Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11643 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11643 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2464-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 234/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 13/07/2018 R.G.N. 122/2018;
Oggetto
Previdenza
R.G.N.2464/2019
COGNOME
Rep.
Ud.29/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 13.7.2018, la Corte d’appello di Genova ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda di NOME COGNOME volta alla corresponsione della prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (c.d. NASpI), rifiutatagli dall’INPS in sede amministrativa per non avere egli comunicato nei trenta giorni dalla data della domanda la sua qualità di socio e amministratore di RAGIONE_SOCIALE nonché il reddito da essa presuntivamente derivante;
che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria;
che NOME COGNOME ha resistito con controricorso, parimenti poi illustrato con memoria;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 29.1.2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 10, comma 1, e 11, lett. c) , d.lgs. n. 22/2015, con riferimento all’art. 12 prel. c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la decadenza prevista dall’art. 10, cit., non potesse estendersi alla mancata comunicazione dello svolgimento di un’attività fiscalmente assimilata a que lla di lavoro dipendente nonché del reddito da essa derivante;
che il motivo è infondato, avendo questa Corte già chiarito che la decadenza di cui all’art. 11, comma 1, lett. c) , d.lgs. n. 22/2015, non è applicabile al socio e consigliere di
amministrazione di una società a responsabilità limitata, in quanto tali figure non implicano di per sé lo svolgimento di attività lavorativa di carattere autonomo o imprenditoriale soggetta all’obbligo di comunicazione di cui all’art. 10, comma 1, del medesimo decreto (così Cass. nn. 6933 e 22921 del 2024);
che a tale principio dev’essere assicurata continuità, resistendo esso alle critiche sollevate dall’INPS con la memoria dep. ex art. 378 c.p.c.;
che, in particolare, deve ribadirsi che l’assimilazione, ai fini contributivi e previdenziali, della qualità di socio e consigliere di amministrazione di una società a responsabilità limitata a quella del lavoratore autonomo, prevista dall’art. 2, comma 26 , l. n. 335/1995, opera a prescindere dallo svolgimento di una qualche attività lavorativa a beneficio della società e solo in relazione al reddito prodotto (così già Cass. S.U. n. 3240 del 2010), e non può di per sé condurre ad una diversa interpretazione del combinato disposto degli artt. 10, comma 1, e 11, lett. c) , d.lgs. n. 22/2015, ove invece il presupposto di fatto della decadenza è testualmente individuato nella mancata comunicazione di ‘un’attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale’;
che, pertanto, il fatto che nel sottosistema della previdenza sociale il socio e consigliere d’amministrazione di una società a responsabilità limitata sia equiparato al lavoratore autonomo non può condurre ad attribuire all’espressione dianzi ricordata il significato voluto da parte ricorrente, dovendo la stessa interpretazione sistematica (che è funzionale a prevenire l’insorgenza di antinomie nell’ambito di un medesimo tessuto normativo) muoversi pur sempre nell’ambito dei significati consentiti dall’ela sticità del significante testuale della legge e
tenendo conto che la gamma di questi ultimi appare vieppiù ristretta, per ciò che riguarda le fattispecie che prevedono decadenze, dall’art. 14 prel. c.c.;
che il ricorso, pertanto, va rigettato, compensandosi tuttavia le spese del giudizio di legittimità per essersi consolidato il principio cui qui s’è data continuità in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29.1.2025.