 in poi, con ogni conseguenza giuridica e previdenziale.
La Corte di Venezia, con sentenza pubblicata il 9.11.2022, accoglieva parzialmente l’appello, dichiarando illegittima la decadenza intimata il 16.8.2016, ma rigettava la domanda di pagamento degli arretrati di retribuzione dal dì d’esecuzione del provvedimento di decadenza al dì di riammissione in servizio, escludendo altresì -in difetto di offerta della prestazione -il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale ex art. 1218 cod. civ.
La Corte territoriale osservava che « ai sensi dell’art. 2094 c od. civ. non è ipotizzabile il riconoscimento di retribuzione in mancanza di prestazione e, in assenza di offerta di prestazione, non è configurabile alcun risarcimento del danno da inadempimento contrattuale ex art. 1218 cod. civ.».
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, ai quali l’ Amministrazione scolastica non si è opposta, restando intimata. La Procura generale ha depositato memorie scritte concludendo per l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALEA DECISIONE
1. I motivi di ricorso sono così sintetizzabili.
i) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1206 e 2094 cod. civ., degli artt. 2 e 51 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 18 legge n. 300/1970; trattandosi di impugnazione di provvedimento di decadenza, relativo a rapporto di pubblico impiego ‘contrattualizzato’, sempre soggetto alla cd. ‘tutela reale’ in forza del richiamo della l egge n. 300/19 70 da parte dell’art. 51 del d.lgs. n. 165/2001 , il lavoratore non è tenuto a inviare al datore di lavoro una formale offerta della prestazione lavorativa, essendo sufficiente l’impugnazione del recesso a dimostrare la volontà del lavoratore di proseguire l’attività lavorativa interrotta per chiara ed esclusiva decisione del datore di lavoro.
ii) Violazione degli artt. 1217 e 2094 del cod. civ . e dell’art. 115 cod. proc. civ. in quanto la Corte d ‘a ppello, nel rigettare della domanda di condanna al pagamento delle retribuzioni arretrate e dei contributi, non ha considerato che il COGNOME aveva costituito in mora il datore di lavoro con il ricorso ex art. 700 cod. proc. civ., dal quale era evincibile l’avvenuta offerta alla datrice di lavoro della propria prestazione lavorativa e la volontà di ottenere la ricostituzione del rapporto ex tunc .
iii) V iolazione dell’art. 2094 cod. civ . e dell’art. 115 c od. proc. civ., perché la Corte di Appello, nel rigettare la domanda di condanna al pagamento delle retribuzioni arretrate, ha omesso di considerare il fatto, decisivo per il giudizio, dell’effettiva avvenuta offerta alla datrice di lavoro della prestazione lavorativa dopo la notifica dell’illegittimo provvedimento di decadenza dal servizio impugnato.
iv) Violazione degli artt. 1218, 1324 e 1418 cod. civ., in relazione agli artt. 5 e 53 del d.lgs. n. 165/2001, all’art. 508 d.lgs. n. 297/1994 e all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la dichiarata nullità della decadenza dall’impiego, imponeva la condanna dell’ Amministrazione alla corresponsione delle retribuzioni non erogate al ricorrente, in applicazione del principio quod nullum est nullum producit effectum .
I motivi di ricorso ruotano tutti, sotto distinte -seppur convergenti -angolazioni, intorno all ‘ illegittimità della pronuncia di secondo grado alla stregua del rilievo che nel rapporto di impiego pubblico privatizzato «il lavoratore non è tenuto ad inviare al datore di lavoro una formale offerta della prestazione lavorativa, essendo sufficiente l’impugnazione del recesso datoriale a dimostrare la volontà del lavoratore di proseguire l’attività lavorativa interrotta per chiara ed esclusiva decisione del datore di lavoro».
Il ricorso si appalesa, nelle sue diverse articolazioni, fondato.
3.1 L’art. 51 comma 2 d.lgs. n. 165/2001 richiama la disposizione di cui all’art. 2 della stessa legge, secondo cui «I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto».
È principio consolidato che, in tema di lavoro pubblico contrattualizzato, «l’illegittimità del licenziamento comporta l’applicazione della disciplina di cui all’art. 18 St. Lav., con conseguenze reintegratorie, a norma dell’art. 51, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, dovendosi commisurare -come non si è mancato pure di precisare nella giurisprudenza di legittimità -il risarcimento del danno non al solo trattamento economico fondamentale, ma anche alla retribuzione di posizione prevista per l’incarico ricoperto al momento dell’illegittimo recesso dal rapporto» (Cass., sez. lav., Cass., Sez. L, n. 17355/2019, Cass., Sez. L, n. 19520/2018; Cass., Sez. L, n. 1751/2017 e negli stessi termini Cass., Sez. L, n. 8077/2014; Cass., Sez. L, n. 18198/2013; Cass., Sez. L, nn. 9651 e 13710 del 2012; Cass., Sez. L, n. 2233/2007).
3.2 Non conferente appare, quindi, il richiamo de lla Corte d’appello a Cass., Sez. U, n. 2990 del 7 febbraio 2018, riferita a ipotesi di interposizione fittizia di manodopera e comunque a fattispecie ad essa assimilabili e non già alla diversa materia dei licenziamenti, in ordine alla quale sussiste, invece, una disciplina legislativa specifica e derogatoria rispetto al diritto delle obbligazioni, che riconduce i compensi dovuti dal datore di lavoro, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, nell’ambito del risarcimento del danno.
3.3 In tale prospettiva giova evidenziare che nel rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato l’illegittimità del provvedimento di decadenza per chi svolga attività incompatibili è (invero) parificabile, quanto agli effetti, alla illegittimità del licenziamento, con la conseguenza che al lavoratore che venga ingiustamente dichiarato decaduto spetta il risarcimento del danno secondo i parametri dell’art. 18 St. Lav.: questo perché, nel caso di recesso per sopravvenuta incompatibilità, la fattispecie, stante anche il suo operare in seguito a diffida, può accostarsi a quella del recesso per ragioni oggettive, in
quanto riconducibile a d un’ iniziativa datoriale ed essendo munita dell’effetto ultimo di far cessare il rapporto di lavoro .
3.4 A riguardo, va rammentato che l’istituto della decadenza dal rapporto di impiego, come disciplinato dagli articoli 60 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, è applicabile ai dipendenti di cui all’art. 2, commi secondo e terzo, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in forza dell’espressa previsione contenuta nell’art. 53, comma 1, stesso decreto, e, siccome attiene alla materia delle incompatibilità, è estraneo all’ambito delle sanzioni e della responsabilità disciplinare di cui all’art. 55 dello stesso testo normativo (vedi, per tutte: Cass. 19 gennaio 2006, n. 967).
In materia di pubblico impiego, poi, la disciplina dell’incompatibilità prevista dal d.P.R. n. 3 del 1957, art. 60, e segg. -operante per tutti i dipendenti pubblici, contrattualizzati e non, a norma del d.lgs. n.165 del 2001, art. 53, comma 1, nonché per i dipendenti degli enti locali, in virtù dell’abrogazione, da parte della legge n. 142 del 1990, art. 64, del r.d. n. 393 del 1934, art. 241 -prevede che l’impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità venga diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall’incarico.
Ne consegue che soltanto nel caso in cui l’impiegato ottemperi alla diffida, il suo comportamento assume rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all’art. 55 del decreto citato, posto che, diversamente, trova applicazione l ‘is tituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine , avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro (vedi, tra le tante: Cass. 12 ottobre 2012, n. 17437; Cass. 15
gennaio 2015, n. 617; Cass. 4 aprile 2017, n. 8722; Cass. 30 novembre 2017, n. 28797; Cass. 6 agosto 2018, n. 20555).
4. Quanto poi al regime delle tutele, questa Corte ha già affermato che, fino alla Riforma Madia -con l ‘introduzione , ne ll’art. 63 comma 2 d.lgs. n. 165/2001, di un ulteriore periodo, qui non applicabile ratione temporis -, le modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 all’art. 18 della legge n. 300 del 1970 non si estendono ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, sicché la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata legge n. 92 cit., resta quella prevista dall’art. 18 St. Lav. nel testo antecedente la riforma, rilevando a tal fine «il rinvio ad un intervento normativo succe ssivo ad opera dell’art. 1 , comma 8, della legge n. 92/2012 , l’inconciliabilità della nuova normativa, modulata sulle esigenze del lavoro privato, con le disposizioni di cui al d.lgs. n. 165/2001, neppure richiamate al comma 6 dell’art. 18 nuova formulazione, la natura fissa e non mobile del rinvio di cui all’art. 51 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001, incompatibile con un automatico recepimento di ogni modifica successiva che incida sulla natura della tutela del dipendente licenziato» (Cass. 9 giugno 2016, n. 11868; Cass. 9 agosto 2019, n. 21297).
5. La sentenza impugnata, che si è discostata dai principi suesposti, dev’essere conclusivamente -cassata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui si demanda altresì di provvedere alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia , in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024.